Ieri è morto Alexei Navalny, dissidente russo e oppositore di Putin. Era stato incarcerato nel gennaio 2021, e per ora le notizie parlano di una trombosi che lo avrebbe colpito dopo una passeggiata nella colonia penale a regime speciale dove era detenuto.
L’IK-3, conosciuta anche come “Lupo Polare“, è una prigione nella regione di Jamalo-Nenec, appena oltre gli Urali, a circa una sessantina di chilometri dal Circolo polare artico. La struttura è pensata per condannati considerati particolarmente pericolosi, e Navalny vi era stato trasportato a dicembre, con il suo staff che aveva perso i contatti con lui per l’intero mese.
La sua portavoce, Kira Yarmish, aveva fatto sapere che da poco era stato posto di nuovo in isolamento, dove aveva passato quasi tutto l’anno precedente.
Con i suoi collaboratori, sempre nel dicembre, aveva lanciato una campagna contro la rielezione di Putin, ad oggi probabile alla tornata presidenziale del 15-17 marzo, dopo la riforma costituzionale del 2020 che gli ha dato la possibilità di rimanere in carica, se eletto, teoricamente fino al 2036.
Navalny aveva cominciato la sua opera di opposizione a cavallo degli anni Dieci. Tre anni fa era stato processato e condannato a 19 anni con vari capi d’accusa, che si possono riassumere in sostanza come l’aver promosso e finanziato movimenti estremisti.
Subito da parte occidentale si sono levate le voci che hanno visto nell’ultimo atto della vicenda Navalny un omicidio politico. Biden ha parlato pubblicamente della questione ed è stato netto: “Putin è responsabile per la morte di Navalny“, giocando sulla confusione tra oggettiva “responsabilità politica” (di ogni detenuto che muore in carcere è responsabile lo Stato, e dunque il governo) e “responsabilità diretta” (un “ordine” dato dal Cremlino).
Un’altra accusa che serve ad accrescere i punti di tensione, peraltro già arrivate alla guerra “tramite terzi” tra il blocco euroatlantico e Mosca.
Del resto, queste parole fanno eco a quelle pronunciate dalla moglie di Navalny, Yulija Navalnaja, che era stata invitata a parlare dal palco della Conferenza sulla sicurezza di Monaco, in chiusura proprio oggi.
In Baviera la Russia non era ovviamente tra gli ospiti, e questo fa capire come la scomparsa del dissidente abbia una valenza che va ben oltre i confini nazionali, diventando uno strumento nello scontro internazionale.
Mentre la Procura di Mosca ha messo in guardia la cittadinanza dal partecipare a una manifestazione organizzata per Navalny, momenti del genere si sono svolti in Europa e in Georgia, Armenia e Israele: non posti casuali.
Il decesso di Navalny è stato subito rilanciato come la morte di un paladino di una “Russia democratica” strozzata dal sanguinario Putin. Bisogna invece ricordare che Navalny partecipava ogni anno alla “Marcia Russa“, organizzata da gruppi neonazisti, e più volte ha fatto esternazioni di odio razziale e religioso.
Quando Putin non era ancora diventato il nemico numero uno dell’Occidente, sui giornali nostrani si poteva trovare un Navalny additato, in un ormai scomparso ‘impeto di verità’, come uno xenofobo.
Le recenti vicende delle elezioni in Senegal, o di quelle in Azerbaijan, ci ricordano che la democrazia è un valore sbandierato solo strumentalmente da Washington e Bruxelles.
Ma il punto non è questo. Anche Putin ha usato strumentalmente il tema della “denazificazione” quando i motivi dell’operazione in Ucraina erano e sono evidentemente di ‘sicurezza nazionale’ rispetto all’accerchiamento NATO, le cui capitali non hanno più la forza economica e militare di fare i gendarmi del mondo.
Così come le “democrazie occidentali” da sempre usano i fascisti nelle piazze e li usano tuttora anche in Ucraina, per gli interessi del proprio padronato. Biden, Putin e persino Navalny fanno parte di quei ceti politici devoti al capitale, che vedono il principale pericolo nella forza delle organizzazioni politiche e sindacali dei lavoratori e degli sfruttati in generale.
