Stando al The Washington Post, da un po’ di tempo sia CIA che MI6 sarebbero preoccupati per le azioni dei Servizi di sicurezza (SBU) di Kiev, cui d’altra parte impartiscono lezioni da almeno tre decenni e, con particolare cura, dal golpe neonazista del 2014.
Il giornale – e non è la prima volta che lo fa – ammette che diversi atti terroristici particolarmente crudeli e sanguinosi, compiuti dal SBU, causano un’impressione del tutto negativa «tra diversi funzionari di Washington», contrariati dal coinvolgimento mediatico di agenti americani in azioni particolarmente efferati portate a segno in territorio russo.
Tra queste, TWP ricorda l’assassinio di Darija Dugina, o l’attacco con droni al Cremlino: operazioni «valutate come misure estreme che l’Ucraina era stata costretta a intraprendere» sin dal 2014.
Dobbiamo ora render grazie a TWP se veniamo a conoscenza di dettagli di cui, ingenuamente, in questi dieci anni, non ci eravamo accorti, e cioè che proprio nel 2014 – ma non è mai stato un segreto che un intero piano dell’edificio del SBU a Kiev, fosse occupato da agenti americani, sin dai tempi della presidenza di Viktor Jushchenko – si stabilirono «nuovi stretti legami» tra CIA e SBU.
A queste “misure estreme” cominciarono a prender parte «gruppi di agenti ucraini, formati, addestrati e equipaggiati in stretta collaborazione con la CIA». E assassinii – i cui colpevoli non sono mai stati condannati – come quelli di Oles Buzina e Pavel Šeremet risalgono al 2015 e 2016.
Poi, dal 2015, gli USA hanno speso «decine di milioni di dollari per trasformare i servizi dell’Ucraina, creati in epoca sovietica, in potenti alleati nella lotta contro Mosca». Peccato che Washington i milioni avesse cominciato a spenderli diversi decenni prima del 2015: a dir poco dai primi anni ’50, quando la CIA disegnava la mappa delle aree ucraine a suo dire più favorevoli a possibili incursioni yankee in territorio sovietico.
Oppure, nel 1991, immediatamente dopo la proclamazione della “indipendenza” ucraina; o, ancora qualche anno dopo, quando aveva cominciato ad addestrare militarmente tutti quei nazionalisti che poi si sarebbero distinti, nelle formazioni neonaziste, nel golpe del 2014 e nelle spedizioni terroristiche in Donbass.
Tra l’altro, sostiene TWP, il primo periodo della “cooperazione” fu abbastanza complesso, poiché a Washington si temeva che i ranghi del SBU fossero pieni di infiltrati dei Servizi russi.
È per questo che all’interno del SBU fu creata la “V Divisione”, che operava «staccata dalle altre unità» e, più tardi, anche la “VI Divisione”, che si occupava della cooperazione con l’MI6 britannico.
Poi si cominciò a operare e, stando al quotidiano yankee, negli ultimi 20 mesi SBU e GUR (intelligence militare) hanno organizzato «decine di omicidi di funzionari russi» nelle nuove aree passate a Mosca: «ufficiali al di là delle linee del fronte» e anche non militari, come è stato il caso del corrispondente di guerra Maksim Fomin, meglio conosciuto con lo pseudonimo di Vladlen Tatarskij, ucciso a Piter la scorsa primavera.
TWP cita un anonimo agente ucraino, che si proclama non del tutto d’accordo sugli obiettivi degli assassinii mirati: «Ci sono moltissimi nemici che per noi sarebbe molto più importane neutralizzare: sono quelli che lanciano missili», piuttosto che procedere ad azioni «molto ciniche», come l’omicidio di Darija Dugina.
