L’opposizione tra “dittatura” e “democrazia” sembra facile da spiegare. Basta chiudere gli occhi sulla realtà e sparare scemenze in base a princìpi ideali appena orecchiati.
Ogni volta che vi dicono “imponiamo la democrazia” in un altro Paese – mentre qui si fa di tutto per ridurla alla scelta tra “volete essere governati da un ladro o un imbecille?” – siete di fronte alla più consolidata presa per i fondelli dei tempi moderni.
In cui, come alla StraBerry di Cassina de’ Pecchi, si snocciolano una serie di frasi politicallly correct davanti alle telecamere e poi si trattano con la frusta i braccianti migranti che hanno la sfortuna di lavorarci.
E’ questa la realtà politica del capitalismo attuale: princìpi astratti nei discorsi e dispotismo assoluto nei rapporti reali. Buona lettura.
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C’è un equivoco, e grosso, sul ruolo degli Stati Uniti nel mondo. Sui giornali italiani si leggono cose strane sulla politica estera Usa. Per esempio che Trump ha preferito i dittatori rispetto alle democrazie, alimentando una corrente di simpatia occidentale ed europea nei confronti degli autocrati.
Le cose non stanno per niente come vengono descritte. Gli Stati Uniti amano le dittature e le autocrazie che sono loro utili, sotto qualunque presidente, democratico e repubblicano: contrastano i dittatori quando diventano inutili oppure ostili. E’ talmente fessa l’affermazione fatta sui nostri quotidiani che bastano pochi esempi a smentirla.
Prendiamo l’ultimo accordo tra Israele e gli Emirati, che non è un accordo di pace perché Abu Dhabi non è mai stato in guerra con lo stato ebraico. L’intesa riguarda appunto gli Emirati Arabi Uniti, una monarchia assoluta in mano alla dinastia dei Bin Zayed, dove non c’è nulla di democratico e dove i diritti dei non cittadini e degli stranieri, la maggior parte di quelli che ci lavorano, non vengono minimamente tutelati.
Ma questa monarchia assoluta viene tollerata perché compra a piene mani armi americane e occidentali, facendo finta di essere persino una potenza autoctona dello spazio. Una cosa ridicola in un Paese dove anche i meccanici di automobile vengono da fuori.
Un esempio ancora più eclatante è quello della vicina Arabia Saudita dove il principe Mohammed bin Salman è stato il mandante dell’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi, torturato e fatto a pezzi dai suoi servizi segreti nel consolato saudita di Istanbul.
Oggi ovviamente si parla molto di Navalny, avvelenato in Russia e in coma in Germania, ma non di Khashoggi, perché il principe Bin Salman non soltanto è amico di Trump e di suo genero Jared Kushner ma anche di tutto l’establishment americano, democratici compresi.
Gli americani proteggono questa monarchia assoluta dal 1945 in base agli accordi stretti dal presidente democratico Roosevelt, che ha fatto del regno petrolifero dei Saud, custodi di Mecca e Medina, il maggiore alleato americano in Medio Oriente. I rapporti tra Washington e Riad si sono guastati quando Obama ha fatto l’accordo sul nucleare con l’Iran nel 2015, che Trump ha prontamente stracciato su richiesta di Arabia Saudita e Israele.
Pensate forse che Biden, se fosse eletto, cambierebbe le cose? Ma quando mai… L’Arabia Saudita è il più importante acquirente di armamenti americani e Riad ha sempre finanziato le campagne elettorali Usa, talvolta scegliendo proprio candidati democratici come Hillary Clinton che ricevette importanti contributi proprio dal principe Bin Salman: 25% dei costi della campagna elettorale, per sua stessa ammissione all’agenzia giordana Petra, che dopo avere pubblicato la notizia la fece prontamente cancellare dai suoi canali di diffusione.
Alcuni dittatori che non ci sono più come Saddam Hussein prima di essere attaccati da Washington nel 2003 – con le false prove che possedeva armi distruzione di massa – facevano parte della sfera degli interessi americani e dei loro alleati sunniti nel Golfo.
Gli Usa appoggiarono e le monarchie del Golfo finanziarono la guerra del 1980 di Saddam contro l’Iran dell’Imam Khomeini, che l’anno prima aveva abbattuto lo Shah Reza Palhevi, ovvero uno dei principali alleati Usa in Medio Oriente, un dittatore che aveva avviato programmi atomici senza che gli americani allora avessero nulla da obiettare.
Ora le anime belle che fanno disinformazione nel nostro Paese sostengono che Biden potrebbe cambiare le cose. Speriamo di no. Perché ogni volta che i democratici, ma anche i repubblicani, intendono esportare la democrazia nel mondo combinano qualche guaio.
Il caso della Libia di Gheddafi è emblematico: insieme a francesi e inglesi hanno abbattuto certamente un feroce dittatore, ma lasciando un caos terrificante che si è riflesso anche per noi in costi economici e umani altissimi e ondate di migranti lasciati affogare nel Mediterraneo.
Qualche dittatore, con il sostegno di altri dittatori, ha resistito: è il caso di Assad in Siria che con l’aiuto di Putin e dell’Iran degli ayatollah è ancora in sella, benché oggi sia il leader di un Paese distrutto e anche monco, visto che Israele occupa il Golan siriano dal 1967 e la Turchia il Nord della Siria.
A proposito della Siria c’è da notare che qui gli Usa hanno abbandonato i curdi siriani al loro destino, dopo che se ne sono serviti come di una fanteria a basso costo contro i tagliagole del Califfato: sono 10mila i curdi uccisi nelle battaglie contro l’Isis, pensate se si trattava di impiegare sul terreno soldati americani o europei.
Gli Usa di Trump li hanno fatti massacrare da Erdogan che aveva utilizzato i jihadisti per tentare di disarcionare Assad e adesso impiega gli stessi terroristi islamici per tenere in pugno la Tripolitania, dove ha appena ottenuto la base navale di Misurata per 99 anni e quella aerea di Al Watiya, sancendo l’uscita di scena dell’Italia ridotta ormai da media a piccola potenza.
In realtà a essere atlantisti e così amici degli americani come i nostri giornali e i nostri governi non si portano a casa, apparentemente, dei gran vantaggi. Ma sembra che neppure se ne accorgano.
* dal Quotidiano del Sud
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