Se la discendenza in linea diretta da volontari repubblichini non significa, per ciò stesso, adesione ai “miti” di quella schiatta, una carriera nelle redazioni di giornali padronali è invece quasi sempre – con le dovute eccezioni – sinonimo di compartecipazione alla propaganda liberal-triviale, nelle varie accezioni che mutano in virtù delle contingenze economiche e politiche.
E quale il motivo trainante di tale propaganda al momento? Considerate le “titubanze” mostrate, se pur controvoglia e dettate più che altro da circostanze elettorali, la strada maestra continua a esser quella delle forniture di armi alla junta golpista di Kiev.
Junta che, da poco meno di nove anni, sotto mandato di FMI e Banca Mondiale (BM), tiene sotto il tallone la popolazione ucraina, mentre semina terrore nelle regioni sudorientali del paese, eseguendo con ciò gli ordini euroatlantici che, a lungo andare, hanno sortito l’effetto voluto: provocare la reazione russa in risposta all’allargamento della NATO e allo spostamento sempre più a est di armamenti strategici, basi e contingenti militari USA e NATO.
Se questa è la strada indicata, è necessario stroncare, mediaticamente e spesso anche materialmente, ogni minimo passo che cerchi di mettere in dubbio le omelie padronal-governative.
Quotidianamente, se ne incaricano decine di redazioni che si distinguono l’una dall’altra solo per il linguaggio ora più “signorile”, ora più grossolano.
Tra gli ultimi “vade retro” lanciati, ha detto la sua (si fa per dire: l’ordine è dato, e può essere eseguito o con nonchalance, o con la bava alla bocca) quella sorta di bollettino yankee che risponde al nome di HuffingtonPost, prendendosela con l’ANPI, colpevole di parteggiare «spudoratamente per l’invasore Vladimir Putin». L’ANPI, definita «solo la caricatura di sé stessa, vanta titoli morali immeritati».
Per una volta che l’ANPI – che, lo ricordiamo agli articolisti yankeezzati, secondo i quali è solamente una «sigla vuota», «un gruppetto di persone che non possono vantare nessun passato glorioso», è oggi innanzitutto una associazione antifascista – riesce ad assumere una posizione che la distingua in qualcosa dal PD, ecco che viene presa di mira dagli atlantisti liberal-guerrafondai. E con che toni!
Verrebbe da rispondere, a chi ne scrive su HuffPost, che la loro scomunica arriva con riprovevole ritardo. Difficile ricordare tutte le volte in cui, da un anno e mezzo a questa parte, i diversi “liberal-resistenti” con gli occhi lucidi per «i veri partigiani ucraini», si sono cimentati in paragoni, azzardati quanto vomitevoli, con la Spagna del 1936, l’Italia del 1945 o il Cile del 1973.
A tutti loro, lo ripetiamo anche a uso e consumo dei “ritardatari”, si dovrebbe chiedere se considerino “veri resistenti” anche i volontari delle Waffen SS di mezza Europa che, a Berlino, nel 1945, “resistevano” all’avanzata sovietica, oppure i franchi tiratori repubblichini che “resistevano” ai partigiani italiani e alle truppe alleate.
A tutti coloro che sono in vena di simili “parabole”, ci limitiamo a ricordare che la Resistenza, in Italia, per cacciare l’invasore nazista e metter fine a vent’anni di dittatura mussoliniana, aveva chiari caratteri e obiettivi antifascisti e un netto contenuto di classe ed era diretta, per l’appunto, contro i nazifascisti, e non a sostenere gli aperti nazisti, mentre mirava anche a debellare un ceto politico e una classe borghese che il fascismo lo avevano voluto e sostenuto.
Sembra invece che quei signori liberal-militaristi abbiano udito la parola “resistenza” e, inebriati del suono, le abbiano attribuito un significato e un contenuto univoci, validi in eterno, adattabili a ogni situazione e intercambiabili in base alle esigenze politiche di chi, al momento, ne fa uso.
A coloro che terminano le proprie orazioni al grido di “Slava Ukraine”, vorremmo ricordare che tale slogan, oggi tornato così in voga nell’Ucraina dei nazigolpisti, era stato ampiamente usato dai macellai di OUN-UPA e, quantunque risalisse ai nazionalisti ucraini del XIX secolo, negli anni ’30 del secolo scorso gli adepti di Stepan Bandera lo gridavano sul calco del nazista “Heil Hitler”; cui gli hitleriani rispondevano “Sieg heil”, mentre nell’Ucraina occupata dagli eserciti dell’Asse (anche rumeni, ungheresi e italiani: l’attuale Donetsk, all’epoca chiamata Stalino, era sotto occupazione italiana e da quelle parti hanno un’altra idea della “brava gente”) i banderisti rispondevano con “Gerojam slava”. Così, per precisare.
