Sulla “soluzione politica” della questione palestinese, le proposte si sono fatte sempre più evanescenti. Quella dei “due stati per due popoli”, evocata spesso in modo consolatorio e formale dai governi, è stata svuotata dall’aumento della aggressiva presenza coloniale israeliana in Cisgiordania. Anche volendo, oggi dove ci sarebbe più lo spazio materiale e sovrano per edificare uno stato palestinese?
Inoltre, le autorità israeliane – e non solo Netanyahu con la sua banda di estremisti messianici – hanno da tempo cominciato a ragionare e agire come se la questione palestinese non esistesse più come problema. Del resto la cartina di Israele che ha esibito in una conferenza pubblica (vedi la foto di copertina) non prevede affatto la presenza palestinese o di territori palestinesi.
L’attacco palestinese – e non solo di Hamas – del 7 ottobre contro Israele, ha risvegliato bruscamente sia le autorità israeliane che la comunità internazionale da questa sorta di “comfort zone” morale, politica, diplomatica.
Di fronte allo shock del 7 ottobre, molti governi sono tornati a trincerarsi dietro l’ipotesi dei “due stati per due popoli” per nascondere la propria incapacità o non volontà di mettere mano alla soluzione politica della questione palestinese.
Ma tra i palestinesi – e una piccolissima minoranza di israeliani – negli anni è venuta affacciandosi un’altra proposta di soluzione. Non più due stati ma un solo stato, uno “stato unico” per ebrei e palestinesi.
L’ipotesi, anche alla luce della violenza del conflitto sul campo, appare a molti utopistica, ma alle autorità israeliane appare invece addirittura pericolosa e totalmente destabilizzante per il proprio progetto di pulizia etnica e di ebraicizzazione di tutto il territorio “tra il Nilo e il Giordano” (arrivare all’Eufrate non appare ancora praticabile).
Su questo rinviamo ad un importante articolo di Vera Pegna pubblicato lo scorso 1 Novembre.
Nel 2018 Israele ha deciso di essere lo Stato dei soli ebrei (nonostante una consistente minoranza palestinese e araba interna).
Il risultato della legge approvata dalla Knesset, che ha valore quasi-costituzionale (nel paese non esiste una Costituzione), è questo: “Israele, patria del popolo ebraico”; “La realizzazione del diritto di autodeterminazione nazionale in Israele, è unica per il popolo ebraico”; “Gerusalemme unita come capitale”.
L’ipotesi di uno Stato Unico per ebrei palestinesi rovescerebbe completamente questo progetto.
Eppure, di fronte al bagno di sangue materializzatosi dal 7 ottobre, anche alcuni analisti israeliani hanno cominciato a discutere, tenere conto o suonare l’allarme sulla questione dello Stato Unico.
Qui di seguito abbiamo tradotto e pubblicato un interessante editoriale di un ex alto funzionario e ricercatore israeliano – Avi Gil – pubblicato come opinione sulla pagina dell’agenzia di stampa israeliana Ynet.
Vale la pena di leggerlo, perché il dibattito e le scelte conseguenti sulla “soluzione politica” alla questione palestinese ormai non sono più rinviabili, pena il ripetersi di ulteriori bagni di sangue dentro una crisi irrisolta.
E continuare a ridurre la questione palestinese alla dimensione meramente umanitaria – negandole però la dimensione politica – non aiuta affatto, anzi è fuorviante perché cristallizza e fa regredire la situazione, alimentando il “politicidio” delle ragioni e delle aspettative del popolo palestinese.
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Israele potrebbe presto subire uno shock politico nel mezzo della guerra di Gaza
di Avi Gil
La guerra di Israele contro Hamas sta rafforzando il sostegno palestinese alla soluzione di un unico Stato, costringendo Israele a concedere loro uguali diritti politici
I leader palestinesi di tanto in tanto avvertono che, in assenza di una soluzione praticabile a due Stati, potrebbero dover rivedere le loro richieste: non più uno Stato palestinese indipendente accanto a Israele, ma uguali diritti democratici per tutti, in un unico Stato tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo.
Il capo dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas ha recentemente lanciato un avvertimento sul fatto che se Israele continua a imporre la realtà di un unico stato di “apartheid”, le circostanze nella regione costringeranno necessariamente i palestinesi a diritti politici uguali e pieni.
Allo stesso modo, Mohammed Dahlan, il suo avversario politico, ha fatto eco a questo messaggio a marzo, dicendo: “La soluzione dei due Stati è un’illusione, ed è morta. Netanyahu l’ha distrutta. Non perdiamo tempo e apriamo invece una discussione per arrivare a una soluzione a singolo Stato”.
Nell’ingenuità di Israele, queste minacce sono state liquidate come spacconate piuttosto che come una concreta strategia politica. E così, la richiesta di una soluzione a uno Stato unico non è ancora diventata la politica ufficiale palestinese. Le minacce sono state finora vuote, ripetute ma mai concretizzate.
Tuttavia, il potenziale impatto della guerra con Hamas sulle considerazioni palestinesi potrebbe rivelarsi potente. Un tale cambiamento troverebbe Israele altrettanto scioccata di quanto lo sia stata il 7 ottobre?
I sostenitori palestinesi della soluzione di uno Stato unico sostengono che lo sviluppo degli insediamenti ebraici in Cisgiordania ha eliminato la possibilità di stabilire un confine chiaro tra i due popoli.
L’espansione degli insediamenti ebraici nel cuore del territorio destinato ad essere il loro stato li ha portati alla conclusione che Israele li sta conducendo verso l’annessione e sta lavorando costantemente per assorbire questi territori. Secondo il loro approccio, se i palestinesi rimuovono la loro richiesta di uno stato indipendente e chiedono invece l’uguaglianza dei diritti, i paesi occidentali saranno costretti a sostenere la loro richiesta.
