Laura Cooper, vice assistente del Segretario alla difesa yankee per Russia, Ucraina e Eurasia “invita” gli alleati degli USA ad annullare ogni limitazione alle forniture di armi letali (ca va sans dire: di carattere “difensivo”) ai nazigolpisti ucraini, portando a esempio il Pentagono che «al momento ha già rifornito Georgia e Ucraina di lanciarazzi “Javelin”».
Dunque, ha detto Cooper, dato che Kiev deve poter «acquisire i mezzi necessari alla difesa… vorrei che quelle limitazioni fossero tolte».
In effetti, secondo fonti presidenziali russe, a metà ottobre Kiev ha ricevuto una notevole quantità di «armi d’attacco d’alta precisione» e, nella sua recente visita a Kiev, il capo del Pentagono Lloyd Austin, ha confermato che tra le commesse di armi per 60 milioni di dollari, rientrano anche i lanciarazzi anticarro “Javelin”, la cui fornitura all’Ucraina era stata decisa dalla Casa Bianca già nel 2017.
La comunicazione tra “alleati” agisce però anche in senso inverso. Prendiamo, ad esempio, il caso tedesco: nonostante il Presidente Frank-Walter Steinmeier dichiari che le forniture di armi a Kiev costituiscano una strada di uscita dalla crisi ucraina molto rischiosa e controproducente, ecco che la sua Ministra della difesa, Annegret Kramp-Karrenbauer, predica spavaldamente l’impiego di armi nucleari contro la Russia. Ma non è la sola a farlo.
Stando al Financial Times (lo riprendiamo da RIA Novosti), vari “alleati” di Washington, sia d’Europa che del Pacifico, farebbero pressioni sugli yankee perché desistano dalla ventilata idea di passare al principio sul “non impiego per primi” dell’arma atomica, perché un simile passo potrebbe rendere la Russia “troppo audace”.
Allo stato attuale, nulla impedisce agli USA di lanciare un attacco nucleare preventivo, così che i loro alleati, come nota il FT, (e, vorremmo aggiungere, come predicava anche un noto Segretario generale italiano, scomparso nel 1984) si sentono protetti sotto il loro “ombrello nucleare”.
Secondo le fonti del FT, la Casa Bianca avrebbe diffuso un questionario tra gli “alleati” (detta così, non sembra già una barzelletta?) per conoscere la loro opinione in merito a eventuali mutamenti nella politica nucleare USA, e la maggior parte avrebbe valutato negativamente un cambiamento.
Nello specifico, sarebbero contrari Gran Bretagna, Francia, Germania, Giappone e Australia, che temono il passaggio al principio secondo cui gli USA ricorrerebbero all’arma nucleare solo in circostanze concrete e ciò sarebbe «un enorme regalo per Cina e Russia».
A proposito di armi atomiche e in vista di una riunione, nel 2022, delle potenze nucleari, nel quadro del Trattato di non proliferazione delle armi nucleari, poche settimane fa la CNN aveva riportato notizie del Pentagono, secondo cui gli USA disporrebbero oggi, ufficialmente, di 3.750 testate nucleari, mentre altre 2.000 sono in attesa di essere smantellate.
Tra l’altro, già lo scorso aprile, Radio Sputnik riportava le parole della portavoce del Ministero degli esteri russo, Marija Zakharova, secondo cui Washington manterrebbe il silenzio sui propri piani per lo schieramento di nuove armi nucleari e il trasferimento delle infrastrutture militari NATO ai confini russi.
In realtà, aveva detto Zakharova «di nuovo gli USA, sulla base di congetture, avanzano pretese nei confronti della Russia per un suo presunto programma militare-biologico d’offesa, violando così la Convenzione sulle armi biologiche e tossiche (BTWC). Tali speculazioni sono prive di qualsiasi fondamento».
Di fatto, faceva notare Mosca, il Pentagono tace sui «propri piani per schierare nuove armi nucleari», proprio quando «le azioni USA e dei loro alleati per approntare l’uso delle armi nucleari non strategiche americane schierate in Europa nell’ambito delle cosiddette missioni nucleari congiunte NATO, contraddicono» il Trattato sulla non proliferazione delle armi nucleari.
Ma, come diceva già a metà del XIX secolo Aleksandr Herzen, «il Pacifico è il Mediterraneo dell’avvenire».
Ecco quindi che, appena tre giorni fa, il capo diretto della Zakharova, Sergej Lavròv, ha allargato il discorso alle ambizioni planetarie della NATO e alle nuove strutture militari in Estremo oriente, quali AUKUS e QSD: «Ci sono prove che i pianificatori della NATO stanno ora guardando a Est e, per bocca del Segretario generale Stoltenberg, affermano che la missione della NATO dovrebbe estendersi alla regione indo-pacifica.
