I risultati delle elezioni per il rinnovo della camera catalana cancellano la maggioranza indipendentista affermatasi nel 2021 e incoronano il Partit dels Socialistes de Catalunya (PSC) come il partito di maggioranza relativa.
Lo schieramento indipendentista retrocede dal 51% di tre anni fa all’attuale 43%. Accanto a questo chiaro risultato, le urne sanciscono anche la crescita della destra e dell’estrema destra e disegnano un panorama parlamentare dagli equilibri incerti. Vediamo i risultati.
I socialisti catalani guadagnano più di 200.000 voti rispetto alle precedenti elezioni e si affermano come la prima forza parlamentare sia in voti che in seggi. I deputati del PSC sono ben 42, lontani dalla maggioranza assoluta (fissata a 68 seggi), ma più che sufficienti per candidarsi alla guida della Generalitat de Catalunya.
Il leader socialista Salvador Illa, già Ministro della Sanità del governo spagnolo durante la pandemia, ha parlato di un risultato storico e dell’apertura di una nuova tappa. I socialisti si sono affermati nettamente nella demarcazione di Barcellona, come già tre anni fa, e in quella di Tarragona, in entrambi i casi davanti a Junts e a Esquerra Republicana de Catalunya.
Il peso specifico e demografico delle aree in cui vince il PSC, sostanzialmente attorno a Barcellona, è cruciale per la vittoria elettorale: se si guarda alla distribuzione dei voti nei comuni si vede che i socialisti si affermano in 167 municipi, mentre Junts, il partito di Puigdemont, risulta il preferito in ben 726 comuni.
La ricetta del successo elettorale socialista è presto detta: cauto riformismo sociale, amnistia dai contorni ancora incerti per gli indipendentisti, fedeltà assoluta al PSOE e allo schieramento atlantico.
Una ricetta avvalorata e condivisa anche da ERC, il cui elettorato ha evidentemente preferito l’originale socialista alla copia catalana, determinando un vero e proprio ribaltone.
Il secondo partito della camera è Junts, che cresce di circa 100.000 voti rispetto alle elezioni del 2021, passa da 32 a 35 deputati e supera ERC, tornando a rappresentare il primo partito indipendentista.
La formazione dell’ex-presidente tuttora in esilio si afferma nelle demarcazioni di Girona e Lleida ed è l’unico gruppo indipendentista che migliora i precedenti risultati. Puigdemont si era dichiarato pronto a tornare in Catalunya, nel caso fosse risultato il candidato più votato, per riprendere il percorso verso l’indipendenza.
Il presidente del primo ottobre mantiene ancora un forte consenso personale e assicura la tenuta del partito storico della piccola e media borghesia catalana.
ERC registra un calo notevole (meno 180.000 voti) e passa da 33 a 20 seggi. I repubblicani non si affermano in nessuna delle 4 demarcazioni e anche nella distribuzione dei voti a livello municipale si trovano non solo dopo Junts ma anche dopo i socialisti, con 43 municipi.
La quarta forza della camera catalana è il Partit Popular, che registra una spettacolare crescita di più di 200.000 voti, passa da 3 a 15 deputati e abbandona l’ultima posizione nella quale era stato relegato nel 2021.
La crescita del PP non avviene a spese di Vox, che mantiene gli 11 deputati di tre anni fa e si consolida nelle proprie posizioni. Al contrario Ciutadans, il partito che aveva svolto la funzione di diga unionista e il più votato nel 2017, vede sfumare i propri 6 seggi e sparisce dalla camera.
Per quel che riguarda la sinistra di osservanza statale, i Comuns-Sumar registrano un calo di circa 15.000 voti e passano da 8 a 6 seggi. Si tratta dell’alleato-stampella più vicino ai socialisti che, ingoiato il rospo del sostegno alla NATO in Ucraina (deciso dal governo Sánchez), consolidano l’appartenenza allo schieramento unionista.
Gli anticapitalisti e indipendentisti della Candidatura d’Unitat Popular perdono più di 60.000 voti rispetto al 2021 e passano da 9 a 4 seggi. La CUP ottiene 3 seggi a Barcellona e 1 a Girona, senza riuscire a strapparne altri né a Lleida né a Tarragona.
Se nel 2021 la coalizione era la prima forza in cinque comuni, oggi non si afferma neppure in uno e cala in modo preoccupante in alcuni dei propri feudi tradizionali.
