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Francia: le facoltà di Scienze Politiche epicentro della solidarietà con la Palestina

A giudicare dalla selva di microfoni e telecamere, nonché dal numero di media stranieri in attesa, pochi secondi prima che la direzione di Sciences Po parlasse alla stampa giovedì 2 maggio, si sarebbe detto che Macron in persona stesse per parlare nel grazioso cortile di rue des Saints-Pères.

Lo riferisce il sito di informazione indipendente Mediapart – citando un testimone oculare – nella ricostruzione della mobilitazione nel prestigioso istituto parigino.

L’università di studi politici è un luogo simbolico per la formazione della classe dirigente francese e non solo solo, e sta attirando una grande attenzione in un momento in cui le critiche degli studenti alla guerra di Israele a Gaza come rappresaglia all’attacco di Hamas del 7 ottobre, stanno dilagando.

Ma non è l’unico istituto che si è mobilitato.

Francamente, di tanto in tanto vorremmo essere dimenticati, scomparire dallo schermo radar“, confida un rappresentante del personale al sito di informazione indipendente francese, riferendo dell’esasperazione di alcuni di loro per l’insolita frenesia politica e l’attenzione mediatica e dell’uscita dal clima ovattato da “Torre d’Avorio” che contraddistingue uno dei fiori all’occhiello dell’università dell’Unione Europea.

Ma al di là dell’effetto lente d’ingrandimento e della storia, Sciences Po è oggi una scuola – o meglio un complesso universitario – con 15.000 studenti provenienti da oltre 150 Paesi diversi.

Inoltre, il movimento e le occupazioni si stanno diffondendo in vari istituti di studi politici in tutto il Paese – tra cui Bordeaux, di cui tratteremo più avanti – oltre che in alcune università francesi, che stanno divenendo il centro del rinvigorito movimento di solidarietà alla Palestina che ha attraversato i cortei del Primo Maggio.

Quello che sta succedendo nelle università francesi è un punto di caduta evidente della sovrastruttura ideologica della società occidentale che contrappone il “mondo libero” alle cosiddette “autocrazie”, ma che sta usando più il bastone che la carota a chi ne mette legittimamente in discussione le responsabilità nel genocidio palestinese.

Il townhall organizzato giovedì mattina a Science Po a Parigi (una sorta di assemblea generale senza voto) proposta dall’amministratore provvisorio della scuola Jean Bassères – nominato dopo le dimissioni dell’ex direttore Mathias Vicherat, accusato di “violenza domestica” – è stato quindi oggetto di un attento esame.

Questo esercizio senza precedenti era inteso come una via d’uscita dalla crisi dopo settimane di proteste, l’evacuazione degli studenti filo-palestinesi da parte della polizia una settimana fa – rivendicata da Bassères stesso in assemblea! – e una nuova, turbolenta, occupazione venerdì con successivo nuovo sgombero venerdì mattina.

I discorsi non sono stati sufficienti, e le posizioni sono rimaste polarizzate anche e soprattutto a causa della rigidità dell’autorità universitaria.

Appena due ore dopo la fine del dibattito, il Comitato per la Palestina e gli Studenti per la Giustizia in Palestina hanno infatti annunciato in un comunicato stampa, letto sul marciapiede di rue Saint-Guillaume, che gli studenti avrebbero iniziato uno sciopero della fame fino a quando non fossero state soddisfatte le loro richieste, come i propri coetanei della Sapienza.

Sei studenti hanno iniziato uno sciopero della fame, ed insieme ad altri hanno iniziato un sit-in prima di essere portati via di peso dalle forze dell’ordine.

Le loro richieste consistevano in tre punti: “condanna ufficiale delle violazioni del diritto internazionale e del genocidio in corso a Gaza“, l’apertura di una “commissione d’inchiesta” sui partenariati che la scuola ha stretto con università e aziende israeliane direttamente o indirettamente coinvolte nel conflitto, ed infine “la fine definitiva delle sanzioni” contro gli studenti che hanno svolto azioni a sostegno della Palestina nel campus.

Sono parole d’ordine che stanno attraversando i campus in tutto il mondo che hanno relazioni con lo Stato sionista.

Giovedì sera si stava già organizzando un nuovo blocco “votato da un centinaio di studenti”, riporta Le Monde. La polizia è intervenuta il venerdì mattina per sgomberarli, mentre gli edifici principali della scuola sono stati chiusi.

