Cari e care,
A differenza dei precedenti messaggi in partenza da questo indirizzo mail, a scrivere questa volta ci sono io.
Nel corso del primo periodo della mia detenzione, in cui mi erano preclusi i contatti con l’esterno, mai avrei immaginato che vi sarebbe stata tanta solidarietà nei miei confronti. Ne ho avuto parzialmente notizia durante il primo colloquio con il mio avvocato, dopo oltre due settimane dall’arresto.
Anche se non mi era ben chiara la portata del lavoro portato avanti in Italia, il sapere di poter contare sulla solidarietà di molti, non solo parenti, amici e conoscenti, ma anche di persone semplicemente e profondamente colpite dall’ennesimo sopruso perpetrato impunemente dall’occupazione israeliana, mi ha alzato il morale e contribuito a darmi la forza per non abbattermi.
Poiché la procura israeliana dopo oltre un mese non è stata in grado di formulare accuse nei miei confronti, il pericolo di finire nella spirale della detenzione amministrativa iniziava a farsi palpabile.
Ricordo, per chi ancora non lo sapesse, che l’occupazione israeliana ha ereditato dal mandato britannico questa orrenda pratica per la quale è possibile condannare un prigioniero a periodi di detenzione rinnovabili – solitamente di sei mesi in sei mesi – potenzialmente all’infinito, senza la necessità di formalizzare accuse e senza dargli la possibilità di difendersi in processo.
La campagna che si è mobilitata in Italia ha giocato, a mio avviso, un ruolo fondamentale nel portare il mio caso all’attenzione generale, rendendo sconveniente per le autorità israeliane sottopormi ad un simile regime di detenzione.
Vorrei per questo esprimere grande gratitudine a tutti coloro che si sono spesi nel corso degli ultimi mesi, ognuno – dai singoli ai comitati, dai collettivi alle organizzazioni – mi ha permesso di poter tornare ad abbracciare la mia famiglia.
Spero che quanto accaduto possa, per quanto possibile, aver puntato un minimo i riflettori sulla situazione dei prigionieri politici in Palestina, sulle condizioni di reclusione e sul regime di detenzione amministrativa di cui, nel corso delle ultime settimane, l’occupazione israeliana sta facendo massiccio uso con lo scopo di reprimere ogni tipo di mobilitazione contro l’aggressione alla Striscia di Gaza.
Ho lasciato dietro di me decine tra parenti, amici e conoscenti nelle carceri israeliane, persone che non hanno la fortuna di avere una cittadinanza straniera a loro protezione.
Forse è più difficile identificarsi con loro, distanti migliaia di chilometri, con vite e vicissitudini che raramente si intersecano con quelle di chi vive lontano da quella realtà.
Ciononostante mi auguro che coloro che si sono spesi per la mia liberazione vogliano continuare ad impegnarsi per la causa palestinese, per la liberazione di tutti i prigionieri politici palestinesi, specie in questo momento di crescente repressione dentro e fuori le carceri israeliane.
Foto di Patrizia Cortellessa
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