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Lettonia: ordinario afflato europeista per l’espulsione delle minoranze nazionali

In queste ore, in cui il cosiddetto diritto internazionale sembra non solo sospeso, ma completamente soppresso per milioni di persone che non hanno diritto nemmeno alla pietà, massacrate dai tagliagole di quello che le “democrazie” liberali hanno decretato essere “l’unica democrazia” del Medio Oriente, degna del completo sostegno europeista nelle sue pratiche hitleriane, può certo apparire riduttivo parlare di minoranze nazionali che rischiano “semplicemente” l’espulsione dal paese in cui risiedono.

Tanto più che si tratta di espulsione non a suon di bombe e cannonate, ma di semplici “lettere della felicità”.

Ci sembra però che la questione sia indicativa del modello di “democrazia” cui si ispirano, nella propria realtà interna, quelle “civiltà liberali” che, all’esterno, sostengono quella “unica democrazia” assediata da “regimi fondamentalisti e sopraffattori”.

E così: Riga ha imposto ad alcune migliaia di pensionati di origine russa di lasciare la Lettonia nel giro di novanta giorni. Si tratta di poco meno di quattromila (per ora) russi etnici, dei circa ventimila che, se finora erano qualificati come “non cittadini”, privi del diritto di voto e di alcuni elementari diritti, ora sono diventati, di fatto, “non persone”.

Privati di documenti, esclusi dalla pensione, dalle agevolazioni sociali e dall’assistenza sanitaria, alcuni letteralmente alla fame, vengono espulsi dal paese in cui vivono, nella stragrande maggioranza dei casi, sin dai tempi dell’URSS, se non addirittura nati nella Lettonia sovietica.

Nulla di straordinario, per carità: per “democrazie” che inneggiano ai veterani delle Waffen SS e gettano in galera comunisti, tale è l’ordinaria consuetudine europeista.

L’espulsione è stata decisa sulla base della legge adottata dalla Saeima lo scorso 1 settembre, per cui chi non sosterrà l’esame di lingua lettone dovrà lasciare il paese, e la cosa riguarda, appunto, circa ventimila dei venticinquemila russi della Lettonia.

A sottostare al ricatto saranno soprattutto le persone meno giovani (sono esclusi dall’obbligo di esame gli ultrasettantacinquenni), non in grado né di sostenere tale esame, né pagarsi un alloggio, privati come sono della pensione.

È vero, osserva Dina Karpitskaja su Komsomol’skaja Pravda che, in base ai documenti, essi sono cittadini russi: di fatto, sono però persone senza dimora, senza più nemmeno parenti o conoscenti in Russia cui rivolgersi.

Vero anche che, tra quella parte di popolazione lettone non indifferente al problema, si organizzano petizioni e si raccolgono fondi per tali anziani più bisognosi; ma, al momento, l’espulsione per almeno tremilaseicento russi rimane in vigore.

Esame di lingua a parte, sembra proprio che queste persone, “rimasugli dell’ideologia sovietica”, vengano espulse perché, secondo la Saeima, sarebbero improvvisamente diventate una “minaccia per la sicurezza”, reclutate dai Servizi russi come “agenti del Cremlino”.

Così che, per neutralizzare il pericolo, il parlamento ha emendato la legge sull’immigrazione, obbligando tutti i titolari di passaporti russi e bielorussi a sostenere un nuovo esame di lingua lettone per rinnovare il permesso di soggiorno permanente.

E la scadenza per l’esame, anche se in molti non ne avevano avuto notifica, era per l’appunto il 1 settembre. Il 2 settembre erano già partite le comunicazioni di espulsione: le cosiddette “lettere della felicità”.

L’origine del problema, spiega ancora Karpitskaja, risale al periodo della fine dell’URSS, quando quelle persone divennero improvvisamente “non cittadini”, dopo che il nuovo potere lettone decise che solo lettoni o persone giunte nel paese prima del 1940, o loro discendenti, potessero ottenere la cittadinanza.

Tutti gli altri ricevevano un passaporto di “non cittadino della Lettonia”, con diritti limitati e con limitate possibilità persino di recarsi in Russia per ottenere documenti russi.

