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La “sinistra radicale” alla prova delle elezioni in Portogallo

Le elezioni politiche in Portogallo hanno visto le forze della sinistra radicale attestarsi su una percentuale di voti non dissimile da quella ottenuta nella precedente tornata elettorale.

Sia questa volta che in quella precedente si era trattato di due elezioni politiche anticipate, anche se per ragioni diverse.

Nel gennaio 2022 gli elettori si sono recati anticipatamente alle urne perché l’esecutivo era entrato in crisi su una questione qualificata, come la previsione di spesa a venire. Il governo socialista “di minoranza” di Costa – con l’appoggio esterno del Partito Comunista Portoghese (PCP) e del Bloco de Equerda – voleva dettare la ripartizione delle spese nel budget statale con scelte che penalizzavano la ridistribuzione sociale della ricchezza attraverso i servizi ed in generale le classi subalterne.

Costa, allora, non aveva preso in considerazione una qualche revisione del testo chiudendo le porte al dialogo con le formazioni che gli avevano permesso di governare dal 2015, quando era stato sfiduciato il governo conservatore e dato il via all’esperimento “neo-frontista” della cosiddetta gerigonça.

Se la scelta politica della sinistra radicale allora era stata politicamente corretta, risultava comunque più “obbligata” che “pensata”, visto che – secondo la lettura politica complessiva – si consideravano esauriti i margini per un confronto positivo con i socialisti e si prevedeva dunque la fine a breve di quell’esperimento politico.

Lo schema della gerigonça, per la sinistra radicale, era piuttosto semplice: impedire che tornasse al potere la destra, zelante esecutrice dei diktat di Bruxelles, ma senza assumere incarichi di governo, esercitando una pressione costante sulle scelte di fondo dell’esecutivo come rappresentanza dei bisogni dei ceti popolari.

Le urne avevano poi premiato Costa e penalizzato la “sinistra radicale” nel suo complesso, ma dentro due traiettorie differenti: il PCP, storica formazione nata nel 1921, uno dei perni della lotta alla dittatura salazarista e di fatto organizzazione egemone all’interno del movimento operaio già prima dalla Rivoluzione dei Garofani del 25 aprile 1974, continuava la sua storica emorragia di consensi.

Il Bloco – fin dalle origini formato da diverse componenti “a sinistra” del PCP -, vedeva più che dimezzati i propri consensi, perdendo quella consistenza che sembrava acquisita con la lotta all’austerità imposta dalla Troika, nel 2011-2014.

Nelle elezioni politiche del 2014, il Bloco – con allora alla testa Catarina Martins – ebbe 19 deputati con poco più di 550 mila voti ed il 10% dei consensi, mentre il PCP con Jerónimo de Sousa elesse 17 deputati, prendendo poco più dell’8% (in precedenza aveva il 7).

Poco meno del 20% dei votanti, all’incirca un milione di voti in un paese con circa 10 milioni di abitanti, aveva scelto la sinistra radicale

Con la maggioranza assoluta ottenuta nelle elezioni del gennaio del 2022 Costa non sente assolutamente più l’esigenza di “allargare a sinistra” – che aveva ottenuto 11 deputati più uno di Livre – e si pone come perno della stabilizzazione politica in Portogallo, senza però riuscire ad affrontare neanche parzialmente – come aveva in qualche misura fatto la gerigonça – le storture di un modello di sviluppo schiacciato sulle esigenze delle oligarchie europee.

Non aveva però calcolato che la modalità di gestione del potere da parte dei socialisti – corrotta e clientelare – l’avrebbe travolto, anche se le sue responsabilità penali specifiche su particolare episodio di malaffare politico sono ancoratutte  da dimostrare.

Un modello di governance speculare a quello della destra, se si vuole un po’ meno ferocemente liberista e oscurantista sul campo dei valori, ma che produce gli stessi effetti: una trama di poteri intrecciati che approfitta delle posizioni di potere all’interno dell’amministrazione pubblica per guadagnarci personalmente e redistribuire prebende alle proprie filiere clientelari.

In questo contesto o la “questione morale” viene presa di petto dalla sinistra radicale, senza fare sconti sui propri ex alleati, e la forza che se ne avvantaggia non può che essere quella “destra populista” sedicente anti-establishment – “vergine” in termini di responsabilità di governo – che fa suo in chiave reazionaria il vecchio slogan argentino del 2001: “Que se vayan todos, que no quede que uno solo!”. Che se vadano tutti e che non ne resti nemmeno uno…

Allo stesso tempo, e di conseguenza, il problema dell’equità fiscale trova uno sbocco conservatore, sguazzando in quel modo di pensare qualunquista secondo cui ci si chiede a che pro “pagare le tasse” se i “politici corrotti” intascano soldi pubblici e non garantiscono quel minimo di ricchezza pubblica una volta in parte distribuita.

