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Impeachment per Biden, la corsa per le presidenziali a colpi di giustizia

Ieri Kevin McCarthy, speaker della Camera statunitense, ha annunciato l’avvio delle procedure per aprire un’indagine per impeachment contro Biden. Le accuse riguardano ostruzione, corruzione e abuso di potere, e si concentrano in particolare sui benefici che il presidente avrebbe ottenuto dagli affari del figlio Hunter.

McCarthy, repubblicano strettamente legato a Trump, aveva seguito il tycoon nel difficile passaggio delle scorse presidenziali (pur condannando poi l’attacco al Campidoglio) e da lui era venuto infine il via libera per l’elezione alla terza carica del paese. Ora «restituisce il favore» in una lotta sempre più serrata per Washington.

Egli ha infatti affermato che Biden “ha mentito al popolo americano sugli affari esteri della propria famiglia”, in riferimento ad alcuni accordi stipulati dal figlio Hunter con governi stranieri, tra cui Cina e Ucraina. Vi sono inoltre accuse per cui il Dipartimento di Giustizia avrebbe ostacolato le indagini in questa direzione.

Non ci sono prove dirette del coinvolgimento del presidente statunitense in attività illecite, ma l’obiettivo di McCarthy è proprio quello di usare l’impeachment per imporre a Biden di rispondere a domande finora eluse. E ovviamente quello di mettere sotto pressione il presidente uscente.

Uno dei portavoce della Casa Bianca, Ian Sams, ha commentato dicendo che i precedenti 9 mesi di indagini hanno dimostrato l’estraneità di Biden ai fatti contestati e al processo del figlio. In un post su X (il fu Twitter) ha scritto che si tratta di “estremismo politico nella sua forma peggiore”, richiamando in questo modo anche i fatti di Capitol Hill.

Ma anche i democratici sanno che si tratta di un gioco delle parti, anche se certamente più turbolento di quello che siamo abituati a vedere quando si parla di Washington, a dimostrazione della grave crisi politica del paese.

Un imputato per lato, Trump e Biden, anche se è da vedere se si arriverà a una qualche sentenza concreta.

La decisione di McCarthy serve inoltre, e forse ancor più che per la corsa presidenziale, a ricucire gli strappi interni ai repubblicani. Lo speaker era sotto scacco da mesi da parte della corrente più reazionaria del partito, guidata dal rappresentante trumpiano della Florida Matt Gaetz, che però ci ha tenuto a sottolineare come l’impeachment sia solo “un piccolo passo”.

Difatti, a McCarthy rimane il nodo della scadenza del 30 settembre per il finanziamento del governo rispettando le promesse fatte all’House Freedom Caucus (l’ala più conservatrice dei repubblicani) per la sua elezione. Se dovesse affidarsi ad alcuni democratici, Gaetz ha già fatto intendere che non avrebbero problemi a rimuoverlo dalla sua posizione.

Probabilmente ad ora non ci sono nemmeno i numeri per porre davvero sotto stato d’accusa Biden. Intanto però il “piccolo passo” ha permesso di allungare ombre su sue relazioni con il grande nemico cinese e con un’Ucraina verso cui il sostegno comincia a vacillare, soprattutto nell’elettorato a cui «l’elefantino» si rivolge.

La corsa alle presidenziali sta entrando nel vivo, con un establishment a stelle e strisce sempre più lacerato. E soprattutto lontano da un sentimento popolare acceso innanzitutto dalla retorica trumpiana, che ormai va ben oltre le capacità di controllo del tycoon.

Sarà una fase da seguire con attenzione per le ripercussioni mondiali della morente egemonia USA.

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