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Nel Sahel va in frantumi la “gabbia” neo-coloniale

In un messaggio televisivo, diffuso il 28 gennaio, il Mali, insieme al Burkina Faso ed ia Niger hanno annunciato la propria uscita unilaterale dalla Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale, CEDEAO nell’acronimo francese, ECOWAS in quello inglese.

La comunicazione, per i te leader africani, ha effetto immediato.

Nel comunicato congiunto i militari hanno usato parole molto dure definendo la CEDEAO: «una minaccia per i suoi stati membri e per le sue popolazioni», perché agisce «sotto l’influenza delle potenze straniere».

É il punto di arrivo di un mese di tensioni conclusosi con il viaggio inconcludente di una delegazione dell’organizzazione sub-regionale a Niamey in Niger, questo 25 gennaio.

Abdoulaye Seydou, coordinatore del M62, un movimento della società civile nigerina ha affermato: «é assolutamente normale che i dirigenti abbiano preso questa decisione che, al netto delle difficoltà che si possono immaginare, trova il consenso delle popolazioni».

É un rafforzamento dell’Alleanza degli Stati del Sahel (AES) firmata il 16 dicembre scorso tra Bamako, Ouagadougou e Niamey, che va oltre la semplice alleanza militare anti-jihadista per dar vita ad una cooperazione di stampo diplomatico, politico ed economico che va prendendo forma.

Come dimostra anche l’annuncio congiunto dei tre Primi Ministri a Niamey, a fine dicembre,  di voler procedere verso progetti comuni nel campo delle infrastrutture stradali e ferroviarie. L’aeroporto della capitale del Mali, si “vocifera” , potrebbe divenire un hub per i tre paesi dell’Alleanza.

É un vero e proprio terremoto per gli assetti neo-coloniali del Sahel, l’ennesimo schiaffo alla Francia e all’imperialismo dell’Unione Europea in genere.

La CEDEAO, che è una cornice politico-economica con un profilo militare, fondata nel 1975, ne esce con le ossa rotte, riducendosi dai 15 Stati – 16, prima dell’uscita della Mauritania nel 2000 – agli attuali 13.

Dopo l’annunciato e mai realizzato intervento militare congiunto che doveva concretizzarsi ai danni del Niger in seguito al “Colpo di Stato patriottico” della scorsa estate, è l’ennesimo schiaffo a questo traballante strumento della cosiddetta FrançeAfrique.

Le sospensioni e le sanzioni che hanno colpito questi tre Stati non solo non hanno portato a più miti consigli i “militari patriottici” che ne guidano il nuovo corso politico, ma li hanno spinti da un lato a relazioni reciproche più strette, nonché ad un maggiore sganciamento dall’Occidente e dai suoi protegé locali con il crescente consenso delle popolazioni.

Ma questa rottura potrebbe logicamente andare ancora oltre, lasciando l’Unione economica e monetaria dell’Africa Occidentale, e “rinunciando” – per così dire – al franco CFA, la moneta degli otto paesi membri della UEMOA: odiato simbolo della servitù economico-militare all’Euro oggi ed al Franco francese prima.

Come ha ricordato il ricercatore Fahiraman Rodrigue Koné, in una intervista al quotidiano francese Le Monde, i tre leader africani hanno descritto tale valuta: «una moneta di servitù neo-coloniale e che impedisce lo sviluppo economico dei loro paesi».

Il primo paese ad essere sospeso e sanzionato è stato il Mali quando, nel 2020, una giunta militare ha destituito Ibrahim Boubacar Keita (IBK) dopo che mobilitazioni popolari – fortemente represse nel sangue – ne avevano chiesto le dimissioni.

Nel 2021 un altro colpo di mano militare dava vita ad un governo di transizione militare con il sostegno popolare, un supporto che si è consolidato con la decisione di Goita di ordinare alle truppe francesi di lasciare il territorio nazionale, nel febbraio del 2022.