Una specie di “serrata” a cui è seguita l’azione manu militari, e che ha reso illusorio di fatto il confronto tra le istanze degli studenti e la governance, ma che non scriverà la parola “fine” rispetto alle mobilitazioni.

Alla fine infatti Bassères aveva posto un netto rifiuto rispetto alle istanze degli studenti.

Ho rifiutato la richiesta di un gruppo di lavoro per indagare le nostre relazioni con le università e le imprese israeliane ricordando agli studenti che esiste già una governance a Science Po che gestisce questi argomenti. So che questo provocherà delle reazioni”.

Una posizione chiaramente provocatoria.

Jean Bassères, inoltre, aveva anche avvertito che la direzione non avrebbe escluso di chiamare nuovamente la polizia per evacuare i locali, in particolare per garantire lo svolgimento degli esami, che iniziano lunedì.

Questo nonostante il clamore suscitato dall’intervento del CRS – i reparti anti-sommossa francesi – mercoledì 24 aprile, una misura senza precedenti secondo molti dipendenti e insegnanti-ricercatori che conoscono l’istituto; una vera e propria “rottura” della prassi democratica nell0università.

L’amministratore provvisorio ha inoltre confermato alla stampa, come abbiamo già scritto, di escludere qualsiasi rottura della partnership con le università israeliane, ma ha promesso di “avviare un processo di riflessione” per stabilire la “dottrina” di Sciences Po quando si tratta di prendere posizione sui “grandi dibattiti” del giorno.

Parlando di un dibattito “duro“, ricco di “emozioni“, ha chiarito che vuole che Sciences Po rimanga un luogo “democratico“, senza compromessi di fronte a “razzismo e antisemitismo”.

Così democratico che le forze dell’ordine sono intervenute due volte in una decina di giorni..

Martedì, la direzione ha inviato un’e-mail per invitare l’intera “comunità” di Sciences Po a occupare i 340 posti disponibili nell’anfiteatro principale, trasmettendo il messaggio a tutte le componenti della scuola (dipendenti, docenti-ricercatori, studenti, oltre alle varie organizzazioni, collegi universitari, sindacati, rappresentanti del personale, ecc.).

Ho cliccato sul link un minuto dopo aver ricevuto l’invito e non c’erano più posti“, racconta un membro del personale amministrativo, sintomo di un interesse sincero.

Alcune assenze hanno provocato alcuni scontri: ad esempio, la delegazione di studenti di Mentone, impegnata da mesi, non è stata accettata, avendo la direzione rifiutato la sua presenza a causa dei blocchi “in corso“. Il campus di questa sede di Sciences Po nel sud della Francia, teatro di gravi tensioni, è stato chiuso “fino a nuovo ordine“.

Durante le discussioni, il sindacato studentesco Unef ha comunque “accolto con favore la volontà di dialogo“, pur schierandosi a favore delle “proteste pacifiche“. Ha inoltre denunciato un “superamento della linea rossa” dopo l’intervento della polizia della scorsa settimana.

Nova, l’organizzazione studentesca “interna” di Sciences Po, ha insistito sul fatto che la scuola dovrebbe rimanere “neutrale“, criticando gli “scontri e i blocchi” in corso da mesi.

Ma il collettivo Sciences Po Justice for Palestine, come altre organizzazioni studentesche di sinistra come Solidaires e L’Union étudiante, ha ribadito che “Sciences Po deve applicare ciò che insegna“, ovvero la libertà accademica, l’impegno politico e il rispetto del diritto internazionale; anche a Gaza.

L’applauso è stato silenzioso, con le mani alzate: “Le dodici università di Gaza vengono distrutte“, ha insistito uno dei loro rappresentanti, che ha parlato di un vero e proprio “scolasticidio”, termine usato da un rapporto di una agenzia della stessa ONU.

La questione dei partenariati ha occupato un posto di rilievo negli interventi. Lo slogan “Disinvest Israel” (“Smettete di investire in Israele“), che viene brandito anche nelle università statunitensi, è stato battuto sul tempo dalla direzione: Arrancha Gonzales, preside della Scuola di Affari Internazionali, ha giustificato questo rifiuto con la “dottrina di Chicago“, stabilita nel 1967, quando l’università di questa grande città americana stava discutendo se condannare o meno la guerra del Vietnam.

