In Francia, , nel bel mezzo della campagna elettorale europea, sono oramai all’ordine del giorno condanne e convocazioni di attivisti politici e sindacali per “apologia del terrorismo”.
A queste si sommano al divieto di tenere lezioni universitarie e persino riunioni politiche.
In questo contesto, l’occupazione di Sciences Po a Parigi è stata l’ultima tappa di un percorso in cui il conflitto israeliano-palestinese sta “dominando” la sfera pubblica.
Come viene scritto in una lunga inchiesta a più mani, sul quotidiano francese Le Monde, “il conflitto israelo-palestinese ha invaso l’intera sfera politica, sociale e mediatica della Francia”.
Martedì 23 aprile l’annuncio che Mathilde Panot, presidente del gruppo La France Insoumise (LFI) all’Assemblea nazionale, è stata convocata dalla polizia in relazione a un procedimento per “apologia di terrorismo” è stato il culmine di due settimane in cui il conflitto in Medio Oriente ha assunto una rilevante centralità, aumentando la polarizzazione politica latente e la torsione autoritaria.
Facciamo una breve cronologia di queste settimane “di fuoco”.
Martedì 16 aprile, tre organizzazioni – tra cui l‘Association des Palestiniens de France – rappresentate da sei avvocati, hanno presentato una denuncia contro un soldato franco-israeliano per “tortura, complicità nella tortura e crimini di guerra” a Gaza.
La denuncia si basa su un video, postato sulla rete Telegram, di un prigioniero palestinese, bendato, a torso nudo e con la schiena chiaramente lacerata. Il soldato commenta ironicamente la scena e, in francese, si congratula per le torture inflitte.
Secondo le informazioni raccolte da Le Monde, potrebbero essere presentate una cinquantina di denunce contro cittadini con la doppia cittadinanza in servizio nell’esercito israeliano.
La settimana successiva, gli echi del conflitto sono risuonati all’Università di Lille. Jean-Luc Mélenchon intendeva tenere un incontro sull’“attualità in Palestina” il 18 aprile, insieme alla giurista franco-palestinese Rima Hassan, settima nella lista degli insoumis.es per le elezioni europee, ma vera e propria candidata di punta della LFI che ha centrato una buona parte della sua campagna elettorale proprio sulla questione palestinese.
Il deputato socialista locale, Jérôme Guedj, si è espresso sui social network per denunciare il manifesto della conferenza, che rappresentava un unico Paese e quindi, a suo avviso, faceva scomparire Israele.
Una motivazione piuttosto strumentale.
Di fronte alle polemiche, la direzione dell’università ha deciso che non esistevano più le condizioni per “garantire la serenità dei dibattiti” e ha annullato la conferenza. Furioso, il leader di LFI ha criticato aspramente il presidente dell’Università di Lille per l’atteggiamento di censura.
A Lille, LFI ha cercato comunque di tenere lo stesso l’iniziativa in uno spazio privato ma non in università. Un nuovo divieto, questa volta emesso dal prefetto della regione Nord, ha scatenato la legittima rabbia da parte di Mélenchon, che non si è fatto mettere il bavaglio ed ha organizzato un comizio improvvisato, all’aperto, in una piazza della città.
Al microfono ha tuonato contro “un abuso di potere da repubblica delle banane”, denunciando un vero e proprio atto “di violenza politica”, davanti a centinaia di sostenitori, che si sono poi dispersi senza incidenti.
Ma non si tratta di un episodio isolato, bensì di una lunga scia di divieti.
Le conferenze di Jean-Luc Mélenchon e Rima Hassan erano già state annullate a Rennes il 10 aprile e a Bordeaux il 12 aprile, sempre per presunti “motivi di sicurezza”.
La cosa sembra avere imbarazzato il Presidente Macron stesso che, interrogato sulla questione, a Bruxelles, dove stava partecipando a un vertice europeo, ha affermato: “Sono favorevole al rispetto delle leggi della Repubblica. Dopodiché, per quanto mi riguarda, sono sempre favorevole a che le persone possano esprimersi liberamente, anche se mi oppongo alle loro idee”.