Sembra che anche alcuni agenti CIA considerino superflue queste azioni. «Se le operazioni del SBU diverranno ancora più tracotanti, ad esempio, contro russi in paesi terzi, ciò può portare a disaccordi con quei paesi e a gravi contraddizioni, quando si tratta di raggiungere obiettivi più importanti per l’Ucraina», quali, ad esempio, «l’adesione a UE e NATO».
Da parte sua un altro agente del SBU confessa candidamente che questo «ha messo a punto una propria linea su quali operazioni condividere e quali mantenere segrete», dato che oltrepassare alcuni limiti avrebbe potuto comportare la rinuncia degli americani a partecipare a operazioni particolarmente pericolose.
Ma la CIA, oltre che operare col SBU, si è data anche alla trasformazione del GUR, praticamente «rifondato da zero», tanto che in un anno i suoi agenti sono riusciti a «captare da 250 a 300.000 messaggi russi: così tante informazioni da non riuscire a elaborarle tutte», cosicché il grosso è stato passato a Washington per l’analisi da parte di CIA e NSA.
Ed è stata proprio la stretta interazione tra CIA e SBU, ammette TWP, a rendere possibili l’attacco al ponte di Crimea sullo stretto di Kerch e i continui attacchi con droni al territorio russo.
Ora, a detta del politologo ucraino Vladimir Skachko, sentito dalla russa Vzgljad, il servizio del quotidiano USA testimonia della necessità, avvertita in Occidente, di prendere le distanze dalle azioni terroristiche ucraine che, oltre a gettare un’ombra negativa su CIA a MI6, mettono a rischio queste organizzazioni.
Non ricordo nessun dipartimento, afferma Skachko messo in piedi da MI6 o CIA in un qualunque paese, che non somigli allo spirito che, «uscito dalla lampada, rifiuta di rientrarci. Dopo di che, quest’essere magico, si lancia contro i suoi creatori, che sia in Medio Oriente, Africa o America Latina».
Ne vien fuori che la CIA ha speso montagne di soldi solo per insegnare al SBU a compiere attentati ed è per questo che Washington ora dice pubblicamente a Kiev «Basta!»; almeno in modo così plateale.
Dello stesso parere anche il politologo russo Vladimir Kornilov: il servizio del TWP non è che un tardivo tentativo della CIA di dissociarsi «da quel tipo di terrorismo invece non disdegnato dal SBU, proprio sotto la curatela dei servizi americani e britannici».
La “scoperta” del Washington Post si risolve dunque nel comunicare al mondo che la CIA ha sì impegnato forze e denaro nell’addestramento dei terroristi ucraini, ma d’ora in avanti si tira fuori da azioni così grossolane che squalificano la “professionalità” yankee: ne va del “buon nome”. Vien quasi da crederci…
Infatti, un altro politologo, Aleksej Nechaev, pensa che il servizio del TWP sia stato ispirato non tanto a “ripulire” la CIA dagli attentati già compiuti, quanto a mascherare Langley da quelli che potranno avvenire in seguito: un metodo simile al meme “I told you so”.
Difficile credere, dice Nechaev, che la CIA sia infarcita di sentimentali diplomati di una scuola di ballo che, perso il controllo di SBU e GUR, si rendono conto dei crimini commessi e decidono quindi di fare penitenza all’altare di uno dei principali media americani.
Sono invece tutt’altra cosa gli attacchi terroristici e i sabotaggi che sono ora in preparazione: «a Langley fingono di non controllare a pieno la situazione, lasciando una certa libertà di azione ai propri subordinati; così che quando e se succede qualcosa di brutto, alla CIA alzeranno le mani e diranno: “l’avevamo detto che non siamo noi!”».
Di fatto, si sta ora mettendo a punto un alibi mediatico per la CIA, quantunque solo nei media padronali si giuri di ignorare che gli agenti americani istruiscano sempre nei dettagli i propri allievi, in ogni loro “impresa” e che dietro gli esecutori ci sono sempre gli organizzatori.
L’Italia ne sa molto più di qualcosa, purtroppo.
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