Riferendosi ai legami di Sciences Po con altri istituti di ricerca in Cina e in Qatar, l’ex ministro spagnolo insiste: “I legami universitari sono gli ultimi ad essere tagliati”.

Indifferente alle critiche, ricorda che “abbiamo 480 università nostre partner, è la ricchezza dell’istituzione”.

Ma all’interno e all’esterno dell’università, l’argomento non è stato accolto con favore, soprattutto perché Sciences Po ha interrotto immediatamente tutti i rapporti con le università russe in seguito all’invasione dell’Ucraina. “Un doppio standard insopportabile“, afferma Icham, portavoce del movimento pro-Palestina.

Da parte loro, alcuni partecipanti hanno criticato il mancato sostegno della direzione agli studenti palestinesi dall’inizio della guerra a Gaza, e una sorta di “caccia alle streghe”.

Come abbiamo riportato in un precedente articolo, “l’apologia di terrorismo” è l’accusa – falsa –  usata per colpire trasversalmente una ampio di spettro politico, sindacale e di “movimento” per la loro critica alla politica israeliana.

Una logica repressiva che ora è stata o fatta propria dall’università con, tra l’altro, il falso pretesto dell’azione di una minoranza “radicalizzata” che prenderebbe in ostaggio la maggioranza degli studenti, cosa decisamente contestata dagli stessi studenti che magari non protestano ma comunque partecipano alle discussioni ed ai dibattiti.

Tuttavia, la situazione si è riaccesa solo alla fine della sessione, dopo che uno studente ebreo si è espresso a favore della mobilitazione pro-Palestina nella scuola e contro il sionismo.

È stato rimesso al suo posto da Jean Bassères, che ha trovato il suo discorso offensivo e scioccante, e parte della sala si è arrabbiata molto“, ha riferito un rappresentante del personale presente in aula, sintomo che l’antisionismo è il motivo di irritazione per chi sposa la narrazione liberale del conflitto arabo-israeliano.

Due giovani donne ebree, ex allieve della scuola, sono uscite dal dibattito per criticare i “dubbi amalgami”. “La confusione tra antisionismo e antisemitismo impoverisce la riflessione su questo conflitto, anche nella nostra vecchia scuola“, spiega una di loro.

Riteniamo che Sciences Po non solo abbia il diritto di prendere posizione ora per denunciare quanto sta accadendo a Gaza, ma che abbia addirittura il dovere di farlo”.

In diverse occasioni, lo stesso primo ministro Gabriel Attal ha criticato la cosiddetta scuola del “potere” autoinvitandosi nel consiglio di amministrazione – a dispetto dell’autonomia e delle libertà accademiche – e sollevando lo “spauracchio wokista”.

Lunedì Valérie Pécresse, presidente della regione Île-de-France, ha sospeso in via definitiva più di un milione di euro di sovvenzioni all’università per sottolineare il suo disaccordo con la “capitolazione” di Sciences Po nei confronti di una “minoranza di radicali che invocano l’odio antisemita“, secondo quanto dichiarato in un tweet.

In generale quello a cui assistiamo è una bancarotta morale di quello che è considerato un istituto di eccellenze di scienze politiche. Riporta Le Monde che “Non lontano da Science Po, davanti la Sorbonne, dove la polizia era già intervenuta lunedì, per evacuare dei manifestanti, circa 300 studenti venuti da differenti campus parigini si sono riuniti giovedì pomeriggio e hanno organizzato un accampamento di una ventina di tende, prima di essere sgomberati, un ora più tardi, dalle forze dell’ordine”.

Un altro importante istituto universitario interessato alla mobilitazione è quello di Scienze Politiche di Bordeaux, nella Gironda.

Non appena hanno cercato di aprire l’imponente porta a vetri della loro scuola, sono stati fermati da una guardia di sicurezza: “È chiusa“, ha detto loro mentre spingeva la porta nella direzione opposta.

Gli studenti di Bordeaux – riporta un’altra inchiesta di Mediapart – erano venuti in piccoli gruppi di cinque o dieci per occupare simbolicamente Sciences Po Bordeaux alla vigilia del Primo Maggio, in segno di solidarietà con la Palestina. La maggior parte di loro ha trovato la porta chiusa al proprio arrivo, poiché il direttore aveva deciso di chiudere l’istituto come misura precauzionale.