Tra i presidi delle università la paura è più forte. Sono ancora più presi dal conflitto perché temono un effetto contagio, dopo l’occupazione, questa settimana, della sede di Sciences Po a Parigi.
Temono una diffusione della protesta, così com’è avvenuto negli Stati Uniti dove dall’iniziale “tendata” alla Columbia, in meno di due settimane la mobilitazione si è estesa ad una settantina di università.
Una prima evacuazione di Science Po da parte della polizia, organizzata su richiesta della direzione della scuola, nella notte tra mercoledì 24 e giovedì 25 aprile, ha sconvolto studenti e insegnanti. L’occupazione è ripresa il giorno successivo, prima di un’altra evacuazione pacifica la sera del 26 aprile.
“L’azione [di occupazione dei locali] è stata pacifica. Era illegale, ovviamente, ma non è raro che gli studenti occupino un anfiteatro, anche di notte, e raramente la polizia è stata chiamata per questo. Il risultato: all’inizio della settimana erano una ventina e oggi sono molti di più. Sono un po’ preoccupato che le cose stiano per degenerare“, dice Philippe Coulangeon a Le Monde, ricercatore di sociologia a Sciences Po e direttore di ricerca al CNRS.
L’Università di Parigi-Dauphine-PSL ha vietato un dibattito che il collettivo studentesco Palestine-Dauphine voleva tenere con Rima Hassan nei prossimi giorni.
La motivazione è stata “il rischio di turbare l’ordine pubblico in un contesto internazionale teso”, spiega il suo preside che si rifiuta di dire se si tratta di una raccomandazione della Prefettura di polizia di Parigi e afferma che la decisione, presa “all’unanimità”, rientra nelle competenze del “comitato esecutivo” dell’università.
Un membro dell’associazione, che preferisce rimanere anonimo, riferisce al quotidiano francese che “Vogliamo mostrare un potenziale genocidio, e l’amministrazione sta adottando la retorica che siamo apologeti del terrorismo”.
Bisogna ricordare che nel novembre 2023, Dauphine aveva già rifiutato, per le stesse ragioni, di proiettare il documentario Jallah Gaza, proposto dall’Associazione degli studenti musulmani.
É chiaro che oramai in Francia “l’apologia di terrorismo” è uno straccio strumentale per cercare di imbavagliare la critica alla politica genocida di Israele, usato come una vera e propria clava che si abbatte sull’opposizione politico-sindacale.
Lo stesso giorno della conferenza vietata all’Università di Lille, nella stessa città, un tribunale ha condannato il segretario generale dipartimentale della CGT Jean-Paul Delescaut a dodici mesi di reclusione con la condizionale per “apologia di terrorismo”, una delle condanne più severe inflitte per atti lontanamente legati al 7 ottobre 2023.
La sentenza ha stabilito che il volantino distribuito dal sindacato CGT Nord il 10 ottobre, che recitava “Gli orrori dell’occupazione illegale si sono accumulati. Da sabato [7 ottobre] ricevono le risposte che hanno provocato” meritava questa abnorme condanna.
Delescaut è stato inoltre condannato a pagare 5.000 euro all’Organizzazione ebraica europea (OJE), parte civile nel processo. La direzione nazionale della CGT ha immediatamente reagito attraverso la sua segretaria generale, Sophie Binet, su X: “Questo è un gravissimo passo avanti nella repressione delle libertà”.
Anasse Kazib, ferroviere, e noto delegato SUD-Rail e portavoce del gruppo della sinistra radicale Révolution Permanente (staccatosi dalla NPA), era stato interrogato dalla polizia due giorni prima per delle pubblicazioni su X, tra cui una datata 7 ottobre 2023 in cui descriveva Israele come uno “Stato sanguinario”.
