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Il ‘Nunca mas’ nel deserto del Sahara

Mai più. Recitava il titolo del rapporto sui ‘desaparecidos’ delle guerra ‘sporca’ in Argentina negli anni ’70. Il documento in questione metteva in evidenza i nomi delle vittime, il sistema organizzato di prigionia, il tipo di tortura inflitto ai ‘dissidenti’ del regime militare che aveva preso il potere nel Paese. Migliaia di persone ‘scomparse’ da casa, dal lavoro, in strada, nelle scuole o università avevano trovato un ultimo e definitivo eco nel rapporto citato.

Mai più (Nunca mas) era intitolato come per affermare solennemente che quanto accaduto non avrebbe più dovuto riprodursi nel futuro. Purtroppo gli scomparsi continuano a perpetuare le liste nelle frontiere dove la mobilità umana sembra incompatibile con la marcia della globalizzazione.

Soldi, mercanzie, giocatori di calcio, diplomatici, turisti e commercianti possono viaggiare e spostarsi liberamente e felicemente. Per chi è nato ‘dalla parte sbagliata’, come ricordava una vecchia canzone di Jean Jacques Goldman, è destinato, d’ufficio, a scomparire e, se possibile, senza lasciare tracce alcuna.

Da anni, ormai, siamo stati testimoni di queste quotidiane sparizioni di migranti nel deserto di sabbia e nel deserto di mare. Tra i due non c’è soluzione di continuità perché il primo e ‘fontale’ deserto si trova nel cuore del sistema stesso, nato per escludere chi non è nato ‘dalla parte giusta’ del mondo.

Si è creata una sorta di complicità tra i processi di esternalizzazione delle frontiere europee e le politiche dei Paesi del Maghreb. I controlli delle frontiere, le espulsioni e deportazioni più in là, in pieno deserto verso il Paese confinante, hanno, in questi anni, prosperato anche grazie alle comuni politiche di ‘collaborazione’ nella gestione delle migrazioni.

Gli scomparsi a volte tornano e raccontano l’accaduto nella fossa che separa l’Algeria dal Marocco a Oujda e le reti metalliche installate a Ceuta e Melilla, ‘enclaves’ spagnole in Marocco e soprattutto le quotidiane forme di morte sociale cui sono destinati i migranti sub sahariani.

I loro nomi e le loro storie ci arrivano di prima mano, solo quando esse trovano uno sguardo e un orecchio libero all’ascolto che ‘umanizza’ quanto è stato sistematicamente tradito durante il viaggio intrapreso.

Mai più, scrivono sulla sabbia quanti hanno patito e sofferto a causa di ciò che sono e cercano. Il sistema sembra incapace di leggere ciò che l’umana mobilità porta e comporta come radicale novità di vita e di pensiero.

I migranti arrivano dal deserto con le mani nude il cuore gonfio di attese e speranze di un mondo differente. Fanno di tutto per non scomparire tra i fondi fiduciari affidati alle grandi ONG che finanziano progetti di sviluppo che dovrebbero toccare le radici profonde delle cause delle migrazioni. Oppure, in cambio, la formazione offerta da Eucap Niger (espressione dell’Unione Europea) per imparare a controllare meglio le frontiere, i documenti e i traffici frontalieri.

Poi ci sono le politiche delle autorità del Marocco, l’Algeria, la Tunisia senza dimenticare l’inferno libico (finanziato per esistere e riprodursi) che prendono i migranti come ostaggio per negoziare contratti, geopolitiche e soprattutto manna finanziaria.

Mai più scrivono sulla sabbia gli ‘esodanti’ e gli avventurieri di questo mondo altro che fatica a partorire il nuovo.

Lei, Sadamata, arriva con la sua piccola Fatima di un anno. Nata in Sierra Leone e portata con loro in Algeria. Hanno vissuto per sei mesi lavorando finché il papà della bimba è stato ucciso e la mamma espulsa e deportata al confine.

Per qualche giorno rimane ospite della locale compagnia di trasporto Rimbo di Niamey e poi, con una valigia e una borsa dove ha custodito la memoria del suo viaggio di fuga dal Paese natale, dorme fuori, sulla strada. Con lo sguardo mite attende che si apra una porta per entrare, finalmente, nel futuro dove sua figlia, bella come lei, possa disegnare il profilo di un’umanità degna di questo nome.

Mai più, scrisse il rapporto sulle sparizioni in Argentina.

Mai più ha appena sussurrato la piccola Fatima, nella braccia di sua madre.

 Niamey, settembre 2023

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