Dialogo con Luciano Vasapollo, Rita Martufi, Luigi Rosati, Viviana Vasapollo e Mirella Madafferi della Scuola dell’Economia decoloniale, antropologica, socialista
“Quando una persona è costretta a lasciare la scuola dopo soli due anni di istruzione elementare, non le viene in mente che è accademicamente e intellettualmente meno sviluppata di qualcuno che ha avuto l’opportunità di frequentare la scuola fino al livello universitario. Ciò che l’Africa ha vissuto nei primi secoli della tratta è stata proprio una perdita di opportunità di sviluppo, e questo è della massima importanza”.
Sono parole di Walter Rodney, docente universitario e leader politico della Guyana, noto per le sue posizioni anti-colonialiste e per la sua dura critica della condotta delle nazioni europee nei confronti delle colonie africane e americane.
Considerato uno dei padri del panafricanismo, fu assassinato, trentottenne, nel 1980, nella sua patria dove era rientrato a metà degli anni ’70 e si stava impegnando come docente e attivista a favore dei diritti umani e sindacali, dopo aver insegnato in Tanzania e nella Giamaica, da dove era stato espulso nel 1968: il caso provocò una crisi politica.
Rodney aveva suscitato polemiche anche in Europa con il dottorato conseguito presso la School of Oriental and African Studies di Londra: la sua dissertazione sul commercio degli schiavi nella Guyana superiore ebbe una vasta risonanza poiché rivelava l’infondatezza di ogni giustificazione storica del colonialismo, un tema sviluppato poi nella sua opera più nota: “How Europe Underdeveloped Africa” (1972).
La figura di Walter Rodney è stata evocata nella nuova conversazione di FarodiRoma con Luciano Vasapollo, Rita Martufi, Luigi Rosati, Viviana Vasapollo e Mirella Madafferi della Scuola dell’Economia decoloniale, antropologica, socialista, sul tema caldissimo del processo di decolonizzazione in Africa e le prospettive di una nuova Tricontinentale che raccolga l’eredità di quella lanciata da Che Guevara per unire i Sud del Mondo.
“Partendo dall’Africa – sottolinea il gruppo di ricerca – si può ricostruire un’idea appunto di multipolarismo ma è un multipolarismo, quello che vogliamo noi, che deve avere due caratteristiche fondamentali: caratterizzarsi come la Tricontinentale dei non allineati, cioè l’area dell’America Latina, dell’Africa e l’area Asiatica; e all’interno, appunto, delle dinamiche del Tripolarismo, riteniamo che proprio nell’Africa Continentale si possano rafforzare o creare le condizioni per nuove transizioni al socialismo del ventunesimo secolo.
Pensiamo questo perché il multipolarismo può già immediatamente porre la questione dell’anti-imperialismo in alcuni luoghi e sicuramente dei processi di decolonizzazione.
In questo contesto è per noi assolutamente importante il riferimento a Samir Amin, Osea Jaffe, e forse soprattutto a Walter Rodney, per riprendere e rilanciare un discorso di sviluppo complementare, autonomo e autodeterminato, nelle zone della Tricontinental, per porre il discorso di un nuovo equilibrio internazionale, di un nuovo dialogo internazionale, come dice Papa Francesco, cioè di una nuova (anche qui in termini gramsciani) filosofia della prassi, che metta al centro il distacco dall’”Azienda Mondo” (espressione di Osea Jaffe) ovvero il “De linking” (espressione di Samir Amin) dai meccanismi della tendenza imperialista e della tendenza del capitalismo nella sua “fase suprema”.
Quindi si tratta di lottare non soltanto per l’indipendenza, non soltanto per il controllo delle risorse, non soltanto contro l’estrattivismo illegale, ma fare una battaglia contro lo sfruttamento della manodopera, lo sfruttamento minorile, e distribuire diversamente la produzione di ricchezza”.