“Queste convocazioni fanno parte della feroce repressione che da sette mesi colpisce molti attivisti politici, sindacali e comunitari, al fine di criminalizzare qualsiasi solidarietà con il popolo palestinese”, ha commentato Kazib in un comunicato. A suo avviso, Emmanuel Macron sta “conducendo una guerra contro coloro che denunciano il genocidio del popolo palestinese”.
Di fatto in Francia si è venuto a costituire un vero e proprio crimine d’opinione, se non ci si allinea agli ukaze di Tel Aviv.
La guerra a Gaza sta mettendo sotto pressione i sindacati francesi che da tempo sostengono la causa palestinese. Oltre alle citazioni e alle condanne, è stato loro vietato di manifestare in solidarietà con la popolazione di Gaza, in particolare nell’autunno 2023.
“Tutto questo fa parte di un clima globale in cui i servizi governativi attaccano le libertà pubbliche e cercano di criminalizzare qualsiasi azione a sostegno della Palestina”, afferma Murielle Guilbert, co-delegata generale del sindacato Solidaires, a cui appartiene SUD-Rail.
Le autorità pubbliche contribuiscono a mantenere “una minaccia che pesa sulla nostra capacità di mobilitazione ma anche sull’espressione militante”, osserva Benoît Teste, segretario generale del FSU.
Tutto sta accadendo, continua, come se il governo cercasse di provocare “autocensura” e di dissuadere la gente dal marciare in piazza, creando una forma di “crimine d’opinione”. Essere presentati come “compiacenti verso i terroristi o le idee antisemite” mina il desiderio di agire, anche se questa accusa è totalmente infondata, ha aggiunto Teste.
Se è stata minata la capacità d’azione dei sindacati conflittuali che in diverse occasioni sono stati i vettori di gigantesche mobilitazioni, come abbiamo accennato all’inizio, la LFI ha visto fortemente inficiata la sua campagna elettorale per le europee che sta dando amplio risalto a ciò che sta avvenendo in Palestina
Nel bel mezzo della campagna elettorale europea, l’ondata di convocazioni per “apologia del terrorismo” ha preso di mira per la prima volta politici dal profilo nazionale.
Il 19 aprile, Rima Hassan ha annunciato di essere stata convocata dalla polizia. Una nuova svolta si è avuta il 23 aprile, quando Mathilde Panot è stata convocata a sua volta. La deputata della Val-de-Marne ha visto la mano del “regime macronista”, che secondo lei ha “trasgredito ogni limite concepibile”.
Il deus ex machina dietro tali iniziative è il sionismo “francese” sotto mentite spoglie – cioè di fatto lo Stato d’Israele – che non ha disdegnato accompagnarsi con l’estrema destra e che ha deciso di fare la guerra alla LFI.
“Abbiamo ritenuto che i commenti fatti avessero ripercussioni pubbliche molto significative e che potessero incoraggiare le persone ad agire”, spiega Muriel Ouaknine-Melki a Le Monde, avvocato di OJE, l’organizzazione sionista dietro le denunce contro i membri dell’LFI.
Un altro gruppo, Jeunesse française juive, sostiene di aver presentato 41 denunce contro deputati “insoumis.es”, Jean-Luc Mélenchon, il Nouveau Parti anticapitaliste, che ha rilasciato una dichiarazione dopo gli attacchi di Hamas del 7 ottobre offrendo “il suo sostegno ai palestinesi e ai mezzi di lotta che hanno scelto di resistere”, e gli Indigènes de la République. Una decina di questi sono sotto inchiesta.
Mélenchon accusa questi gruppi sionisti – il primo si è formato dopo la guerra di Gaza del 2014, il secondo sulla scia del 7 ottobre 2023 – di essere “amici” del primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu.
La Jeunesse française juive, il gruppo dietro l’attuale ondata di convocazioni, ha adottato una posizione più “politica”, difendendo “i legami che uniscono l’ebraismo e la Francia al di là delle azioni legali”, spiega il suo avvocato, Anthony Reisberg.