Nel gennaio del 2022, con una dinamica simile, veniva deposto Roch Marc Christian Kaboré nel vicino Burkina Faso. Subito seguita da un’azione manu militari del capitano Ibrahim Traore, che nel settembre formava un governo di transizione militare con un forte sostegno popolare.

Anche qui, nel gennaio dello scorso anno, veniva imposta la partenza delle truppe militari francesi, completata nel febbraio del 2023.

Il 26 luglio dello scorso anno, in Niger, il presidente Mohamed Bazoum veniva a sua volta deposto dal generale Abdourahmane Tchiani.

La CEDEAO questa volta non si era accontentata della sospensione e delle sanzioni ma aveva minacciato l’intervento militare, e la Francia aveva iniziato un vero e proprio “braccio di ferro” che ha però visto  Parigi perdere.

La Francia  si era infatti rifiutata di riconoscere la nuova autorità, non voleva che il suo ambasciatore – dichiarata persona non grata – lasciasse il paese e non voleva far partire il proprio contingente militare.

Il 3 agosto migliaia di persone scendevano nelle strade del Niger in sostegno alla richiesta della giunta militare alla Francia di ritirare le sue truppe.

L’annunciato intervento militare della CEDEAO  – anche se fortemente sostenuta da Parigi – ne ha dimostrato la natura di “tigre di carta”, con il Senato della Nigeria che ha bocciato l’ipotesi di azione militare esterna, al pari dell’Unione Africana.

Ma soprattutto dava impulso alla creazione di un’alleanza militare tra i 3 paesi – con Mali e Burkina Faso – che erano dichiaratamente pronti ad intervenire a fianco del Niger in caso di un’azione di forza della CEDEAO.

L’Alleanza degli Stati del Sahel è stata poi formalizzata, come abbiamo ricordato, a metà settembre.

La Francia completerà le operazioni di partenza dal Niger a fine dicembre, mese in cui anche il Burkina Faso ed il Niger hanno deciso di lasciare il G5 del Sahel, di fatto provocando la “dissoluzione” di quest’altro strumento neo-coloniale francese.

Il 6 dicembre i due paesi rimanenti, che non sono tra l’altro membri della CEDEAO – cioè Mauritania e Ciad – hanno formalmente sciolto il G5.

Il 2023 è stato l’anno della fuga di Parigi dal Sahel, dove che nel picco delle sue operazioni aveva raggiunto le 5.500 unità. Un migliaio sono ora di stanza nel Ciad.

La loro cacciata è un fatto storico che permette a quei paesi di riprendere quel corso politico interrotto ben presto, e non per tutti, con la conquista della loro libertà formale, con la sola parziale eccezione dell’esperienza del Burkina Faso di Thomas Sankara.

Il combinato disposto neo-coloniale di occupazione militare, dominazione politica, sfruttamento economico ed assoggettamento culturale con cui l’Unione Europea, attraverso la Francia, ha imposto la propria supremazia al Sahel, è così definitivamente al tramonto.

E la strategia di de-connessione scelta dai tre paesi del Sahel conferma la cesura geo-strategica che si sta disegnando in Africa occidentale, dentro un mercato mondiale sempre più frammentato.

La formidabile intuizione di Samir Amin – il de-linking – diviene lo sbocco politico pratico dei paesi che riaffermano la propria sovranità popolare.

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Per approfondire rimandiamo ai due dossier curati dalla Rete dei Comunisti sul Sahel:

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1 Commento


  • Lollo

    Finalmente gli stati africani alzano la testa, e si oppongono ai signori della guerra ed alle potenze straniere. Se il loro spirito d’ iniziativa sarà d’ esempio ad altri, potremmo vedere anche uno sviluppo sociale africano che non preveda solo il tribalismo e l’ immigrazione. Speriamo succeda anche in Europa, L’ EU è solo un giogo marcio dei nostri padroni americani.

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