Secondo la Scuola di Vasapollo, “tutto questo implica la necessità, anche da parte dei militanti di tutto il mondo, di un impegno a sostegno di una nuova visione delle relazioni internazionali, che oggi metta al centro la battaglia contro la guerra, ovvero di una battaglia di civiltà contro il traffico delle armi, la vendita delle armi che è sempre e comunque un traffico illegale, e sul discorso dell’autodeterminazione e della decolonizzazione abbiamo fatto riferimento oltre che a Samir Amin e Osea Jeffe anche a questo altro grande storico e intellettuale della Guyana che è Walter Rodney, il quale ci dà una visione analitica di come l’Africa sia stata un continente ricco e prospero prima dei colonizzatori.
Questo significa riprendere il discorso di Gramsci sul nostro Sud prima dell’unità d’Italia: il Sud Borbonico non stava sicuramente peggio, in termini di risorse anche finanziarie, di come stava l’area del Nord sotto ai Savoia. Così prima della colonizzazione, l’Africa era un continente con le sue capacità di creare ricchezza pure rispetto a quelli che erano gli standard, chiamiamoli così, di comparazione con altri paesi.
Addirittura gli indicatori internazionali, i trend delle serie storiche, ci dicono che il cosiddetto sottosviluppo dell’Africa si acutizza fortemente proprio con il periodo della colonizzazione”.
“Una verità sconvolgente per la cultura europea che Rodney – osserva il gruppo di Vasapollo – proclama negli anni ’70 scrivendo un bellissimo libro, ‘How Europe Underdeveloped Africa’ per spiegare come l’Europa abbia ‘sottosviluppato’ l’Africa, un libro che denuncia l’impatto negativo del colonialismo europeo.
In questa visione – che la Scuola di Economia Antropologica fa propria – il colonialismo europeo diventa l’elemento di sfruttamento, di genocidio e di appropriazione delle risorse africane, l’occasione per l’accumulazione originaria, per l’accumulazione primitiva, cioè prima appropriandosi delle persone, con il commmercio degli schiavi, appropriandosi dei territori con il colonialismo e poi, ora, appropriandosi delle risorse, con il neo colonialismo e le multinazionali”.
Rodney è paragonato, nella conversazione con FarodiRoma, al grande studioso Eduardo Galeano, autore di “Le vene aperte dell’America Latina” che denuncia le responsabilità del colonialismo europeo nelle ingiustizie subite dal Continente Americano.
“Walter Rodney – sottolinea la Scuola – ci mostra ‘le vene aperte’ dell’Africa, il cui impoverimento è un processo di dipendenza, una creazione delle leggi economiche capitalistiche e della divisione internazionale del lavoro e quindi contribuisce alla disparità e allo stato di assoggettamento dell’Africa. Rodney già in negli anni ’70 mette al centro il problema dell’autodeterminazione e lo fa in maniera chiara spiegando che l’Africa deve poter beneficiare in proprio al massimo delle sue risorse, ma non soltanto le risorse minerarie ma anche le risorse dell’agricoltura e poter creare un’industria cioè esplicare una capacità di autonoma industrializzazione, per promuovere uno sviluppo che abbia delle caratteristiche non solo contingenti ma strutturate.
Rodney aveva già in mente oltre 40 anni fa dei processi di nazionalizzazione, come li proponiamo noi oggi in Italia quando diciamo che le aziende decotte, le aziende in crisi, devono essere ristrutturate e nazionalizzate. Cioè uno stato interventista e capace di rompere con le multinazionali, con le economie straniere, e partire con i processi di nazionalizzazione delle risorse, con la nazionalizzazione si può avere un controllo delle risorse naturali un controllo e fuori dalle dinamiche dello sfruttamento straniero e quindi poter trasformare le risorse in benessere sociale collettivo e le risorse interne in uno sviluppo a compatibilità socio economica”.