Solo quando la Lettonia è entrata nella UE, nel 2004, è stata costretta suo malgrado ad abolire queste regole, mentre nel frattempo non erano molti coloro che erano davvero riusciti a a ottenere la cittadinanza russa e, quindi, il permesso di soggiorno lettone. Queste persone si trovano ora intrappolate nelle nuove regole anti-russe.

Un Consigliere della municipalità di Riga di etnia russa riporta questo esempio: «Marito lettone e moglie russa, lavoratori, senza figli. La moglie sessantottenne è invalida dal 2013, con problemi di memoria e di mobilità, oltre un intervento al cuore; il marito arrotonda la pensione come guardiano in fabbrica.

Il 2 settembre la moglie riceve l’avviso con l’obbligo di lasciare il Paese entro il 30 novembre e intanto le si annulla la carta d’identità, mentre non è ancora del tutto chiara la questione della pensione».

La cosa più odiosa è che tutte queste ventimila persone, ora minacciate di dover lasciare il paese, avevano a suo tempo già sostenuto un esame di lettone, senza il quale era impossibile trovar lavoro, nemmeno per fare le pulizie.

Ma ora sono costrette a sostenere il nuovo esame, tra l’altro particolarmente difficile: parlato, uditivo e scritto. E basta non superare una delle tre prove, per esser “condannati”; la maggior parte delle persone cade sullo scritto, soprattutto sugli accenti, i “garumzīme” (segni di lunghezza delle vocali come ā, ē, ī, ū) sebbene se la cavino discretamente nel parlato.

Se ci si pensa: quante persone anziane riescono a scrivere correttamente, nel proprio paese, nella propria lingua?

L’Unione dei russi di Lettonia riporta il caso di un pensionato che per due volte è stato bocciato all’esame; pare che gli esaminatori gli abbiano detto in faccia: «non vogliamo che superiate l’esame; vogliamo che ve ne andiate».

Fortunatamente, i deputati della Saeima non rispecchiano tutti i lettoni. Daugavpils è la città “più russa” della Lettonia. Duecento km a sud di Riga, vicina al confine bielorusso, l’80% della popolazione parla russo e migliaia di persone hanno passaporto russo.

Qui, c’è la più alta concentrazione di pensionati che sono stati privati di tutto; centinaia di anziani semplicemente non hanno da mangiare: solo l’associazione lettone “Rupes” organizza eventi di beneficenza per aiutarli almeno con il cibo.

Per paura di rovinare la propria “immagine europeista” con queste espulsioni di massa, la Saeima ha programmato audizioni sugli emendamenti alla legge sull’immigrazione già a suo tempo emendata.

Attivisti per i diritti umani si sono rivolti all’OSCE e all’ONU; gli eurodeputati lettoni Tat’jana Ždanok e Nil Ušakov (ex sindaco di Riga) hanno sollevato la questione a Bruxelles, quantomeno con un minimo risultato.

La Saeima ha concesso un’altra possibilità agli anziani che non hanno superato l’esame: ha prorogato per due anni il permesso di soggiorno a coloro che avevano provato a superare l’esame; altri, possono richiedere un permesso annuale se hanno parenti stretti, che siano cittadini o “non cittadini” della Lettonia.

Per tutti gli altri, oltre 3.600 persone, vale la “lettera della felicità” con scadenza il 30 novembre. È l’afflato europeista degli eredi delle Waffen SS.

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1 Commento


  • R.P.

    Confermo la difficolta´ della lingua lettone. Per noi occidentali viaggiare nei paesi baltici e´ un po´ un tuffo nel passato, comunque si puo´ fare. Un appunto alle autorita´ locali: tutti i cartelli sono bilingui, in lettone (o lituano) e russo. Va bene rispettare la storia, ma non si puo´ aggiungere una terza lingua conosciuta? Per me l´italiano e´ ottimo, ma penso l´inglese sia un buon compromesso. Cosi´ evitero´ la figura di entrare di nuovo in un bagno femminile perche´ avevo mal interpretato la scritta in lituano. Vabbe´! Cordialita´. R.P. 🙂

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