La differenza non è nell’essere più o meno sanguinari: lo sono tutti. È nei concreti antagonismi di capitali concorrenti, è nella necessità di quello euroatlantico di poter proiettarsi per il mondo alle proprie regole. Cosa diventata impossibile di fronte all’emergere della Cina e di altri interessi economici contrastanti e abbastanza forti e autonomi da non piegarsi più senza appello alle decisioni delle cancellerie occidentali.
Con la morte di Navalny, sulle cui cause difficilmente si potrà arrivare a una conclusione univoca, si ripete la narrazione favolistica dello scontro tra un immaginario «giardino» euroatlantico e la «giungla», che sarebbe poi il resto del mondo.
Non sono poche le voci che fanno giustamente notare come, ad un mese dalle elezioni in un paese saldamente in mano alla sua filiera di potere, questa scomparsa appare più utile alla NATO che a Putin.
Il fatto che Navalny sia deceduto, qui da noi, dove a nessuno in realtà frega nulla del popolo russo, conta solo nella dimensione della propaganda, che ancora una volta spaccerà la verità che fa comodo a legittimare il piano inclinato della guerra su cui siamo stati instradati, per i profitti di un pugno di ricchi.
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Pensieri sparsi sulla morte di Navalny.
Se c’è una persona alla quale la sua morte ORA non conviene è proprio Putin. Sottolineo, ORA: a un mese dalle elezioni, a una settimana di distanza dall’intervista di Carlson, ad Avdiivka sostanzialmente conquistata, nel momento in cui cerca di accreditarsi a occidente come un leader con cui si può discutere e col quale trovare una soluzione diplomatica, in una campagna elettorale blindata nella quale non ricava alcun vantaggio dal dimostrarsi un emulo dell’NKVD, e con la Conferenza sulla sicurezza a Monaco appena iniziata e alla quale, guarda la casualità, partecipa la moglie.
Invece la morte di Navalny ha compattato immediatamente l’opinione pubblica e i media occidentali messi in po’ in crisi dagli ultimi eventi, che hanno subito riproposto l’idea di un despota sanguinario che decide, senza una sola ragione plausibile, di eliminare fisicamente un oppositore già neutralizzato politicamente e che comunque in Russia non ha mai raccolto troppi consensi, sicuramente meno di quanti ne raccolga dalle nostre parti. Un despota, quindi, col quale assolutamente non si può discutere, men che meno negoziare.
Penso (ma è ovviamente solo la mia opinione) che si tratti di una “normale” morte in carcere, per quanto si possano considerare “normali” le morti in carcere. Un uomo detenuto da tempo in condizioni molto dure, sottoposto a un regime di carcerazione pesante in una struttura che, come tutte le strutture carcerarie, non mette al primo posto il benessere del detenuto né è dotata (soprattutto quelle al circolo polare artico) di un valido presidio medico.
Ed è grave, gravissimo, che un detenuto muoia e che le sue condizioni di detenzione siano dure, indipendentemente dal reato commesso (ove mai ne abbia commesso uno); ma che qualcuno abbia telefonato da Mosca per farlo ammazzare mi pare molto improbabile. Non perché a Mosca siano buoni, perché non lo sono affatto: ma perché non sono stupidi.
Francesco Dall’Aglio
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Andres Daniel Albiero
Complimenti Francesco per la sua ammirevole obiettività .
ARTURO PRIMAVERA
Il commento di Dall’Aglio, per la sua intelligente onestà e logica dovrebbe essere divulgato e mostrato a quelle prefiche che oggi si stracciano le vesti per Navalny, ma che sono silenti o tiepide per Assange. In particolare a personaggi come Coen, che oggi, sul “Fatto” on line, lo dipinge come martire.
Alessandro B.
Finalmente un articolo su questo argomento che merita di essere letto! Da diffondere e far girare. Complimenti a Francesco Dall’Aglio e grazie.
Pasquale
Anche Assange rischia di morire di carcere,anche Peltier, anche Cospito e tanti altri attivisti oppositori di regime rinchiusi ingiustamente nei carceri disumani e degradanti dell’occidente o in paesi amici del padrone Yankee.
Vannini Andrea
… e comuque quando muore un agente dell’imperialismo, non so com’è, non mi commuovo.
Lollo
È un traditore della patria. Pagato per fare il dissidente dai subdoli americani. Reati GRAVI ome questo in una nazione in cui i valori contano ancora qualcosa, viene pagato con la vita. Mi spiace più per l’ orso in trentino onestamente, per lui zero.