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«See you at the picket line!». Si estende lo sciopero nell’auto USA

Con un live di Facebook di una ventina di minuti, trasmesso ieri alle dieci di mattina statunitensi, Shawn Fain, presidente dell’United Auto Workers International, ha comunicato che lo sciopero per il rinnovo del contratto con le Big 3 verrà esteso alla componentistica di General Motors e Stellantis.

Le due case automobilistiche sono intatti le più sorde alle richieste dei lavoratori, a differenza della Ford.

Saranno perciò 38 gli stabilimenti in 20 Stati ad essere interessati allo sciopero che riguarderà così altri 5.000 lavoratori. 18 stabilimenti per quanto riguarda la GM, gli altri 20 sono invece di Stellantis.

Questa escalation toccherà quindi anche i cosiddetti Parts distribution centers (PDCs) che forniscono la componentistica successivamente alla vendita (i ricambi, insomma), un settore molto lucrativo per GM e Stellantis.

Dalle prime immagini e video giunti dai picchetti spicca lo slogan: «No Pay, no parts!».

Come riportano Luis Feliz Leon e Lisa Xu su Labor Notes: «La maggior parte delle facilities hanno tra i 50 ed i 150 lavoratori, ma alcune sono molto più grandi. Secondo GM, il Davidson Road Processing Center a Burton, Michigan, ha più di 1200 lavoratori e gestisce un flusso di 9,9 milioni di pezzi di ricambio al mese, soddisfacendo gli ordini per il mercato domestico ed internazionale. La GM ha investito 168,5 milioni di dollari in questo stabilimento che si estende un milione di piedi quadrati» (un piede equivale circa a poco più di 30 cm).

Fino ad oggi le Big 3 hanno miseramente fallito nel contenere gli effetti della vertenza.

La strategia finora messa in campo dalla UAW ha fatto sì che le case automobilistiche non riuscissero a prendere le necessarie contromosse praticando controproducenti serrate e, in alcuni casi, tentando disperatamente di assumere personale non sindacalizzato per svolgere il lavoro degli strikers, senza però riuscire a sopperire alla mancanza di straordinari usati massicciamente – specie tra i temp workers – per raggiungere gli obiettivi produttivi giornalieri, a scapito dell’ampliamento dell’organico.

L’indicazione Eight and Skate, cioè fare le otto ore ed andarsene, sembra essere stata massicciamente seguita.

Nella sua comunicazione, Fain, prima di parlare della lotta per il rinnovo del contratto, passa in rassegna una serie di vertenze in cui il sindacato è impegnato, ricordando che lo Stand Up Strike non si limita alla lotta per strappare alle Big 3 un “record contract”, ma si estende a tutto il corpo della UAW.

Fain, dopo avere elencato – con relativo supporto grafico – gli stabilimenti della supply chain dove i lavoratori inizieranno ad incrociare le braccia a partire da ieri pomeriggio, e dopo aver ricordato che i circa 13.000 lavoratori già in sciopero in tre stabilimenti (Ohio, Michigan, Missouri) continueranno l’agitazione, termina indicando le sezioni del sindacato (local seguito da un codice numerico) che hanno mostrato la propria preparazione a scioperare – “ready to strike” – e che devono tenersi pronti ad entrare in ballo.

Invita – o sarebbe meglio dire sfida – il Presidente degli Stati Uniti ad unirsi ha picchetti per dimostrare da che parte sta l’autorità pubblica.

Per la precisione Fain invita tutti, «dai nostri amici alle famiglie fino al Presidente degli Stati Uniti», ad unirsi ai picchetti.

Tutti i sondaggi continuano a rilevare un sostegno maggioritario e in crescita nei confronti dell’azione dei lavoratori dell’automotive; un consenso trasversale a livello di indicazione di voto e di età.

Paul Best, in un articolo del 21 settembre sul sito di More Perfect Union, riferendosi all’ultima indagine d’opinione, riporta: «Il sondaggio mostra che anche una porzione di votanti per Trump e americani che si auto-definiscono conservatori sostiene lo sciopero con un margine vicino al 2 ad 1. Circa il 70% dei votanti per Biden e votanti che si definiscono liberals supportano la scelta della UAW di scioperare».

Si tratta di una sconfitta per la narrazione dei corporate media che hanno cercato di rappresentare negativamente l’azione della UAW e lo stesso Fain, che ha toccato corde profonde della working class statunitense sia per le richieste avanzate, sia per l’idea di forza che la categoria è tornata ad ispirare.