Queste considerazioni servono certo ad inquadrare il risultato elettorale, ma è chiaro che il metro di analisi politica con cui guardare la situazione in prospettiva dev’essere un altro.

Se è vero che i consensi “contano”, per delle forze che si presentano alle elezioni, conta però molto di più – in una prospettiva di medio periodo – la tenuta ideologica di fronte alla putrescenza valoriale del blocco euro-atlantico, la capacità di tenuta organizzativa e gli strumenti che si offrono ad un blocco sociale spappolato che stenta a far valere persino le garanzie minime della propria riproduzione; e conta anche la continuità storica nella lotta, in particolare nell’attuale contesto di torsione autoritaria e di “ritorno” di forze reazionarie che non si fanno problemi a recuperare i tratti peculiari dei regimi fascisti da cui derivano, in questo caso la dittatura salazarista.

Dentro questa prospettiva il Bloco, ma soprattutto il PCP, nonostante la maggiore marginalità politica immediata, sono punti di ancoraggio importanti; molto meno Livre che, sebbene abbia un programma avanzato sulla transizione ecologica e contenuti sociali da “socialdemocrazia di sinistra”, fa parte del gruppo europeo dei Verdi ed ha posizioni di politica estera sostanzialmente irricevibili. Raccoglie infatti l’“eco-ansia” delle classi urbane acculturte, ma sulle politiche guerrafondaie portate avanti dalla UE non si distacca troppo dai suo omologhi continentali.

Come ha scritto nel suo commento ai risultati elettorali, il PCP – che si è presentato con la formula della coalizione CDU – “Il risultato della CDU, con la riduzione della rappresentazione parlamentare e con una percentuale di voti sotto a quella di due anni fa, è uno sviluppo negativo. Ma è allo stesso tempo, un espressione di resistenza”, vista la feroce offensiva ideologica che ha dovuto affrontare.

Rimane quindi un punto di riferimento per la classe di stampo progressista che ha le sue radici nella migliore tradizione rivoluzionaria: “la forza dell’Aprile è qui”, è la formula con cui si chiude il comunicato.

Il PCP ha eletto solo 4 deputati rispetto ai 6 del 2022: Paulo Raimundo e António Filipe a Lisbona, Paula Santos a Setúbal, Alfredo Maia a Porto.

Il Bloco ha mantenuto i 5 eletti (Marisa Matias e José Soeiro a Porto, Mariana Mortágua e Fabian Figueiredo a Lisbona, Joana Mortágua a Setúbal) ma ha ottenuto 30 mila voti in più rispetto alle elezioni precedenti, anche si bisogna considerare che il tasso di partecipazione è stato il più alto delle ultime cinque tornate.

Nelle sue sue prime considerazioni L. Fazenda scrive che “darà corpo ad una opposizione popolare al governo della AD, opponendosi alla sua politica di privatizzazioni e securitaria, e alla prevedibile osmosi tra il PSD e Chega”, in un contesto in cui l’estrema destra va prendendo nuove forme e radicalizzandosi.

Fazenda valuta che “essenzialmente gli appelli della AD e del PS al voto utile e al bipartitismo non hanno funzionato, a differenza del 2022”.

Al di là della visione che ne ha il Bloco, questo è un aspetto interessante che mostra come la monopolizzazione bipartitica dello spazio della rappresentanza tra i ceti subalterni non abbia avuto successo.

Più del 40% di votanti non ha scelto le due formazioni dell’establishment politico per antonomasia.

Il voto per Chega attorno al 18% viene però collocato in un contesto più ampio di affermazione del “trumpismo”, espressione di una “frazione della borghesia che nega il cambiamento climatico, protezionista sul commercio, che promuove l’autoritarismo sociale e di genere” con caratteristiche specificamente portoghesi e che ha attratto una parte importante dei ceti popolari, in particolare tra i giovani.

L’articolo poi continua con spunti interessanti, ma con qualche  “scivolone” rispetto alla posizione del Bloco sull’“invasione russa dell’Ucraina”.

Le differenze in politica estera tra le due maggiori formazioni della sinistra radicale sono emerse anche nel corso del dibattito in campagna elettorale, anche se entrambe sono fortemente critiche rispetto alla politica UE in Ucraina.

In conclusione è chiaro, in prospettiva, che il punto di tenuta ideologico ed organizzativo della sinistra radicale in Portogallo è più importante del risultato elettorale tout court, un paese entrato nella NATO durante il periodo della dittatura salarazista e poi nella Comunità Europea in seguito all’esaurimento della ‘spinta propulsiva’ della Rivoluzione dei Garofani.

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