Nel corso del tempo, questi paesi troverebbero difficile giustificare una realtà in cui i palestinesi non hanno il diritto di partecipare al processo democratico che determina il governo responsabile del loro destino in Israele. Sondaggi periodici condotti dal dottor Khalil Shikaki, direttore del Palestinian Center for Policy and Survey Research di Ramallah, rivelano che la soluzione di un unico Stato attualmente raccoglie il sostegno di un terzo della popolazione palestinese, con percentuali più elevate di sostegno tra le giovani generazioni.
Da parte israeliana, le dichiarazioni fatte dal primo ministro Benjamin Netanyahu e dai ministri del suo governo suggeriscono che la guerra a Gaza rafforza la resistenza di Israele a una soluzione a due stati e che non c’è alcuna idea politica alternativa al di là dell’approfondimento dell’occupazione.
La dura risposta all’attacco del 7 ottobre probabilmente rafforzerà le aspirazioni palestinesi per uno stato indipendente con mezzi violenti, poiché senza un processo politico, l’unica opzione rimasta è la soluzione di uno stato. I demografi discutono se esista già una parità demografica tra ebrei e arabi tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo.
Coloro che minimizzano il fattore demografico sostengono che 2,1 milioni di arabi residenti nello “Stato di Hamas” di Gaza dovrebbero essere sottratti alla popolazione araba, ma questo argomento potrebbe sgretolarsi se e quando l’organizzazione terroristica crollerà. Netanyahu ha detto in precedenza: “Il giorno dopo lo smantellamento di Hamas, ci deve essere una presenza attiva dell’IDF in quest’area. Siamo noi che dobbiamo combattere il terrorismo“.
Netanyahu ha anche spiegato nel 2003 che la popolazione araba in Israele non dovrebbe superare la soglia del 50% per preservare il carattere ebraico di Israele. “L’integrazione della minoranza araba nella società è anche una questione numerica“, ha spiegato. “Se raggiunge il 40%, lo Stato ebraico non ci sarà più“.
Alla luce di ciò, come può una bandiera con la stella di David e l’inno nazionale Hatikvah riflettere l’identità di uno stato bi-nazionale? Israele perderà il suo carattere ebraico, ponendo fine al sogno sionista.
La dichiarazione contenuta nella Legge fondamentale: Israele come Stato-nazione del popolo ebraico, che afferma che “il diritto di esercitare l’autodeterminazione nazionale nello Stato di Israele è unico per il popolo ebraico“, sarà smascherata come vuota retorica in una realtà bi-nazionale.
Basti immaginare come cambierebbe l’immagine di Gerusalemme se i residenti arabi della città decidessero di esercitare il loro diritto di partecipare alle elezioni municipali (la maggioranza ebraica in città si è abbassata nel corso degli anni, attestandosi ora al 60%).
Proprio come il regime dell’apartheid in Sudafrica è crollato sotto la pressione internazionale, anche Israele potrebbe essere costretto a concedere diritti politici a chiunque viva all’interno della sua giurisdizione.
Israele deve lottare strenuamente contro coloro che si ribellano contro di lui, ma non deve dimenticare che senza un’iniziativa volta a trovare una soluzione a due Stati, rinuncia al proprio futuro. Il cambiamento nella richiesta palestinese di una soluzione a uno Stato unico è alla loro portata.
Potremmo presto essere scioccati politicamente tanto quanto lo siamo stati militarmente dall’attacco di Hamas.
*Avi Gil è un ex direttore generale del ministero degli Esteri israeliano e attualmente ricercatore presso il Jewish People Policy Institute (JPPI).
Da Ynet
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Ettore Cauli
/1 Nella guerra Israele-Palestina, i guerrieri di ambo le parti dominano il conflitto. Hamas attacca e uccide per difendere il popolo palestinese invaso, Israele attacca e uccide per eliminare il popolo palestinese per sempre. Questi soggetti non possono portare alla pace.
/2 Noi che siamo al di fuori del campo di battaglia, dobbiamo trovare la via d’uscita al fine di salvare più vite possibili, fare cessare il fuoco, separare i contendenti, ridare la libertà a tutti gli ostaggi, palestinesi e israeliani…
/3 Oggi l’esercito israeliano in Cisgiordania spalleggia attivamente i coloni israeliani nelle azioni di progrom, furto, incendio, demolizione di beni mobili ed immobili a danno dei palestinesi, rendendogli la vita impossibile.
/4 Pertanto in Cisgiordania e Gaza deve essere ritirato l’esercito israeliano e sostituito da un contingente di pace gradito al popolo palestinese, al fine di garantire la sicurezza di tutti gli abitanti…
/5 Devono abbandonare la Cisgiordania i coloni clandestini, i coinvolti in progrom, coloni illegalmente armati, e tutti gli elementi del governo Netanyahau che risiedono in Cisgiordania e che in loco, dirigono la pulizia etnica contro il popolo palestinese e contro la Palestina.
/6 Una corte Penale Internazionale dovrà esaminare le azioni di guerra svolte dai due contendenti, ultime e precedenti in relazione anche alle serie di Risoluzioni ONU, in merito ai due popoli e ai due stati e punire le violazioni constatate.
/7 Al fine di riprendere la vita civile, vanno ripristinate le libertà individuali e collettive e abolite le leggi marziale poste in vigore da Israele in tutta la Cisgiordania e Gaza. Va studiata una nuova costituzione per lo stato di Palestina. Amen.
/8 Dopo che il popolo palestinese avrà potuto respirare liberamente, con calma si potrà vedere la possibilità (con i sionisti fuorilegge) in futuro, di uno stato unico per tutti, palestinesi e isreliani. Il nome c’è già è PALESTINA.