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Il teatrino delle candidature per la Commissione Europea

Ieri si è svolto il terzo e ultimo dibattito tra i candidati alla presidenza della Commissione UE, trasmesso in diretta streaming dall’Unione Europea. Meno di un paio d’ore, per presentare le idee dei possibili futuri vertici di Bruxelles.

I candidati erano cinque: Ursula von der Leyer, presidente uscente del Partito popolare europeo; Walter Baier, austriaco della Sinistra europea; Sandro Gozi per Renew Europe Now; l’altra tedesca in lizza Terry Reintke, dei Verdi europei; Nicolas Schmit, lussemburghese, del Partito del socialismo europeo.

Il confronto si è svolto su sei argomenti: economia e lavoro; difesa e sicurezza; clima e ambiente; democrazia e leadership; migrazione e frontiere; innovazione e tecnologia. Insomma, i temi che oggi tengono banco nel dibattito sui passi avanti che deve fare la costruzione europea.

È già significativo di come funzioni la UE il fatto che la serie di confronti tra le personalità candidate a guidare l’organo principale di Bruxelles abbia ricevuto davvero poca pubblicità (del resto, anche alle elezioni europee sono i temi nazionali che conquistano la campagna elettorale). Ma bisogna anche ricordare che non c’è alcun reale processo democratico dietro il funzionamento della UE.

La presidenza della Commissione è nominata dal Consiglio Europeo, dove si riuniscono i capi degli esecutivi degli stati membri, tramite una votazione con maggioranza qualificata. Essi lo fanno secondo la formula molto vaga usata dai trattati europei, cioè “tenendo conto dei risultati delle elezioni europee”.

È vero che poi il Parlamento Europeo deve approvare questa nomina, ma si tratta di un voto a posteriori, fatto su un nome su cui i deputati non hanno diritto di parola. Il meccanismo della proposta di candidati da parte delle principali famiglie politiche europee rimane una prassi informale.

Ma a rendere ancor più un teatrino ipocrita la presentazione dei candidati è il fatto che, tra di essi, solo la von der Leyen ha concrete possibilità di diventare presidente. Su questa seconda investitura la politica tedesca ha speso molte energie e risorse, dando vita a una vera e propria campagna elettorale personale.

Del resto, ci si aspetta che il Partito popolare europeo avrà la maggioranza relativa del prossimo parlamento europeo. In esso, però, assumeranno un peso significativo anche le forze conservatrici (European Conservatives and Reformists – ECR) e di estrema destra (Identity and Democracy – ID).

E poiché si vuole evitare una nuova “maggioranza Ursula”, appunto, con sostegno bipartisan, bisogna prepararsi allo spostamento dell’asse politico verso destra. Il terreno è già stato predisposto da Charles Michel, l’attuale presidente del Consiglio Europeo.

Il politico belga ha aperto le porte all’estrema destra, e quest’ultima ha subito risposto, mostrando di essere pronta a mostrarsi ‘responsabile’ nel perseguire le politiche già avviate. Tradotto, significa obbedire alla Nato sulla guerra in Ucraina e rispettare i vincoli di bilancio.

Scelte fatte dentro il quadro del salto di qualità imperialistico che la UE sta ancora tentando. Per farlo, Bruxelles necessita di sviluppare una più concreta politica industriale comune e il rilancio del mercato comune dei capitali, nonché lo sviluppo di una difesa europea.

Elementi ripetuti in varie sfumature da tutti i candidati durante il dibattito, mettendo in scena ogni tanto, nel tipico gioco delle parti, battibecchi che si sono poi risolti sempre ricomponendo i contrasti. Solo il candidato della Sinistra europea ha esposto alcuni elementi programmatici di alternativa, sulle condizioni dei lavoratori e sui conflitti in cui la UE è coinvolta.

Ma è forse più interessante concentrarsi sul minuto di domande che Annelies Beck, giornalista belga e una dei due moderatori del confronto, ha fatto alla von der Leyen. Sono state sulla Meloni, sul rapporto con le destre, e sul massacro di Gaza.

La presidente uscente ha ribadito che la sua linea politica si discosta nettamente da quella della prima ministra italiana, soprattutto rispetto ai diritti civili e delle donne. Ma anche fatto presente che con la Meloni ha lavorato bene, e che è una leader ‘pro-UE’ e ‘anti-Putin’.

La von der Leyen si è perciò rivolta ai parlamentari di ECR e ai conservatori, di cui Fd’I è parte. Con quelli con cui si potrà collaborare sui temi già accennati da Michel, ha detto che “le porte sono aperte“, sperando di poter contare su tanti franchi tiratori, se non si trovasse un accordo politico sulla sua rielezione.

Il suo è stato dunque un discorso che si potrà espandere tranquillamente anche a Identità e Democrazia (ID, di cui fa parte la Lega oltre che la Le Pen). Soprattutto ora che quest’ultima aggregazione ha cacciato il partito neofascista tedesco, AfD.

Sul genocidio dei palestinesi, von der Leyen ha ribadito che la responsabilità ricade unicamente su Hamas, e che tutto è cominciato il 7 ottobre. Ignorata anche la recente richiesta del procuratore capo della Corte Penale Internazionale di incriminare Netanyahu e Gallant.

Si preannuncia, insomma, se questa è davvero l’unica candidata davvero papabile, un altro ciclo quinquennale di riarmo, sanzioni, depauperamento della democrazia e peggioramento delle condizioni di vita.

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1 Commento


  • Paolo

    leggevo dei radar che gli stati uniti stanno piazzando in Polonia. presto arriverà la guerra anche qui in Europa e fioccheranno le bombe e mi chiedo cosa rimarrà di questa Europa delle con der leyen, dei Michel, dei Macron, meloni…solo cenere. meglio solo le nostre ceneri radioattive. la nostra fine sarà necessariamente quella prevista dalle élites o ci sono possibilità di sopravvivenza per noi?

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