Questo maggio si preannuncia come un mese che, nella storia della Georgia post-sovietica, potrebbe diventare un momento di svolta del paese. Quale direzione prenda potrebbe essere deciso dai risvolti delle agitazioni in concomitanza con l’approvazione della legge definita “sugli agenti stranieri“.
Il parlamento georgiano ha infatti approvato in seconda lettura tale norma, e si appresta ora ad affrontare il voto definitivo entro metà maggio. Ma dal 9 aprile la capitale Tbilisi è animata da varie proteste, con un vero e proprio salto di qualità dal 29 aprile.
Tra il 30 aprile e il primo maggio, la polizia ha effettuato 63 arresti, mentre immagini di scontri di piazza si diffondevano a livello internazionale. Nella notte del primo maggio i manifestanti hanno assaltato e tentato di irrompere nel parlamento, spingendo il consesso a cancellare i lavori del 2 maggio.
Per ora il copione delle vicende sembra seguire quello visto un anno fa, quando già una proposta simile all’attuale in quasi tutto fu fermata dalla contrarietà di varie mobilitazioni. Il tema vero è se però questa volta, invece, di fronte alla determinazione del governo, verrà ricalcato anche il copione di Kiev 2014.
La Georgia ha una situazione a tratti speculare a quella dell’ucraina. Entrambe cominciarono il percorso di avvicinamento alla NATO col vertice di Bucarest del 2008, a cui seguì dopo pochi mesi la guerra russo-georgiana, con la quale Mosca sostenne l’indipendenza delle regioni dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud.
L’operazione russa in Ucraina non è dunque una novità rispetto a strategie già messe in campo per evitare l’accerchiamento euroatlantico. La novità è stata più nel fatto che il Cremlino questa volta ha apertamente chiesto la neutralità di Kiev, cosa che – dopo aver nutrito Euromaidan per un decennio – Washington non ha voluto accettare.
Una differenza sostanziale, però, è nell’effettivo orientamento del governo di Tbilisi. In questo caso, i partiti Sogno Georgiano (che guida la maggioranza) e Movimento Nazionale Unito (che guida l’opposizione) sono entrambi filo-atlantici, condividono le stesse scelte strategiche di fondo: insomma, come l’Italia, se fosse sul Caucaso.
Nel dicembre 2023 Bruxelles ha concesso alla Georgia lo status di ‘paese candidato’ ad entrare nella UE. Ma la legge sugli “agenti stranieri” sembra porre un ostacolo insormontabile di fronte a questo percorso, a giudicare dalle parole di alti dirigenti europei.
Josep Borrell ha condannato la “violenza contro i manifestanti in Georgia che manifestavano pacificamente“. La solita presbiopia del “giardino europeo” che impedisce di vedere le manganellate se date ai solidali con la Palestina nei paesi UE.
La Von der Leyen ha detto che “la Georgia è a un bivio. Essa dovrebbe rimanere sulla strada verso l’Europa“. Parole che assomigliano a una minaccia, più che a una sincera preoccupazione per il futuro della democrazia georgiana se la legge venisse approvata.
Perché poi il nodo fondamentale è proprio questa norma, che non in sé ha nulla di preoccupante. Il testo impone a tutti gli enti che ricevono più del 20 per cento dei loro fondi da istituzioni straniere di farsi inserire in un registro di “organizzazioni portatrici degli interessi di una potenza straniera“.
In pratica, si tratta di uno strumento di relativo controllo delle operazioni di lobbying estere sulla politica georgiana. Un elemento che dovrebbe essere di “garanzia della sovranità” e dell'”autonomia del governo” – come del resto dovrebbe essere in qualsiasi regime democratico – non una sua ferita insanabile…
Anche se, ad ogni modo, in Georgia non sarà così.
Va infatti sottolineato come ormai da una trentina d’anni la politica, così come i servizi pubblici in senso lato (dall’educazione alla sanità, fino allo sviluppo rurale e delle infrastrutture), sono divenuti terreno di caccia di istituti internazionali e delle “organizzazioni non governative” attraverso cui operano.
Si tratta della costruzione di veri e propri potentati interni al paese ma eterodirette, cui i cittadini devono fare affidamento, volenti o nolenti.
‘Sogno Georgiano’ – il partito che attualmente governa ed ha proposto la legge – non intende assolutamente abbattere questo sistema, su cui in fondo anch’esso si appoggia, ma in qualche misura controllarlo meglio.
Alcuni settori vicini a vari oppositori cominciano a dare segnali di insofferenza che sembrano andare oltre il gioco, seppur truccato, delle elezioni democratiche, e il governo vuole perciò riaffermare un certo grado di controllo sul paese.
Su tutti i media nostrani invece leggiamo che tale legge, che non riconsegnerà comunque alcuna sovranità al popolo, si tratta di una “legge russa“, perché viene associata alla normativa di Mosca sul tema. Ma non sembra aver nulla in comune con quel provvedimento, semmai sembra ricalcata sul Foreign Agents Registration Act statunitense.
In sintesi, una legge viene definita filo–russa se limita le possibilità dell’Occidente di fare quel che vuole in un paese terzo, mentre se lascia massima libertà di manipolazione agli interessi esteri è “espressione di democrazia”. Un’altra manifestazione da manuale del “doppio standard” usato alle nostre latitudini.
Quel che non sta bene alle centrali imperialiste occidentali è la posizione del nuovo primo ministro, Irakli Kobakhidze, in carica da febbraio. Egli, sostenitore dell’Ucraina e critico della Russia, si è però sempre opposto alle pressioni che volevano che la Georgia aprisse un fronte caucasico per indebolire ulteriormente Mosca.
Visto da lontano, Kobakhidze non sembra un “agente del Cremlino”, ha anzi ribadito la sua ferma intenzione di fare entrare il suo paese nella UE. Appare semplicemente un politico che, adottando un po’ di realpolitik, sa che la pace salva le vite e l’economia dei suoi cittadini.
Il primo ministro georgiano ha in effetti in passato parlato di un “partito globale della guerra” che vuole trascinare il suo paese in un conflitto. Per quanto possa essere filo-occidentale, sa anche che Bruxelles e Washington sono pronte a usare Tbilisi come carne da macello, per poi abbandonarla quando non sarà più utile.
Cosa c’entra tutto questo quadro con una legge che in sostanza riguarda il lobbysmo? Quasi nulla in pratica, ed è per questo che sembra decisamente più improbabile, rispetto al 2014, il sostegno a soluzioni politiche violente, che la norma passi o meno: sarebbe sostituire un esecutivo atlantista con un altro esecutivo atlantista.
Comunque, l’interpretazione che stanno dando della vicenda in Occidente sembra essere anche un segnale piuttosto chiaro per le elezioni che si svolgeranno nel prossimo autunno. Tramite una legge sulle influenze estere, il futuro governo è avvertito sui limiti che il suo agire sovrano potrà avere.
Ad ora, però, teniamo gli occhi aperti sulla terza votazione del provvedimento, che avverrà nei prossimi giorni. Fino a che punto possa essere davvero compromessa dall’interno la “democrazia” georgiana non si può prevedere al dettaglio…
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