Resta il fatto che il calendario delle convocazioni di personalità politiche deciso dai procuratori, in piena campagna elettorale, è sorprendente e alimenta ulteriori i sospetti, dato che le denunce risalgono già a diversi mesi fa.
Una vera giustizia “ad orologeria”, insomma, dove i fiancheggiatori dei carnefici israeliani diventano “vittime”.
Secondo la Panot, il sistema giudiziario viene “usato” per “imbavagliare l’espressione politica”.
A dimostrazione dell’inasprimento della gestione giudiziaria di questi casi, le ultime convocazioni sono state effettuate da agenti di polizia delle unità antiterrorismo, che fanno parte della sotto-direzione antiterrorismo della polizia giudiziaria!
Il fatto che l’attuale capo del gruppo parlamentare del maggiore partito d’opposizione venga convocata da un apparato della “lotta al terrorismo”, mentre i sionisti possano vomitare liberamente il proprio odio contro i palestinesi, la dice lunga sullo stato della democrazia francese.
Facendo di Gaza il fulcro della sua campagna per le elezioni europee, Mélenchon, che aspira a consolidare la LFi come punto di riferimento delle classi subalterne, ha “radicalizzato” le sue posizioni con l’inasprirsi del conflitto.
Questa strategia è stata illustrata dalla manifestazione del 21 aprile – vietata dalla Prefettura di Parigi e poi autorizzata dal Tribunale amministrativo di Parigi – “contro il razzismo e l’islamofobia”, in cui gli slogan a favore del cessate il fuoco a Gaza si sono mescolati a quelli che denunciavano la violenza della polizia in Francia.
E dai “liberali” alla fasciosfera è un fuoco di fila contro la LFI, che potrebbe però risolversi in un boomerang.
“Di questo passo, metà di LFI finirà in commissariato davanti ai poliziotti”, ha commentato il giornalista politico di CNews, Gauthier Le Bret nel suo editoriale del 24 aprile. “L’aspetto negativo di queste convocazioni è che [LFI] può vittimizzarsi e unire le sue truppe”, ha proseguito.
Il canale, controllato dal miliardario di estrema destra Vincent Bolloré, non perde occasione per criticare il partito di sinistra. Il giorno precedente, il banner del programma ‘Touche pas à non poste’ su C8, anch’esso controllato da Bolloré, chiedeva ”I parlamentari dell’LFI sono fuori controllo?”
In un sondaggio su X, gli spettatori avrebbero risposto “Sì” con il 77,8%. Il conduttore e produttore Cyril Hanouna, vicino a Bolloré, ha impostato il tono fin dall’inizio criticando la “malafede” di Mathilde Panot.
Un clima avvelenato, quindi dove l’occupazione della prestigiosa università parigina potrebbe ridare il là alle mobilitazioni, dopo lo sgombero con la forza ad opera dei CRS e una parziale ma significativa vittoria, considerato che hanno ottenuto un incontro con la direzione e delle misure disciplinari prese dopo il 17 aprile.
Le milizie filo-sioniste, con il volto coperto ed il casco alla mano, hanno aggredito gli studenti di Science Po prima ancora che intervenisse la polizia per separarli.
Rima Hassan ha affermato chiaramente “questa mobilitazione mi ispira. Ammiro il loro coraggio” ed è acclamata dagli studenti.
Gli studenti, come i loro coetanei italiani e statunitensi, chiedono alla “loro” università di recidere i legami finanziari e di riesaminare i partneriati con le università israeliane complici con i crimini dello “Stato Ebraico”, come l’università ebraica di Gerusalemme che ha costruito differenti insediamenti nella Cisgiordania Occupata.
E gli studenti parigini denunciano il doppio standard con cui, in precedenza, erano stati rapidamente sospesi tutti gli accordi di cooperazione con le università russe.
Anche in Francia, il fallimento morale delle élite politiche complici con il genocidio israeliano, si manifesta in quello che era uno dei luoghi più prestigiosi di formazione della classe dirigente.
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