E così Putin è volato in Cina, per la seconda volta in sei mesi e come prima visita dopo la quinta rielezione alla presidenza russa. Viaggio speculare a quello che ha fatto Xi Jinping alla sua terza rielezione come Presidente del Dragone.
L’occasione è stato l’invito che quest’ultimo ha fatto alla massima carica di Mosca per una serata di gala. La celebrazione è stata organizzata per il 75esimo anniversario del riconoscimento della Repubblica Popolare Cinese da parte dell’allora Unione Sovietica.
I temi sul piatto sono stati sostanzialmente tre filoni di dossier: i rapporti economici, lo sviluppo di un ordine multipolare del mondo, i punti di crisi militare internazionale nel confronto con il blocco euroatlantico. Vediamo le cose principali dette su tutti e tre.
Prima di partire, Putin ha pubblicato su Xinhua, agenzia di stampa ufficiale della Cina, un articolo che preannunciava le aspettative per l’economia russa. E non sono di certo poche, considerato che il volume del commercio tra i due paesi è più che raddoppiato dal 2019 (227,8 miliardi di dollari, a detta del presidente russo il 90% in valute nazionali).
Nell’articolo si parla di “cooperazione più stretta nell’industria e nell’alta tecnologia, nello spazio esterno e nella cooperazione pacifica in materia di energia atomica, nell’intelligenza artificiale, nelle energie rinnovabili e in altri settori innovativi. Continueremo a lavorare per fornire condizioni legali e organizzative favorevoli e per sviluppare le infrastrutture di trasporto e finanziarie“.
Pechino e Mosca hanno già 80 grandi progetti di investimento comune. E a leggere le parole di Putin viene dunque facile ai media occidentali additare la ‘partnership senza limiti’ come l’indirizzo guida della visita.
Ci si dovrebbe però ricordare che la formula “senza limiti”, in politica estera, non esiste davvero. E che Le Yucheng, il diplomatico che spinse per la sua adozione nella dichiarazione congiunta fatta poco prima dell’inizio dell’operazione russa in Ucraina, è passato da essere uno dei favoriti per il ministero degli Esteri a vedere la sua carriera politica finita in pochi mesi.
In realtà, le banche e le aziende cinesi hanno già mostrato di non essere completamente indifferenti alle preoccupazioni delle sanzioni secondarie di Washington e Bruxelles per la questione ucraina. E la Cina rimane attendista sul progetto del gasdotto “Power of Siberia 2” che, con le sue esportazioni verso il Dragone, risolverebbe tanti problemi di Gazprom.
Nella dichiarazione congiunta conclusiva, ad ogni modo, vengono rilanciati varie iniziative comuni, ripetendo la parola ‘cooperazione’ 130 volte. Per entrambi i paesi il rapporto reciproco ha un valore molto concreto e ‘nazionale‘.
È stato ancora Putin, nell’articolo citato, a ribadirlo con chiarezza: “è importante che i legami Russia-Cina, così come sono oggi, siano liberi dall’influenza di ideologie o tendenze politiche. Il loro sviluppo multidimensionale è una scelta strategica consapevole, basata sull’ampia convergenza degli interessi nazionali fondamentali“.
Molto interessante è anche la prima frase, nel quale si sottolinea come un nuovo equilibrio multipolare non è promosso da paesi che condividono una comune visione del mondo. E qui entra in gioco l’importanza dei BRICS, di cui quest’anno la Russia ha la presidenza.
Il suo scopo è procedere alla “perfetta integrazione dei nuovi membri […]. Come altra priorità, cerchiamo di continuare a lavorare in modo coordinato per aumentare la visibilità dell’associazione negli affari globali e costruire la sua capacità di promuovere un’architettura più democratica, stabile ed equa delle relazioni internazionali“.
Il bersaglio di questo cambiamento internazionale è, ovviamente, l’imperialismo euroatlantico. Le potenze occidentali vogliono “mantenere il loro dominio globale, si sono arrogate il diritto di dire alle altre nazioni con chi possono o non devono fare amicizia e cooperare, e di negare loro il diritto di scegliere i propri modelli di sviluppo“.
Nella dichiarazione finale viene stigmatizzata la logica da guerra fredda degli Stati Uniti. I due leader vogliono “aumentare l’interazione e rafforzare il coordinamento per contrastare il percorso distruttivo e ostile di Washington verso il cosiddetto ‘doppio contenimento’ dei nostri paesi“.
Le parole scritte da Putin su Xinhua rispondono perfettamente allo straordinario attivismo che la Cina ha mostrato in campo diplomatico negli ultimi anni. Ed anche nelle ultime settimane, se si pensa al viaggio fatto per sviluppare rapporti pacifici e vantaggiosi con Francia, Serbia e Ungheria, che poco vanno a genio alla Casa Bianca.
Il dipartimento di Stato USA, il 16 maggio, ha rilasciato una dichiarazione nella quale viene stigmatizzato il tentativo cinese di “rafforzare le relazioni con l’Europa e allo stesso tempo continuare ad alimentare una delle più grandi minacce alla sicurezza europea“. Per Washington è troppo complesso immaginare due relazioni pacifiche allo stesso tempo.
Al di là della battuta, c’è il timore di perdere l’iniziativa come ago della bilancia dell’ordine mondiale a favore di Pechino. L’incontro con Fatah e Hamas, così come le proposte per la soluzione della crisi ucraina.
La Cina promuove una conferenza di pace che però sia riconosciuta sia dalla Russia sia dall’Ucraina. Essa dovrebbe fondarsi sui principi della Carta delle Nazioni Unite, rispetti la sovranità e l’integrità territoriale di tutti gli stati, ma anche le loro esigenze di sicurezza.
Xi ha parlato a Putin anche della proposta di tregua olimpica, discussa con Macron qualche giorno prima. Il presidente russo si è detto aperto a questa possibilità, ma Zelensky l’ha già bocciata.
Il Cremlino, dal canto suo, non è magari allineato in tutto e per tutto con le posizioni molto caute del Dragone, ma su di esse si dice disponibile a lavorare. E così la Cina assume maggiore peso internazionale e la Russia acquista un interlocutore per spingere su una soluzione politica del conflitto.
Momenti come questi non sono rivoluzionari, ma devono essere compresi come tappe di processi storici: in questo caso, la fine dell’egemonia degli USA e lo sviluppo di un nuovo ordine mondiale. La Cina, dopo aver dato sempre priorità agli accordi economici, ora sta lavorando molto su questo fronte.
Il prossimo importante appuntamento è il 26 maggio, quando si terrà un summit trilaterale tra Cina, Giappone e Corea del Sud. Era da più di quattro anni che i tre paesi non si incontravano in formula congiunta, con bilaterali che si svolgeranno a margine.
Anche questi confronti sono parte di una fase di attivismo diplomatico cinese che coinvolge alleati statunitensi in maniera diretta. Una strategia a tutto tondo che vede gli Stati Uniti perdere piano piano il ruolo di interlocutore, tramite, deus ex machina, per ogni faccenda che avviene nel mondo.
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