Una serrata, come il suo “collega” parigino.

I più determinati, con kefiah palestinesi al collo e tra i capelli, avevano preso le dovute precauzioni. Arrivati diverse ore prima dell’orario stabilito per quello che sui post sembrava essere un semplice workshop, un gruppo è riuscito a eludere i piani dell’amministrazione e si è accampato nell’atrio della scuola.

Un’ora e mezza dopo sono usciti tra gli applausi dei loro compagni, portando come trofeo una lettera firmata dal preside. “Anche se Sciences Po non vuole, noi siamo qui, per l’onore della Palestina e per coloro che vengono uccisi“, ha cantato con orgoglio la piccola troupe di circa cinquanta studenti della prestigiosa scuola della Gironda, sulle note della famosa canzone popolarizzata dai Gilets Jaunes.

Il preside ha accettato di incontrarli giovedì 2 maggio per discutere le loro richieste. Organizzati all’interno di un comitato indipendente da loro creato, gli studenti filopalestinesi di Sciences Po Bordeaux chiedono la fine dei partenariati accademici con le università israeliane, analogamente alle misure adottate contro la Russia, e che la loro istituzione prenda una posizione chiara “di fronte al genocidio in corso a Gaza“.

Si tratta di due richieste che sono state avanzate per la prima volta da importanti università americane come la Columbia e Harvard e che si sono poi diffuse a macchia d’olio nei campus dei prestigiosi Instituts d’études politiques francesi.

Solo martedì 30 aprile gli studenti di Sciences Po Rennes hanno occupato la loro scuola per dodici ore prima di essere sgomberati dal CRS.

A Strasburgo, gli studenti hanno bloccato l’ingresso principale dell’IEP con bidoni della spazzatura e attrezzature edili.

Le stesse scene si sono verificate a Sciences Po Grenoble e nelle sedi distaccate di Saint-Étienne e Mentone, dove la direzione ha deciso di chiudere il campus fino a nuovo ordine.

A Lille, dove si sono mobilitati anche altri studenti universitari, un tentativo di occupazione è stato impedito il 2 maggio con l’uso di lacrimogeni da parte della polizia.

In un comunicato di giovedì, Etienne Peyrat, nuovo direttore di Science Po di Lille si è espresso contro “il boicottaggio delle università israeliane”.

Da un istituto all’altro, gli stessi slogan hanno ricoperto le facciate delle scuole e sono stati cantati gli stessi slogan: “Israele è un assassino, Sciences Po è complice“, “Non c’è più un’università a Gaza” e “Viva la lotta del popolo palestinese”.

Le Sciences Po, ovunque si trovino nel Paese, stanno diventando punti di raccolta per un movimento studentesco che afferma di non poter “più restare inerti di fronte al genocidio in corso a Gaza” e che sta cercando disperatamente di “scuotere” i suoi anziani.

Martedì sera, a Pessac, nel campus di Sciences Po di Bordeaux, pezzi di cartone sono stati sparsi per terra e preparati per essere trasformati in cartelli con i colori della Palestina. Studenti di altre università della città, alcuni con grandi pennelli, altri con striscioni con i nomi delle loro organizzazioni politiche e studentesche, sono venuti a dare una mano agli studenti di Sciences Po.

L’idea è quella di creare un fronte comune tra gli studenti in solidarietà con la Palestina“, spiega Yanis Jaillet, segretario generale dell’Unione degli studenti e studente di un’università vicina.

Lo facciamo a Sciences Po perché è diventata un simbolo, quello di una grande istituzione per la formazione dell’élite che si mobilita per il cessate il fuoco a Gaza, facendo eco alle grandi università americane che hanno investito in questa lotta. Stiamo dimostrando che i giovani, in tutta la loro diversità, anche i più privilegiati, si stanno mobilitando per la Palestina“.

Un gruppo di studenti di Sciences Po siede su una panchina di fronte alla scuola, ai margini di un parco che sembra una landa desolata, ripercorrendo gli eventi che si sono verificati dal 7 ottobre e il mortale attacco di Hamas in territorio israeliano.

