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La diplomazia di Riad, tra l’Expo e i BRICS

Il 28 novembre, a Parigi, Riad si è aggiudicata in maniera schiacciante (119 voti su 165 votanti del Bureau International des Expositions) l’assegnazione di Expo 2030. Roma ha ottenuto solo 17 voti, meno della città coreana di Busan, e il presidente del comitato promotore della candidatura, Giampiero Massolo, critica la “deriva mercantile” dell’assegnazione dell’esposizione.

Qualcuno spieghi al diplomatico Massolo che tutta la logica dei grandi eventi gira intorno ai soldi: se Riad ha speso l’equivalente di 190 milioni di euro, Busan 160 e Roma solo 30 per operazioni di promozione (leggete pure di lobbying, ovviamente praticato dai rispettivi governi), non ci sono sorprese.

Persino il ministro delle imprese Urso ha constatato, a babbo morto, che il risultato era “in larga misura prevedibile” e che “recriminare non serve“. Nel nuovo mondo multipolare, che si lascia alle spalle l’egemonia Usa o euro-atlantica, e la deferenza obbligata verso gli ex padroni del mondo, “figuracce” del genere – per i paesi servi di seconda fascia – saranno sempre più frequenti.

Qualcuno lo spieghi anche a Riccardo Magi, segretario di +Europa, che ha criticato lo stesso Urso perché il giorno prima del voto si trovava proprio in Arabia Saudita. Ma appunto, anche in questo caso era il nodo degli investimenti e delle prospettive strategiche a farla da padrone, molto più importante di qualsiasi grande, ma pur sempre singolo evento.

Infatti, l’Expo è solo uno dei tasselli del nuovo slancio sulla scena internazionale che il regno saudita sta cercando, e simbolicamente coinciderà con il programma ‘Saudi Vision 2030’. Con esso, il principe ereditario Mohammed bin Salman vuole diversificare l’economia del paese rispetto alla filiera petrolifera e aumentare la spesa pubblica, compreso ovviamente il comparto militare.

Riad vuole assumere ancor più peso negli equilibri mondiali, e Urso era lì proprio per parlare di collaborazioni economiche strategiche.

A fine ottobre il Public Investment Fund (PIF) saudita e Pirelli hanno annunciato una joint venture per investire 550 milioni di dollari nella costruzione di uno stabilimento di produzione di pneumatici in Arabia, e il ministro italiano ha incontrato i vertici del fondo citato insieme a una delegazione di aziende del Belpaese.

Con il ddl Made in Italy anche Roma si è dotata di un proprio “fondo sovrano”, presentato durante le altre tappe del viaggio di Urso, in Qatar ed Emirati Arabi Uniti. Ma il dossier più importante è stato quello sulla collaborazione “nel comparto estrattivo, sia nei rispettivi Paesi, sia in aree terze, come il continente africano, in coerenza con il Piano Mattei“.

Il presidente del consiglio, Meloni, ha detto che “Italia e Arabia Saudita sono impegnate nello sviluppo di un contesto, normativo e industriale, che favorisca e acceleri l’autonomia strategica nel settore delle materie prime critiche“. Il chiaro riferimento è alle dipendenze dalla Cina, contro cui la filiera euroatlantica continua la sua campagna e su cui Riad potrebbe dare una mano importante.

Ma i sauditi sanno che, nel contesto di un mondo multipolare, possono giocare su vari campi per assumere un ruolo ancora più importante, non solo nel quadrante mediorientale.

Al di là della posizione verso l’Iran e Israele, ci sono infatti i rapporti con la Russia nell’Opec+, quelli asiatici all’interno della Shangai Cooperation Organization e quelli con il blocco dei BRICS.

Il giorno dopo Urso è stato Lula a recarsi a Riad. A conclusione della sua visita, il presidente brasiliano ha affermato di contare sui sauditi per rafforzare la New Development Bank, l’istituto finanziario dei BRICS ora guidato da Dilma Rousseff. “In questo modo potremmo contribuire a cambiare il volto delle banche multilaterali, affinché possano favorire il finanziamento per lo sviluppo dei Paesi più poveri“, ha concluso.

Come da qualche anno a questa parte, l’Arabia Saudita è al centro di alcuni scenari interessanti nel futuro della competizione globale. Tanto più per l’Italia e la sua proiezione verso il Mediterraneo allargato, ovvero fino al Golfo Persico.

Una proiezione molto miope, perché tutta mirata ad esacerbare lo scontro con Pechino. Stupida persino da punto di vista puramente capitalistico. E contro cui le forze di alternativa sono ovviamente chiamate a lottare, proponendo un’altra visione del ruolo di questo paese, non solo un’azione di contrasto alla “fedeltà euro-atlantica”.

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