Dalla seconda metà degli Anni Trenta del secolo scorso la UAW, in pieno New Deal, insieme ad altri settori dell’allora nascente industrial unionism della CIO, imposero con lotte durissime il loro riconoscimento e cominciarono a fissare quello che è diventato una sorta di Gold Standard per la classe operaia nord-americana in termini salariali e di capacità contrattuali, compiendo quel passaggio ad una “democrazia industriale” dove i lavoratori in quanto classe – come soggetto collettivo – non potevano più essere ignorati o passati per la baionetta.

Un ruolo di avanguardia che mantennero dal Secondo Dopoguerra, affiancando per esempio il Civil Rights Movement, negli Anni Settanta del secolo scorso.

Negli Anni Sessanta/Settanta all’interno del sindacato si svilupparono nuclei di operai radicali afro-americani e non solo che articolarono forme di lotta più avanzate – “rifiuto del lavoro”, sabotaggio, scioperi a gatto selvaggio – e rivendicazioni che andavano molto oltre le istanze portate avanti dall’aristocrazia operaia dentro il sindacato.

Erano gli effetti di un processo di politicizzazione che era stato preceduto ed accompagnato dai riots nei ghetti urbani del Nord industriale e dal movimento contro la guerra in Vietnam.

Con la pesante ristrutturazione del settore prima, lo spostamento degli stabilimenti nel Sud degli Stati Uniti, ed il dumping salariale poi, anche grazie alla complicità di una dirigenza rinuciataria e collusa, la funzione della UAW era venuta meno.

Se ancora a fine degli Anni Ottanta 4 lavoratori su 5 dell’automotive erano del Mid-West, ora il numero di operatori nell’ex cuore produttivo del settore è praticamente pari a quello nel Sud, dove però  la presenza sindacale è notevolmente inferiore.

Recentemente la California è diventata il secondo Stato con la maggiore presenza di auto-workers, parallelamente allo sviluppo della Tesla, dove comunque la UAW non è presente a causa della politica ferocemente anti-sindacale di Elon Musk.

Torniamo alla questione salariale.

Al netto dell’inflazione, l’anno scorso, con una media di 32,7 dollari all’ora  un lavoratore dell’automotive di uno stabilimento sindacalizzato guadagnava il 30% in meno rispetto al 2003.

Questi lavoratori hanno visto scandere il proprio stipendio dal 1993 al 2023 più degli altri 166 settori tracciabili, secondo una recente inchiesta del Washington Post a firma Andrew Van Dam e Jeanne Whalen, basata sulle statistiche ufficiali disponibili.

Come viene messo in evidenza da parte del WP vi è un sentimento condiviso da parte di questi lavoratori: «molti di loro si sentono di stare peggio dei propri genitori e dei familiari più anziani che hanno lavorato nell’industria».

Ma come sembra, sono fermamente intenzionati ad invertire questa tendenza.

Un particolare interessante, citato da Fain, è il fatto che sta crescendo l’attenzione a livello internazionale per la vertenza ed il sostegno ai lavoratori dell’automotive statunitense, a cominciare dai colleghi in Canada e quelli in Messico. «Il mondo ci sta guardando» dice Fain, e non ha tutti i torti.

É un segnale estremamente importante che, nella patria della controrivoluzione neoliberista, i suoi dogmi si stiano frantumando sotto i colpi del sindacalismo combattivo delle tute blu, che fa il pieno di consensi tra la popolazione.

Concludiamo con una nota di colore abbastanza suggestiva.

Vi ricordate di una scene madri del film Spartaco, diretto da Stanley Kubrick, uscito nel 1960, quando viene chiesto agli schiavi sconfitti ma non domati chi di loro fosse il capo della rivolta?

Nella geniale rivisitazione apparsa sulla pagina della UAW, con il titolo “le sezioni della UAW che aspettano di entrare in sciopero”, si riprende quello spezzone, con gli schiavi si alzano in massa dopo Kirk Duglas (UAW) per dire “Io sono Spartaco!”, su ognuno di loro appare un banner nero con la scritta bianca con la sezione locale del sindacato.

E se questa non è “coscienza di classe”…

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1 Commento


  • Maurizio

    nella patria del neoliberismo sui sciopera per adeguamenti salariali mentre in quella del fondatore del pensiero comunista italiano dove i salari sono i più bassi deuropa c’è landini

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