A dar retta a loro, sembra che la loro missione debba estendersi a tutto il mondo. Ritengo che questi siano giochi molto pericolosi e noi faremo di tutto per contrastare tali tendenze e sensibilizzare tutti i paesi a cui si estendono tali tentativi, sui pericoli di un tale corso».
Il fatto è che, ha detto Lavròv, il lavorio diplomatico per contrastare tali piani NATO non è più sufficiente: «è necessario adottare altre misure, adeguate alle minacce nei confronti» della Russia e posso assicurare che «tutti i dipartimenti competenti, diplomatici e non, stanno facendo quanto necessario».
Tutto questo non significa affatto che Washington si sia dimenticata del Mediterraneo e delle sue vicinanze (il 30 ottobre, il cacciatorpediniere “USS Porter”, classe “Arleigh Burke”, armato di missili alati, è entrato nel mar Nero), tanto più che il gioco intermittente al rialzo condotto da Recep Erdogan sembra innervosire non poco alcuni degli “alleati” europei.
Ecco così che il Segretario di Stato Anthony Blinken e il suo omologo greco Nikos Dendias hanno prorogato di altri cinque anni l’accordo per l’uso delle basi militari a Creta, con gli USA che intendono accrescere il numero di basi in territorio ellenico, tra cui gli aeroporti della Grecia centrale e il porto di Alessandropoli, appena una quarantina di km a ovest del confine turco.
Sullo sfondo delle numerose dispute greco-turche nell’Egeo e nel Mediterraneo orientale, l’intesa di Atene con gli USA segue di appena un mese l’accordo militare sottoscritto all’Eliseo tra il Primo ministro Kyriakos Mītsotakīs e Emmanuel Macron, che prevede l’acquisto da parte greca di 24 caccia Dassault Rafale e tre fregate classe “Belharra” prodotte dalla Naval Group (quella della fregatura coi sommergibili per l’Australia), oltre ad “azioni congiunte a tutti i livelli”.
L’americana The National Interest scrive che la parte politica di tale accordo, in caso si renda «necessaria una risposta armata e entrambe le parti constatino un attacco al territorio di una di esse, le vincola a reagire con ogni mezzo a disposizione».
Non a caso, Mītsotakīs avrebbe qualificato l’accordo un «patto di difesa» e un «passo chiave» per tutelare gli «interessi europei» nel Mediterraneo. Stando così le cose, osserva Stanislav Tarasov su IA Rex, si è in presenza di un precedente: un’alleanza tra paesi membri della NATO, al di fuori dell’Alleanza atlantica.
Lo stesso Jens Stoltenberg ha reagito negativamente all’accordo militare franco-greco e ha ricordato agli “alleati” che «l’80% della spesa per la difesa della NATO proviene da alleati esterni alla UE» e che anche «la prospettiva strategica e le priorità dei tre principali membri della NATO» si trovano al di fuori della UE: USA, Gran Bretagna e Turchia.
Non sono certo estranei a simili passi, gli interessi economici distinti tra “alleati” nel Mediterraneo, in particolare in quello orientale. Ne è ulteriore prova il recente summit Grecia-Cipro-Egitto a Nicosia, nel corso del quale, ancora Mītsotakīs ha dichiarato che l’incontro è «coinciso con l’ulteriore tensione creata dalla Turchia, l’aggressione turca alla Repubblica di Cipro, l’invio di naviglio turco nella Zona economica esclusiva di Cipro e le azioni verso la costa di Famagosta» e ha accusato Ankara di «ambizioni imperiali e azioni aggressive dalla Siria alla Libia, dalla Somalia a Cipro e dall’Egeo al Caucaso».
In risposta, Ankara ha reagito al «blocco d’accerchiamento» degli alleati NATO. Ora, se come dice Macron, la Grecia agisce «non solo per se stessa, ma anche per l’Europa e la Francia», ciò significa che gli “alleati” NATO giudicano la Turchia colpevole non solo, o non tanto, per l’acquisto degli S-400 russi, quanto per il sempiterno interesse materiale: in questo caso, le ricchezze sottomarine.
Da un paio di mesi, navi oceanografiche turche stanno conducendo rilievi sismici in quella che la Grecia considera la propria piattaforma continentale, cioè l’isola di Castelrosso (Kastellorizo), oltre 70 miglia da Rodi, ma appena due miglia dalla Turchia.
I baci e abbracci tra i partecipanti “in presenza” alle vacanze romane del G20 nascondono (molto male) quel “ognuno per sé” che risponde perfettamente al credo di ogni liberale: in economia, politica, ma anche nelle strategie “di difesa” militare.
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