Coperti dalle loro kefiah, ricordano la creazione di un gruppo WhatsApp che riunisce coloro che sono rimasti immediatamente scioccati e indignati dalle immagini di Gaza che mostravano i corpi mutilati dei bambini.

Insieme, questi studenti del quarto, terzo e primo anno hanno deciso di creare “Sciences Palestine“, il comitato di sostegno degli studenti di Sciences Po Bordeaux per la Palestina, per trasformare la rabbia in forza d’azione.

I membri del comitato raccontano con un pizzico di orgoglio le poche azioni di grande impatto che hanno portato a termine con successo, come l’organizzazione di una giornata di solidarietà inter-IEP a marzo, punteggiata da una vendita di kefiah, o l’apparizione di uno striscione con la scritta “Israele assassino, Macron complice” ad aprile, in occasione di una conferenza ospitata dal ministro per le Relazioni con il Parlamento, Marie Lebec.

L’apatia delle nostre istituzioni di fronte alle centinaia di persone uccise ogni giorno a Gaza, è questa ingiustizia che ci spinge a mobilitarci“, si entusiasma Mathis, membro del comitato. Non vogliamo gerarchie tra di noi, siamo un’organizzazione orizzontale”, dichiara.

Per il momento non vogliamo nemmeno essere riconosciuti come associazione all’interno dell’IEP, perché anche se questo ci consentisse di ottenere finanziamenti, ci costringerebbe a seguire le regole di ingaggio stabilite dalla direzione“.

Senza parlare di repressione, diversi studenti hanno parlato di un clima scoraggiante per coloro che, sensibili alla causa palestinese, sono riluttanti a fare il passo di diventare attivisti.

Alcuni amici studenti, che lavorano anche per l’IEP, ci hanno detto che vorrebbero essere coinvolti nel comitato, ma si trattengono per paura di perdere il lavoro“, raccontano. Si parla di convocazioni nell’ufficio del direttore del PEI, in particolare per i messaggi pubblicati sui gruppi dell’anno.

Il clima generale di repressione delle voci filopalestinesi agisce come uno spauracchio sugli studenti. “Soppesiamo ogni parola dei nostri comunicati stampa, perché sappiamo di essere spiati e che ogni nostra mossa rischia di essere rivolta contro di noi“, ammette uno studente.

Tutti hanno in mente la disavventura del sindacalista della CGT del Nord a cui è stata inflitta una pena detentiva di un anno con la condizionale per aver pubblicato un volantino a sostegno della Palestina, o le convocazioni per apologia di terrorismo di membri eletti de La France insoumise.

Gli studenti rifiutano anche qualsiasi ambiguità con l’antisemitismo.

Per quanto riguarda le accuse di wokismo mosse dal primo ministro Gabriel Attal, che ha descritto i blocchi studenteschi a Sciences Po Parigi come “azioni di una minoranza agitata e pericolosa che cerca di imporre le proprie regole, un’ideologia proveniente da oltre Atlantico”.

Anche la sua ideologia neoliberista di distruzione dei servizi pubblici viene dall’altra parte dell’Atlantico e mi sembra molto più pericolosa della nostra“, risponde uno studente.

Per questi giovani attivisti per la causa palestinese, l’obiettivo di queste accuse calunniose è quello di minare la loro credibilità e distogliere l’attenzione dalla loro richiesta principale: la cessazione della partnership che la loro scuola ha stabilito con l’Università israeliana Ben Gourion.

Gli studenti accusano l’università di sostenere “la politica colonialista di Israele“, assegnando borse di studio solo a studenti della riserva o in servizio militare, e di reprimere tutte le voci che osano condannare le violazioni dei diritti umani nei territori palestinesi.

L’obiettivo è fare pressione su Israele contribuendo al suo isolamento internazionale“, spiegano i membri del comitato. Sperano che la loro scuola sia all’avanguardia tra le università francesi, come la prestigiosa Brown University negli Stati Uniti, che è stata la prima ad accettare il “disinvestimento dalle aziende che permettono e traggono profitto dal genocidio di Gaza” in cambio dello smantellamento di un campo di studenti filo-palestinesi.

I giovani stanno mostrando la strada e indicano che non si lasceranno intimidire da coloro che sono più scioccati dall’uso del termine ‘genocidio’ che dal genocidio in corso a Gaza“, dice Enzo, uno studente affiliato a La France insoumise.