Ma, ci si ricasca: «I finti partigiani italiani», dal momento che non sarebbero altro che un «paravento del più trito e testardo filo-sovietismo», ecco che «si schierano contro i veri partigiani ucraini» – tuona la voce dal pulpito euro-atlantico – avendo in mente da un lato gli aderenti all’ANPI e, dall’altro, per quanto si possa intuire, i nazisti di “Azov” e di tutti gli ex battaglioni o reggimenti, poi inglobati nell’esercito “regolare” golpista, per lo più con funzioni di plotoni di esecuzione nei confronti di civili e anche di militari di leva o richiamati che preferirebbero arrendersi, piuttosto che morire per una junta che risponde agli interessi economici e geopolitici euro-atlantici.
Questi sarebbero i «veri partigiani ucraini», mentre gli altri non sono altro che “triti e testardi filo-sovietici”, nei quali “riemerge la nostalgia dell’URSS”.
Strano, vien da dire, che a «tutte le nefandezze compiute da Putin contro l’Ucraina, a cominciare dalla deportazione dei bambini in Russia», non si associ un rimando ai “comunisti russi che mangiano i bambini”.
Perché, in effetti, il quotidiano accostamento, perenne sui media di regime, tra Unione Sovietica socialista e Russia odierna, costituisce un “sistema matematico”, secondo loro infallibile, una equazione senza alcuna incognita. Dato per scontato, un assioma, una “verità della fede” insomma, che l’URSS sia stata una “dittatura sanguinaria”, il fluido passaggio da URSS a Russia rappresenta di per sé la “dimostrazione” dell’assunto.
Peccato che un minimo di ricerca storica e politica (certo, dove siano accessibili anche fonti diverse da quelle del Dipartimento di Stato) smontino ogni pezzo di tale “assioma” e, insieme a esso, anche l’odierna vulgata euro-liberale sulla «deportazione dei bambini in Russia».
Con toni diversi, che più si addicono a cattedratici che intervengono su un foglio autodefinentesi “comunista”, si assicura invece che «La propaganda di destra avanza, la guerra continua», col che si intende dire che la seconda sia causata dalla prima, per scoprire poi che, la prima, non è altro che la riluttanza di un numero crescente di paesi a mandare armi alla junta di Kiev.
E, in quei paesi, a spingere di più per una pausa o una cessazione delle forniture militari all’Ucraina, è ovviamente «la destra nazionalista e sovranista».
Va da sé che chiunque si ritenga un “vero democratico”, attaccato ai “valori europei”, non può che sostenere i dettami di Bruxelles, di continuare a tagliare le spese sociali, per fornire carri armati ai nazigolpisti.
Chi invece è titubante, chi plaude all’«Europa dei sovranismi», non fa che favorire «lo scenario che Vladimir Putin da tempo aspetta per rifiatare militarmente», e non si rende conto che oggi «imperversano un po’ ovunque commentatori anonimi e troll» che vorrebbero spingere la sinistra su «agende che la alt-right propugna ormai ovunque».
Insomma, di fronte alle «cataste di morti e crimini di guerra» del Cremlino, si esclama citando la strage avvenuta il 5 settembre a Groza, nella regione di Khar’kov, guarda caso proprio mentre Zelenskij a Granada chiedeva nuove armi (dalle parti di quel quotidiano, hanno avuto sentore dell’ammissione dello stesso NYT, a chi appartenesse il missile che un mese fa fece strage a Konstantinovka, in coincidenza con la visita di Blinken a Kiev?) «c’è una sfida di tenuta per le democrazie».
La conclusione non può che essere quella di imporre a tutti i recalcitranti di rimettersi in riga, perché «Un’Europa dei sovranismi, sembra quasi pletorico ricordarlo, è un’Europa debolissima».
Mentre l’Europa forte, quella che dieci anni fa spinse le bande di Kiev al colpo di stato armato, che otto anni fa tenne mano al golpista-presidente Petro Porošenko ai colloqui di Minsk al solo scopo di consentirgli di riorganizzare l’esercito praticamente al collasso, è l’Europa dei “valori liberali”; è l’Europa che deve continuare a mandare armi a Kiev, la cui missione è quella di perpetuare una guerra che, da parte USA e NATO, dovrebbe logorare la Russia, ma che sta mettendo in crisi la credibilità dei governi europeisti.
“Slava Ukraine. Slava Evrope”. La guerra e il capitale mondiale hanno bisogno di entrambe.
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