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Michel apre le danze per le europee, ipotesi Draghi al suo posto

Le prossime elezioni europee, che si svolgeranno dal 6 al 9 giugno 2024, sono già argomento di dibattito da mesi, considerato anche lo spostamento a destra di molti quadri politici del continente. Ma per ora il tema è rimasto circoscritto ad alleanze ed equilibri parlamentari (di un parlamento che non decide nulla, è bene ricordarlo).

Domenica scorsa il Presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, ha affermato di volersi candidare per un seggio. Il suo mandato sarebbe finito il prossimo 30 novembre 2024 e le regole comunitarie gli impediscono un rinnovo: un sostituto si sarebbe dovuto trovare in ogni caso. Ma le sue parole aprono già ora i giochi per le cariche apicali della UE.

Se il politico belga verrà eletto, il giuramento avverrà presumibilmente alla metà del mese successivo, e da quel momento cesserà così il suo incarico al Consiglio.

L’accordo su chi dovrà prendere il suo posto è dunque anticipato, mettendo pressione alle formazioni che si confronteranno nella tornata di giugno, perché già da ora dovranno parlare di spartizione delle poltrone.

I vari Capi di Stato che eleggono il vertice dell’organo si riuniranno dopo le elezioni, con date ad oggi fissate al 17, 27 e 28 giugno. Per allora, dunque, il quadro politico nell’aula di Strasburgo sarà conosciuto con chiarezza, con un accordo su un pacchetto di nomi tutt’altro che impossibile.

Ma Michel è stato ampiamente criticato, perché potrebbe aver aperto la strada alla sua posizione a Viktor Orbán.

In assenza del Presidente, infatti, le norme prevedono che a farne le veci sia il rappresentante del paese che ha la presidenza semestrale del Consiglio dell’Unione Europea, ovvero l’Ungheria.

Molti temono che lo scenario che emergerà dalle elezioni potrebbe rallentare le riunioni di giugno. Col primo luglio comincerebbe il semestre ungherese, e con esso la presidenza Orbàn.

Ovviamente, si tratta di un periodo transitorio, ma ogni occasione è buona per urlare al ‘pericolo fascista’.

In realtà, nessuno nei palazzi europei è davvero preoccupato del comportamento autoritario dell’ungherese, quando la UE sostiene i nazisti dichiarati dell’Ucraina. Quello che fa storcere il naso è semmai proprio l’opposizione di Orbàn a nuovi aiuti finanziari per Kiev e al suo ingresso nella UE.

I motivi sono chiaramente nazionalistici, e non hanno nulla a che vedere con la fine della corsa di Bruxelles alla guerra.

E non è di certo un caso che da poco il quotidiano statunitense Politico abbia riportato la notizia per cui Budapest sarebbe pronta a togliere il veto ai finanziamenti all’Ucraina, alla seduta straordinaria del Consiglio dell’Unione Europea del primo febbraio, in cambio di qualche concessione. Alla fin fine, è il gioco delle parti di questa classe dirigente.

Tuttavia, l’occasione è stata subito colta per tornare a far girare un nome ben conosciuto, quello di Mario Draghi.

Il già presidente della BCE e poi del Consiglio italiano non sta di certo facendo il nonno, come ha detto avrebbe fatto alle sue dimissioni nel 2022: sta per ora redigendo, su richiesta della Commissione UE, un rapporto sulla competitività europea.

Oggi Draghi incontrerà a Milano gli esponenti della European Round Table for Industry, ovvero alcuni vertici di diverse multinazionali su base continentale. Venerdì invece incontrerà la squadra della Von der Leyen.

Non esattamente una posizione “defilata” quella dell’economista italiano, mentre voci varie dicono che potrebbe partecipare anche a prossimi summit.

Del resto, lo stesso Macron ha fatto il suo nome come possibile presidente della Commissione, e il Financial Times riporta che diplomatici e funzionari UE lo considerano un’opzione papabile per sostituire Michel.

Il giornale londinese cita anche Pedro Sánchez e Mette Frederiksen, che a differenza di Draghi hanno partiti che li sostengono, mentre un’altra fonte avrebbe definito l’italiano “troppo politico”, in riferimento alle diatribe con Berlino sulla politica fiscale e monetaria.

Un’attribuzione sincera per colui che da noi era stato osannato come il “tecnico” che ci avrebbe salvato.

Per ora si tratta di voci di corridoio, o poco più. Ma quel che è certo è che la macchina delle elezioni europee non solo è già partita, ma sta accelerando.

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