NPA, Poing levé, CGT: sindacati e partiti si sono alternati su un banco per radunare gli studenti per il tradizionale corteo del Primo Maggio, che hanno promesso sarebbe stato con i colori della Palestina.

Tutti hanno giocato al meglio la carta della convergenza delle lotte, come Thierry, insegnante di filosofia e rappresentante della CGT Éduc’action. “Ci fa piacere che abbiate fatto un collegamento tra il razzismo, l’islamofobia e la repressione di coloro che denunciano il genocidio in corso a Gaza. Questo legame è la struttura del capitalismo francese nella sua dimensione coloniale“, afferma il sindacalista.

Una promessa mantenuta il giorno dopo. Nonostante la pioggia battente, che ha cancellato anche il ricordo del sole splendente del giorno precedente, un imponente corteo di solidarietà con la Palestina ha preso posto tra i soliti camion della CGT e di Solidaires, tra gli altri.

Lo sciabordio dell’acqua sul marciapiede di Bordeaux è stato rapidamente superato dai canti di solidarietà inviati al popolo palestinese. Indistinguibili dalle bandiere che sventolavano nel vento di Bordeaux sopra le file ordinate dei manifestanti, gli studenti filopalestinesi hanno sfilato dietro i loro striscioni.

Ogni giorno vediamo morire persone della nostra età e perdere le loro famiglie, non possiamo rimanere indifferenti” riferisce uno studente a Mediapart, mentre marcia per la prima volta insieme ai suoi compagni del comitato “Sciences Palestine“, di cui non fa parte per paura di conseguenze accademiche.

Lo stato miserabile del dibattito pubblico mi ha incoraggiato a fare questo passo“, dice. “Le tensioni che circondano la situazione a Gaza sono simili a quelle provocate dalle proteste per il clima, dalle riforme pensionistiche e dalla violenza della polizia. Fa parte di una dinamica più ampia in cui non possiamo più esprimere idee progressiste senza essere etichettati come wokisti o islamosinistri. Si tratta anche di difendere il diritto di lottare” afferma Paula, 57 anni, che fa parte della vecchia generazione e ammira i giovani che si sono mobilitati nonostante i rischi e la repressione.

Contiamo su di loro, ci danno speranza raccogliendo il testimone quando la mobilitazione a favore della Palestina si va esaurendo nel Paese“, dice questa assistente di alunni disabili, che è stata la prima a scendere in piazza durante il movimento dei “gilet gialli” e che da allora ha partecipato a tutte le battaglie sociali.

Agli studenti di Sciences Po si sono aggiunti studenti di altre discipline e persino studenti delle scuole superiori. Rafael, studente dell’ultimo anno, si unisce a Pauline, studentessa al master in scienze agrarie, e a Inès, studentessa di biologia. I tre partecipano alle manifestazioni di solidarietà con la Palestina ogni settimana da diversi mesi. “Se non venissimo, ce ne pentiremmo per il resto della nostra vita“, spiegano.

Ognuno di loro racconta cosa li ha spinti a impegnarsi in questa causa. Per uno è stata la storia di Hind, una bambina di 6 anni uccisa dal fuoco israeliano dopo ore di agonia, che implorava aiuto. L’altro mostra video di abitanti di G aza che parlano della vita sotto le macerie.

Credo che stia succedendo qualcosa tra i giovani“, dice Rafael. “La nostra generazione è la più colpita da ciò che sta accadendo. Siamo tutti sui social network, non possiamo sfuggire alle atrocità commesse a Gaza, le immagini sono ovunque. Vediamo ogni giorno persone della nostra età morire e perdere le loro famiglie, e nessuno può rimanere indifferente di fronte a questo.”

All’arrivo in Place de la Victoire, il corteo palestinese era inesauribile, continuava a cantare canzoni di solidarietà e ad attirare altri manifestanti. I cartelli “Rance Travail” (un gioco di parole con France Travail, il successore del Pôle emploi) e le bandiere della CGT si mescolavano alle bandiere palestinesi e alle kefiah.

La convergenza delle lotte immaginata dai sindacati è stata improvvisata, senza che nessuno se ne rendesse conto. Sotto la forza di una spinta oggettiva, che anticipa persino la consapevolezza individuale e collettiva.

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