Nel mese di novembre, per due settimane, la commissione del gruppo italiano Libera, una rete di associazioni, cooperative e organizzazioni sociali che lavorano per la giustizia sociale in tutto il mondo, ha visitato il Cile all’insegna della memoria, dei diritti umani e del buen vivir.
Il percorso del gruppo ha attraversato Santiago, Valparaíso e Concepción, dove hanno visitato i prigionieri mapuche in sciopero della fame appartenenti alla CAM; tra loro, il figlio del portavoce del gruppo autonomista, Ernesto Llaitul, condannato a 15 anni e 4 mesi.
Condizione politica nella causa Mapuche
Monica Usai, membro di Libera che fa parte della delegazione entrata nel carcere del Bio-bio, ha dichiarato che “non è possibile che subiscano un processo come prigionieri comuni”, poiché è evidente la natura politica che esiste in questa causa ed è fondamentale che si possa contare su un processo adeguato agli standard di uno Stato democratico, e rispettando il [concetto di] giusto processo.
A questo Usai aggiunge anche le condizioni in cui si trovano all’interno del carcere e la difficoltà che si devono affrontare per raggiungerli: “Penso che non sia normale che non si possa avere un accesso diretto, (che) i giornalisti non possano entrare tranquillamente, (o) gli altri osservatori dei diritti umani che sarebbe auspicabile potessero entrare normalmente“.
Anche se gli esiti di questa visita non sono ancora stati resi noti, Monica sottolinea che “al momento ci sono elementi per dire che la situazione in Cile non è buona” e che ciò avrà ripercussioni a livello internazionale dato che esiste, per molti, “un’altra immagine del Cile“, secondo Usai.
Il trattamento della Gendarmeria
Uno dei membri di Red ALAS in Chile, Johannes, che ha chiesto di mantenere riservati i nominativi del suo gruppo e di fornire solo il suo nome a causa delle ritorsioni subite per aver sostenuto le cause dei diritti umani, fa riferimento alle difficoltà [cui si va incontro] per vedere le persone incarcerate.
Durante l’incontro con Libera, Johannes ha sottolineato quanto sia complicato e degradante il processo di accesso al carcere, “gli ostacoli e le barriere che la Gendarmeria cilena oppone all’ingresso dei familiari per vedere i detenuti sono enormi“.
Sottolinea che in ogni fase della visita a un detenuto si verificano vessazioni da parte della Gendarmeria, che sente la necessità di ostentare il controllo che ha: “la perfidia con cui buttano via tutto il cibo o buttano via tutti i pacchi col cibo, e lo fanno con tanta perfidia per insultare, per deteriorare la situazione e umiliare i familiari“.
Inoltre, Johannes sottolinea che nel caso dei detenuti CAM che si trovano nel Biobío, neanche esistono prove convincenti per la loro detenzione ed è necessario un giusto processo da parte di ciascuno degli organi dello Stato.
Ha anche precisato che è un dovere dello Stato democratico una maggiore trasparenza di fronte a queste cause; che “dovremmo invitare le organizzazioni per i diritti umani, i giornalisti e le organizzazioni internazionali a visitare le carceri, alle quali si dovrebbe poter avere accesso, e poter fare registrazioni audiovisive pnon esistono garanzie minime. Ci sono elementi di sfiducia.er vedere lo stato di salute”, però, da questo “siamo lontani anni luce” e in Cile “non esistono garanzie minime. Ci sono elementi di sfiducia.“
Pablo Marchant: per un giusto processo
Un altro degli incontri di cui ha riferito Libera è stata la visita alla famiglia di Pablo Marchant, in particolare con sua madre e sua sorella, rispettivamente Miryam Gutiérrez e Camila Marchant.
Il weichafe, appartenente al Coordinamento Arauco Malleco, assassinato nel contesto di un boicottaggio dell’azienda forestale Mininco nel 2020, grazie al forte impegno della sua famiglia, ha potuto avere una seconda perizia forense. In questa perizia, la versione dei Carabineros viene smentita e viene precisato che Pablo Marchant è stato giustiziato con una canna di fucile poggiata sulla testa.
Questo caso ha provocato sgomento nella commissione in visita, perché il Pubblico Ministero non ha formulato alcuna accusa contro coloro che sono stati identificati come i responsabili della morte di Marchant, come il Primo Caporale Hugo Huenchuvil e il Secondo Sergente Eduardo Mora. Ciò rifletterebbe il grado di protezione che esiste in Cile nei confronti degli agenti dello Stato, in contrasto con [il trattamento riservato ai] cittadini.
Johannes, dando conto di quello di cui si sta occupando il gruppo Libera, aggiunge che il Cile non sta ponendo in atto le “azioni necessarie, né sta fornendo le garanzie per chiarire la verità dei fatti; questo racconto attira e attirerà l’attenzione di qualsiasi osservatorio dei diritti umani, nazionale o internazionale, soprattutto considerando una prospettiva di tutela”.
Infine, ci sarebbe una grave mancanza da parte dello Stato nei confronti del popolo mapuche. Infatti non ha compreso che ci sono dei riti funebri specifici, che nel caso di Pablo Marchant non sarebbero stati garantiti: “se è necessario riesumare un corpo, bisogna dare la garanzia che quel corpo torni al cimitero mapuche da cui viene riesumato, questi sono i piccoli gesti che la famiglia richiede”, ha detto Johannes.
La Commissione ha dichiarato che presenterà la sua relazione tempestivamente, ma che è essenziale che la sua proposta contenga un’alternativa concreta a questi casi di ingiustizia.
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