Una rete con qualche centinaio di affiliati che si muovono nel sottosuolo della politica italiana. Quella che si può definire come «la base» di Avanguardia Ordinovista – il gruppo neofascista sgominato lunedì dalla procura di L’Aquila – è l’eredità della cosiddetta “nobiltà nera”, i gerarchi del Ventennio che, con la caduta del fascismo, hanno perso privilegi e rendite di posizione. E’ un neofascismo diverso da quello ‘stradaiolo’ di Casapound, più legato alle correnti “spontaneiste” degli anni ’70 e alle teorie sociologiche degli anni ’80; i redivivi ordinovisti si rifanno proprio alle trame eversive che da settant’anni, periodicamente, riemergono tra traffico d’armi, attentati e rapporti ambigui con alcune frange dei servizi segreti, con il sogno nel cassetto di fare un bel golpe per ripristinare l’ordine e la disciplina dei tempi dei Figli della Lupa. A scorrere le biografie degli arrestati, sembra di trovarsi davanti al casting di «Vogliamo i colonnelli», ma il terrorismo in fondo è una pratica piuttosto semplice: bastano tre esaltati e qualcuno che li incita. Ad esempio il 93enne Rutilio Sermonti, poco più di una “mascotte” per il neofascismo del terzo millennio, che rientra a pieno titolo in quell’affresco un po’ folle e un po’ triste che emerge dalle carte dell’inchiesta «Aquila Nera».
Uno degli snodi focali di Avanguardia Ordinovista è affini è la provincia di Ascoli Piceno, un seme che germoglia sulla tranquilla (e tradizionalmente schierata a sinistra) vallata del fiume Tronto. C’è un locale a Colli del Tronto piuttosto noto, luogo di ritrovo per oscure adunate le cui convocazioni girano sottotraccia sui blog e sui forum di ultradestra: non viene mai dato un indirizzo preciso per queste riunioni, soltanto un appuntamento, di solito al casello dell’autostrada, poi si va tutti insieme. Metodi da rave party, per chi se li ricorda, il modo migliore per evitare presenze e sorprese sgradite. A volte, il locale in questione si presta ad ospitare le serate «private» dei camerati: concerti Oi! per i più giovani ed esagitati, ma anche incontri a tema e – davvero – compleanni affollati di nostalgici. Il resto del tempo è una pizzeria come mille altre, con il karaoke e gli spettacoli danzerecci da localaccio di provincia. Chi c’è stato – cercando di non farsi notare troppo – racconta scenari da «American History X» tra svastiche, croci celtiche e saluti romani al suono di «Oi! Oi! Oi!».
Questa è casa Sermonti, ma la vera punta di diamante del movimento è un personaggio morto lo scorso gennaio, e in molti, da queste parti, ricordano il suo funerale come uno dei più grandi raduni di nostalgici degli ultimi tempi, tra bandiere della X Mas, saluti romani e fasci littori. Si chiamava Celsio Ascenzi, classe 1940, ex ufficiale delle forze armate, della Marina e dell’Aeronautica, si congedò «sdegnato» con il grado di tenente colonnello. Fondatore e «mecenate» della Fondazione Hispano Latina (altro laboratorio di neofascismo), fu studioso di Evola e di tutta la corrente dell’idealismo magico. I camerati lo ricordano come «utopista del concreto, semplicemente, autenticamente, limpidamente, irremovibilmente fascista». Il braccio e la mente: un ex militare e un fascistone di lungo corso, amati e rispettati da quelli che vedono le stragi come una promessa, Mussolini come una poesia e il Ventennio come il paradiso terrestre. Politicamente, il peso di personaggi è dato dalle preferenze raccolte nel tempo ora da Forza Nuova ora dalla Fiamma Tricolore: nessun successo clamoroso, ma vertici sempre disposti a trattare con il centrodestra più moderato, che spesso ha fatto loro da scudo.
Come dimenticare, d’altra parte, quella volta che, sempre ad Ascoli, il sindaco e l’amministrazione (guidata dall’allora Pdl) intraprese una dura lotta, poi fortunatamente persa, con l’Anpi e i collettivi di sinistra per appendere un dipinto di Mussolini a cavallo in una scuola superiore? Certe emozioni, si sa, non muoiono mai nel cuore dei Figli della Lupa. E ancora Ascoli, in fondo, è la patria della vecchia gloria nera Gianni Nardi e del bandito, che vantava relazioni con i Nar, Valerio Viccei. Avanguardia Ordinovista vedeva queste figure come simboli di un’epoca eroica da rinvigorire, sognando il potere perduto settant’anni fa.
Una pagliacciata? Per larga parte sì, ma le armi sono sempre state vere e le intenzioni nient’affatto pacifiche: il senso dell’inchiesta «Aquila Nera» è proprio questo, tra le telefonate intercettate e il loro tono assai naif, in mezzo ai deliri sui social network e alla propaganda xenofoba e antisemita, c’era il pericolo di chi puntava a creare terrore vero. C’era chi voleva colpire i politici («Se ne ammazzi dieci-undici in un giorno, la cosa farà scalpore», si dicevano tra loro, con molta ingenuità, al telefono, senza sapere che qualcuno li stava ascoltando) e chi voleva invece punire gli italiani che continuano a votarli. Quindi, per esempio, gli attentati alle sedi di Equitalia andavano fatti nelle ore in cui c’è più gente. Fascismo da operetta, come si diceva una volta, ma con l’obiettivo di armarsi fino ai denti. E di colpire alla cieca.
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