Il fotoreporter Motaz Azaiza non ha bisogno di Elon Musk per aggirare la paralisi a Gaza di tutte le comunicazioni telefoniche e di Internet scattata venerdì sera poco prima che Israele lanciasse la sua prima vera incursione di terra a Gaza, accompagnata da bombardamenti aerei di una intensità mai vista.
Musk ieri, facendo irritare Israele, ha detto che fornirà i suoi servizi Internet Starlink – connettività globale attraverso i satelliti – alle organizzazioni umanitarie internazionali per superare il blackout delle comunicazioni a Gaza.
Più artigianalmente Azaiza, le sue storie da Gaza sono seguite da masse di follower su Instagram, prova e riprova, inserisci una sim piuttosto di un’altra, agganciandosi a ogni singola onda nella Striscia, è riuscito a postare qualche aggiornamento.
Grande la soddisfazione. Grazie a lui sono filtrate informazioni sulla situazione e la condizione dei civili palestinesi. Abilità e spirito di iniziativa che non sorprendono.
Da questo punto di vista i gazawi hanno sempre riservato delle sorprese. Costretti dalle privazioni ad aguzzare l’ingegno, hanno messo a punto non pochi rimedi ai problemi di vita quotidiana. Quando anni fa ci fu penuria di benzina e gasolio, come quella attuale, che durò settimane, inventarono filtri speciali per l’olio usato per le fritture trasformandolo in carburante per le auto.
Uno studente universitario mise a punto un sistema per disinfettare le sale operatorie a costi irrisori, altri giovani inventarono potenti batterie ricaricabili Made in Gaza per avere l’elettricità in casa senza i costosi generatori.
Alla Mezzaluna Rossa palestinese, meno abili di Motaz Azaiza, telefoni e computer sono rimasti muti. Gaza non ha più un servizio di emergenza. Il numero verde 101 per le ambulanze e il 102 per la protezione civile non funzionano più.
I morti e le centinaia di feriti rimasti sotto le macerie dopo i bombardamenti di venerdì notte, i soccorritori sono riusciti a tirarli fuori solo grazie alle segnalazioni portate da volontari, il più delle volte a piedi, ad ospedali e centri sanitari.
«L’intero sistema è in tilt, facciamo ricorso a metodi primitivi per salvare le persone, utilizzando la vista e l’udito. Nessuno può chiamare il numero verde, nessuno può chiedere aiuto al telefono, nemmeno i malati cronici o le donne che partoriscono», spiega il dottor Mohammad Al Fitiani della Mezzaluna.
«Senza telefoni e la rete internet – aggiunge – le ambulanze non possono nemmeno chiamarsi tra loro per sapere dove andare. Non possono far altro che ispezionare i siti dove ci sono stati bombardamenti per scoprire se ci sono persone che hanno bisogno di aiuto».
La giornalista Fares Akram, in passato della Associated Press e di Al Jazeera, ha riferito tra le lacrime di aver perso 18 membri della sua famiglia in un raid aereo. Il ministero della sanità a Gaza ha aggiornato il bilancio delle vittime dei bombardamenti a 7.703, tra cui 3.500 bambini.
«Abbiamo perso i contatti con le nostre squadre a Gaza. Il silenzio è assordante», ha affermato la direttrice del Programma alimentare mondiale, Cindy McCain.
Più fortunata rispetto ad altre agenzie umanitarie è stata l’Unicef che a un certo punto ha annunciato di aver preso contatto con il suo staff a Gaza. Molti hanno rimpianto i telefoni satellitari diffusi fino a una quindicina di anni fa ma scomparsi quasi del tutto. Uguali lacrime per i walkie-talkie mandati in pensione dai telefoni cellulari
L’attacco a Gaza e contro Hamas continua, non ci sarà una tregua sino a quando Israele non avrà raggiunto i suoi obiettivi. Questo è il messaggio che ha inviato ieri sera, durante una conferenza stampa, il premier israeliano Netanyahu, assieme al ministro della Difesa Yoav Gallant e il nuovo partner nel gabinetto di guerra, Benny Gantz.
«Abbiamo approvato all’unanimità l’ampliamento dell’invasione di terra» ha detto Netanyahu. «Il nostro obiettivo è sconfiggere il nemico assassino. Abbiamo dichiarato ‘mai più’ e ribadiamo ‘mai più, adesso’. Mi piange il cuore quando ho incontrato le famiglie degli ostaggi. Ho assicurato loro che esploreremo ogni strada per riportare a casa i loro cari. La loro prigionia è un crimine contro l’umanità».
Quindi ha sottolineano le partnership con i paesi europei che «Hanno espresso il loro sostegno e il loro forte desiderio per la nostra vittoria» e ha puntato il dito contro coloro che accusano l’esercito israeliano di crimini di guerra.
«Sono ipocriti», ha detto, sostenendo che Israele non colpisce i civili di Gaza mentre Hamas userebbe «cinicamente gli ospedali come rifugi… Israele sta combattendo una battaglia per l’umanità contro i barbari». Quella in corso a Gaza, per Netanyahu è la «seconda guerra d’indipendenza» di Israele «sarà lunga e difficile ma vinceremo, questa è la missione della mia vita».
I reparti corazzati entrati nella Striscia venerdì, con la copertura massiccia dell’aviazione, restano dove sono e rappresentano l’avanguardia di incursioni ancora più ampie in futuro.
L’ha ribadito in particolare il ministro della difesa Gallant, inviando come ha fatto Netanyahu un altro messaggio ad Hamas.
Il gabinetto di guerra israeliano pur comprendendo il dramma delle famiglie degli oltre 200 israeliani e stranieri ostaggi a Gaza, non permetterà che si arrivi a una tregua senza aver raggiunto certi obiettivi e non negozierà uno scambio di prigionieri alle condizioni di Hamas.
Una risposta indiretta al movimento islamico che ieri pomeriggio ha chiesto lo «svuotamento delle prigioni israeliane», ossia il rilascio di 6.600 prigionieri politici palestinese in cambio della liberazione degli ostaggi.
«Se il nemico vuole risolvere la questione, noi siamo pronti», ha detto il portavoce dell’ala militare di Hamas, Abu Obeida.
Nonostante le centinaia e centinaia di attacchi aerei che Israele avrebbe indirizzato contro Hamas, il movimento islamico non ha perduto la sua capacità di lanciare razzi. L’ha fatto anche ieri, anche in direzione di Tel Aviv ferendo tre israeliani.
* da il manifesto
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