Purtroppo, però, l’Africa è, e attualmente continua ad essere, “un continente depredato completamente”, anche se “non sono mancati movimenti di cooperazione in una serie di paesi che, aiutati per esempio da Cuba, hanno espresso a suo tempo delle vie di alternativa all’imperialismo pensiamo per esempio all’Angola e al Mozambico, paesi che oggi diciamo non possiamo certo chiamare socialisti o paesi in transizione verso la pianificazione socialista, ma facendo riferimento a quel processo storico di lotta di liberazione di decolonizzazione continuano a mantenere perlomeno caratterizzati da politiche e iniziative assolutamente innovative che cercano di dare un loro contributo nella creazione di quello che è il nuovo ordine mondiale, cioè con una visione autonoma dello sviluppo”.
La Scuola di Vasapollo si impegna dunque ad approfondire come anche in Africa avanzi “la questione della sovranità sovranità politica e della sovranità economica quindi dell’autosufficienza e del controllo delle risorse e cioè la volontà di affermare una propria idea-vita, questo significa che si è messo insieme quelle che erano esigenze di sviluppo materiale, quindi diciamo così dello sviluppo quantitativo materiale con lo sviluppo qualitativo che comprende accanto alla crescita economica e a una sua equa distribuzione a tutta la ppolazione anche la pratica della spiritualità che è estremamente importante per i popoli, perché il fatto che esistano confessioni religiose diverse dà un’identità forte, una forte coesione sociale ovviamente anche a questi paesi africani.
Rodney stesso negli anni ’60 e ’70 ci dice che la caratteristica religiosa dello sviluppo sociale è utile per cementare, per dare forza, diciamo così, a un legame tra materialità e spiritualità, per far emergere in maniera autonoma e autosufficiente un’idea autentica dell’Africa che implica giustizia sociale e sviluppo sostenibile”.
Si tratta, rileva il gruppo dei ricercatori guidato da Vasapollo, di “saper cogliere le grandi evidenze che hanno posto non solo la crescita ma modelli di sviluppo alternativi al capitalismo e questo è estremamente importante perché è riportabile anche nelle aree africane, in particolare nei paesi dei Grandi Laghi, dove ci sono nazioni che chiedono di entrare nei Brics, come il Congo e altri, che appunto vogliono sostituire la dipendenza economica e finanziaria da paesi colonialisti e imperialisti come la Francia e gli Stati Uniti, ponendosi fuori da quello che è lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, dallo sfruttamento della natura, dallo sfruttamento dei minori e dalla corruzione del contrabbando del traffico illegale di risorse, armi, persone”.
Ai vari livelli, e per la Scuola non c’è solo quello accademico e teoretico, ma anche quello di aiuto ai governi e movimenti impegnati in queste trasformazioni, occorre lottare per “rendere libera e pacifica la circolazione delle persone, delle merci dei servizi, e quindi far sì che i popoli si distacchino dalla dipendenza economica commerciale e monetaria della Francia e degli Stati Uniti e creare così una aerea di scambio più favorevole a valorizzare le risorse naturali, seguendo dei meccanismi di tendenza, e per attivare politiche appunto di cooperazione e di equilibrio a livello internazionale”.
L’obiettivo intermedio è “la costruzione di nuove alleanze pluripolari, oltre che l’allargamento dei Brics”. Spinge in questa direzione il movimento del G77 che oggi è presieduto da Cuba.
Conclude il gruppo di Vasapollo: “se vogliamo oggi parlare di una Tricontinental, di un’area dei non allineati che si ponga immediatamente al servizio non solo del pluripolarismo ma anche con ipotesi di caratterizzazione di una libera e pacifica convivenza, dobbiamo impegnarci per un nuovo ordine economico sociale e politico globale, per il potenziamento di accordi multilaterali e per una cooperazione e una complementarietà internazionale che non può prescindere assolutamente dalle prospettive per il conseguimento di una prassi di indipendenza che deve mirare ovviamente prima di tutto alla libertà politica, a quella economica, alla collaborazione, alla complementarietà fra nazioni e a contrastare tutte la violazione dei diritti umani e quindi l’eurocentrismo l’occidentalecentrismo e il natocentrismo”.
* da IlFarodiRoma
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