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Gaza: una guerra senza sbocchi per Israele ed i suoi alleati

Il consigliere per la sicurezza nazionale di Israele, Tzaji Hanegbi, mercoledì ha gettato acqua fredda su coloro che vedevano la luce alla fine del tunnel della guerra a Gaza, nell’ultima battuta d’arresto politica e giudiziaria del governo di Benjamin Netanyahu.

Hanegbi, uno degli uomini più fidati del primo ministro, ha sottolineato che la guerra a Gaza continuerà almeno per tutto il 2024; che l’offensiva a Rafah non è “solo per il gusto di farlo, quindi continuerà fino a quando non saranno raggiunti i suoi obiettivi; e che l’esercito controlla già il cosiddetto corridoio Philadelphia, i 14 chilometri di confine tra la Striscia di Gaza e l’Egitto.

Per il momento, i carri armati avanzano verso la città meridionale di Rafah, e la Casa Bianca ha chiarito che non vede alcun motivo per cambiare la sua politica nei confronti dell’alleato israeliano, perché l’offensiva (che ha causato la fuga di un milione di persone) non corrisponde all’operazione su larga scala a cui si opporrebbe, e perché l’esercito israeliano indagherà sul massacro di domenica scorsa in un campo per sfollati della zona.

La guerra sarà lunga […]. Anche quest’anno si prevedono altri sette mesi di combattimenti per approfondire le conquiste e raggiungere quello che noi definiamo lo sterminio del governo e delle capacità militari di Hamas e della Jihad islamica”. Meno di così non ci sarà, ha sottolineato Hanegbi, prima di esortare a respirare profondamente e a saper stare fermi”. È ciò che ha fatto sopravvivere questo popolo per 75 anni [riferendosi alla fine della prima guerra dopo la creazione dello Stato di Israele] e prima di questi 3.000 anni, ha aggiunto in un’intervista alla radio pubblica.

Ma le cose non stanno andando per il verso giusto per l’esercito Israeliano che ha avuto – sono le cifre ufficiali – ben 642 perdite. É ciò che rivela anche una mappatura della situazione sul campo elaborata dal quotidiano spagnolo El País.

Sebbene a Gennaio Israele avesse affermato di aver disarticolato Hamas nel Nord della Striscia: “nelle ultime settimane le truppe israeliane sono state impegnate in alcuni dei combattimenti più intensi della guerra di fronte alle imboscate nelle aree in cui i miliziani si sono raggruppati” in particolare a Jabalia e a Sabra.

L’intelligence israeliana pensa che vi sia in corso una riorganizzazione della Resistenza palestinese nella zona Nord. Gli attacchi hanno costretto l’IDF a ripiegare. Il 13 maggio è stato il giorno con maggiori maggiori attacchi, 30 in tutto, proprio a Jabalia.

El País mostra alcuni video di Hamas che circolano sulle reti sociali in cui vengono compiute tali azioni, commentandone uno relativo all’assalto a dei blindati affermando che “imita l’estetica dei video-giochi bellici”.

La guerriglia urbana della Resistenza sta “disarticolando” il posizionamento del nemico e “obbliga Israele a ridistribuire le sue truppe che teneva nel sud, dispiegate nell’intervento militare di Rafah, città di cui ha ordinato l’evacuazione il 6 di maggio”.

l’IDF, nella sua avanzata verso Ovest sta usando la strategia della terra bruciata con bombardamenti e demolizioni. Questo nonostante proprio a Rafah l’esercito avesse dato indicazione di spostarsi dal Nord della Striscia.

Anche altre testate testimoniano delle difficoltà israeliane.

Secondo quanto riferisce nella mattinata di giovedì Le Monde, nel Nord della Striscia un militare israeliano sarebbe morto ed un altro gravemente ferito, appartenti entrambi al 101° Battaglione di paracadutisti.

Altri due sarebbero stati gravemente feriti da Hamas in un’altra azione e altri due sono stati uccisi in Cisgiordania.

La situazione che si è venuta a creare ha moltiplicato le critiche a Israele, anche perché è difficile comprendere esattamente gli obiettivi sionisti tenendo conto che gli ostaggi sono stati posti in secondo piano e le perdite che sta subendo sia nella Striscia che in Cisgiordania.

Sembra che l’unico obiettivo sia “salvare” l’attuale esecutivo, e perfino gli USA criticano l’attuale leader israeliano per non avere una strategia per il “dopo-guerra”.