Il deludente risultato della CUP prosegue la parabola discendente del partito iniziata con le elezioni spagnole e le comunali catalane dello scorso anno e che il processo congressuale di rifondazione interna (ancora in corso) intende arginare.
La campagna elettorale del partito è stata all’insegna dello slogan “un altro paese è possibile” ed ha privilegiato i temi sociali senza dimenticare l’indipendenza. La CUP è inoltre l’unico partito che si è opposto coerentemente allo schieramento atlantico, sia per quel che riguarda la Palestina che per l’Ucraina. Ma i temi internazionali sono rimasti ampiamente ai margini della campagna elettorale.
Infine c’è da registrare l’ingresso nella camera di un nuovo partito d’estrema destra, Aliança Catalana. Sorto a Ripoll, municipio dal quale proveniva il gruppo jihadista responsabile dell’attentato alla rambla di Barcellona del 2017, il nuovo partito si caratterizza per la islamofobia, la retorica contro l’immigrazione e per la creazione di “uno stato catalano libero, sicuro e occidentale“, come ha sostenuto la leader del partito e sindaco di Ripoll, Silvia Orriols.
Durante la campagna elettorale, Aliança Catalana ha beneficiato del sostegno di molte testate giornalistiche dell’unionismo spagnolo, che hanno dedicato più di una prima pagina alla Orriols, ritenuta in grado di intercettare parte degli elettori indipendentisti delusi sia da Junts che da ERC.
L’operazione è relativamente riuscita: Aliança Catalana entra nel parlamento regionale con 2 deputati. Da sottolineare che sia i tre partiti indipendentisti (Junts, ERC e la CUP) che il PSC e i Comuns hanno firmato un patto pre-elettorale nel quale si impegnavano a rifiutare il sostegno parlamentare (anche indiretto) della nuova formazione della estrema destra, di fatto relegata per il momento a una presenza testimoniale.
Di fatto, quando negli scorsi anni l’indipendentismo ha raggiunto i migliori risultati elettorali, non ha lasciato spazio all’emergere di una estrema destra catalana ed è riuscito a disinnescare la protesta populista: un dato di fatto spesso dimenticato che merita invece una riflessione. Aliança Catalana emerge infatti quando il movimento indipendentista perde l’iniziativa.
La formazione del nuovo esecutivo della Generalitat sembra complicata: il PSC potrebbe governare con ERC e i Comuns (le tre forze sommano giusto i 68 seggi necessari), ma l’esito non è scontato. La linea del “tavolo delle trattative con i socialisti” imboccata da ERC si è rivelata elettoralmente disastrosa e il gruppo dirigente dei repubblicani si trova ora davanti a un bivio: sostenere un governo di centrosinistra guidato da Illa (che rappresenterebbe la certificazione della rinuncia alle velleità indipendentiste del proprio elettorato) o ricercare una nuova alleanza con Junts e la CUP, dai contorni ancora tutti da definire.
È molto probabile che la situazione permanga incerta almeno fino alle prossime elezioni europee, senza scartare la possibile ritorno alle urne.
Il bilancio provvisorio della tornata elettorale è tutto a favore dell’unionismo statale e della conservazione degli equilbri esistenti: la radicale domanda di trasformazione istituzionale e sociale del movimento indipendentista subisce una decisa battuta d’arresto. Dove non era arrivata la repressione del PP, è arrivato il riformismo dei socialisti.
Oggi difficilmente le grandi imprese e le banche catalane sposterebbero la propria sede a València (come accaduto dopo il primo ottobre 2017) per difendere lo status quo e fare terra bruciata attorno a un movimento che, pur non esente da contraddizioni, ha evidenziato tutti i limiti della transizione spagnola, ha denunciato la continuità del regime del ’78 con il franchismo e ha minacciato la stabilità e il progetto del grande capitale catalano e spagnolo, entrambi integrati nel disegno della UE.
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Durante Spartaco
Analisi sbagliata e viziata da infantilismo estremistico (proprio nel senso leninista):
il PSOE ha, in questi ultimissimi anni e con l’appoggio comunista parlamentare, dato una virata di buongoverno in Spagna, sia riconoscendo legittimità agli indipendentisti con politiche oggettivamente avanzate che facendo muro contro i fascisti.
Se pensate come sia stata ”risolta” la questione basca (riforma fiscale) vedete come si spiega ciò.
Per la “presa della Moncloa” da parte del proletariato maturo e cosciente attendiamo che maturino le condizioni quindi.