Riferendosi all’ isolamento di Israele, Hanegbi, ha affermato che esiste, gruppo di Stati che rimangono impegnati affinché Israele raggiunga gli obiettivi della guerrae lo aiutano ad affrontare coloro che lo odiano” ed ha elencato, tra gli altri, gli Stati Uniti, la Germania, il Regno Unito, la Francia e l’Italia.

Il consigliere per la sicurezza nazionale ha anche accusato che il riconoscimento dello Stato palestinese ha contribuito al siluramento dei negoziati per un secondo scambio di ostaggi per prigionieri, con un cessate il fuoco della durata di diverse settimane, che Israele e Hamas stanno tenendo da mesi attraverso i mediatori.

In realtà si è ormai a un muro contro muro: Hamas – con un piano molto dettagliato – chiede la fine della guerra in cambio della consegna di tutti gli ostaggi (attualmente 124, dopo il recupero di diversi corpi nei giorni scorsi) e il governo Netanyahu non è disposto a farlo.

La tesi di Hanegbi è che il movimento palestinese mantiene la sua posizione perché “vede le lotte che stanno conducendocontro Israele, sia nelle sedi giudiziarie(le mosse dei due tribunali internazionali con sede all’Aia della scorsa settimana), sia nel riconoscimento dello Stato palestinese o nelle manifestazioni nei campus universitari di diversi Paesi, soprattutto negli Stati Uniti. Sentono che Israele è sotto pressione. E [pensano]: ‘Perché cedere ora, se tra un mese dovranno avvicinarsi alla nostra posizione?”.

In fondo si stratta di un’ammissione di rapporti di forza non favorevoli: perché l’azione giudiziaria dell’ONU va avanti nonostante la guerra sporca ordita da Israele; sono sempre più gli Stati che riconoscono la Palestina e, non ultimo, le università si sono trasformate in diverso modo in teatri di lotta contro il genocidio in tutto il blocco occidentale, in particolare in quegli Stati che si sono fedeli alleati di Israele, in primis gli USA.

Washington rimane la più “impegnata, per usare l’espressione dell’alto funzionario israeliano. Il portavoce per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, John Kirby, ha chiarito che l’ultimo movimento di truppe israeliane (l’ingresso dei blindati nella città di Rafah martedì) non implica che l’esercito sia ora impegnato nell’operazione su larga scala a cui si è opposto.

In altre parole, non vede alcuna ragione per cambiare il suo sostegno, che si concretizza principalmente nella fornitura di armi e nel veto, in seno al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, delle proposte di risoluzione per un cessate il fuoco permanente.

Non li abbiamo visti entrare con grandi unità, un gran numero di truppe in colonne e formazioni in una sorta di manovra coordinata contro molteplici obiettivi sul terreno. Non abbiamo visto una grande operazione di terra e questi carri armati si stanno muovendo lungo un corridoio [Philadelphia] che in precedenza ci era stato detto che avrebbero usato alla periferia della città per cercare di fare pressione su Hamas. Non so come si possa contestare che Israele stia cercando di colpire Hamas in modo limitato e preciso“, ha aggiunto.

Nemmeno con la morte di almeno 45 persone in un incendio in un campo sfollati a Rafah, causata dal lancio di due missili dall’aria. Non ho cambiamenti di politica da riferire. È successo e basta. Gli israeliani stanno indagando, siamo molto interessati a quello che scopriranno, vedremo dove ci porterà“, ha detto.

Intanto una “scoperta” l’ha fatta proprio il New York Times, secondo cui le bombe utilizzate da Israele per colpire il campo di rifugiati vicino a Rafah “sono state fabbricate dagli Stati Uniti”. Gli ordigni usati – da risulterebbe dai filmati – sarebbero delle GBU-39.

Il quotidiano statunitense ricorda che “i responsabili americani hanno spinto Israele a utilizzare prevalentemente questo tipo di bomba, che, secondo loro, potrebbe ridurre il numero di vittime civili”.

Ennesima prova delle responsabilità statunitensi nel genocidio in corso.

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2 Commenti


  • Giovanni

    Anche per gli usa (… e getta) arrivera’ la resa dei conti : una violenta implosione del loro marcio sistema che li condurra’ ad un devastante scontro fratricida. Sempre che la loro demenza bellicista non li porti a scontrarsi con la Russia, in tal caso: GAME OVER!


  • Mara

    l’ipocrisia dell’amministrazione Usa che fa finta
    di non vedere il genocidio in atto a Gaza da parte di Israele, è ributtante e fa vomitare..

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