Si è concluso il 27 maggio, a Seoul, un incontro che si attendeva da tempo, ovvero quello tra Cina, Giappone e Corea del Sud. Oltre ad alcuni incontri a due a margine del vertice, si è svolto un importante trilaterale tra i capi di governo dei tre paesi: Li Qiang, Fumio Kishida e Yoon Suk-yeol.
Il dialogo tra queste tre potenze dell’estremo Oriente si era fermato all’inizio del 2020, con l’arrivo del COVID-19. E di sicuro le ultime tensioni sollevatesi intorno al punto di frizione principale dell’Indo-Pacifico, ovvero l’indipendenza di Taiwan, sembravano poter porre già un’ipoteca pesante sull’andamento dell’evento.
Infatti, Corea e Giappone sono due degli alleati principali degli USA nel settore, anche se negli ultimi anni non sono mancate crepe nelle relazioni. Proprio la seconda metà dello scorso decennio aveva segnato uno dei periodi più burrascosi dai tempi della normalizzazione del 1965, ma nell’ultimo paio di anni era tornata una certa distensione.
La spinta alla divisione in blocchi e il ritorno alla logica della Guerra Fredda da parte di Washington ha sicuramente riavvicinato Tokyo e Seoul. Oltre ai timori sulla Corea del Nord, che proprio in questi giorni aveva notificato il lancio di un satellite, in contemporanea al vertice.
Ma in realtà, le vicende riguardanti Taipei e Pyongyang, affrontate nei faccia a faccia, sono state lasciate fuori dal trilaterale. Nel comunicato congiunto dei tre paesi, è comparsa però la formula della “denuclearizzazione della Penisola Coreana“, che può riguardare tanto la Corea del Nord (che ha fatto le sue rimostranze), quanto i futuri piani statunitensi in quella del Sud.
Il dialogo si è concentrato invece sugli scambi accademici e turistici, sulla cooperazione sul clima e sulla pianificazione pandemica. Il primo ministro cinese ha parlato di un “riavvio” e “un nuovo inizio” nelle relazioni, ribadendo che le questioni politiche dovrebbero essere separate da quelle economiche (criticando in maniera poco velata protezionismo, sanzioni e de-risking).
Uno dei temi che era più a cuore per il Dragone era ridare slancio ai colloqui sull’accordo di libero scambio, fermi dal 2020, e dunque rinsaldare la supply chain, in particolare per il settore dei semiconduttori. È notizia di questi giorni che Pechino ha fatto un altro grande passo nel confronto sui chip con Washington.
La Cina ha istituito il suo terzo – e per ora più sostanzioso – fondo di investimento per sviluppare l’industria dei semiconduttori. Si tratta di 47,5 miliardi di dollari, in cui il maggior azionista è il ministero delle Finanze: uno sforzo di pianificazione economica, che può fare gola anche alle compagnie appena al di là del confine.
I tre leader hanno incontrato anche vari dirigenti aziendali, concordando che lavoreranno a stabilizzare le catene di approvvigionamento. Domenica, il primo ministro cinese aveva incontrato il presidente della Samsung, colosso sudcoreano dei chip, invitandolo ad aumentare gli investimenti nel Dragone.
L’attivismo diplomatico cinese delle ultime settimane continua senza sosta, usando in maniera cauta e coordinata accordi economici vantaggiosi per tutti e la propria forza mediatrice sui dossier politico-militari di maggior frizione. Per ora, i passi fatti sono un win-win per tutti, ma funzionano in un gioco incrociato sempre più teso.
Paradossalmente, Giappone e Corea del Sud hanno stabilizzato i propri rapporti e hanno deciso di riaprire il dialogo con la Cina proprio perché gli USA sono riusciti a incassare un importante accordo a tre lo scorso agosto, a Camp David. Le rassicurazioni statunitensi e l’approfondimento della cooperazione militare e di intelligence fanno sentire Tokyo e Seoul più sicuri.
Insomma, l’Indo-Pacifico rimane stretto in un rapporto di competizione, con Cina e Stati Uniti come principali attori, in un tira e molla in cui la prima cerca di rafforzare le interdipendenze, innanzitutto a livello economico, e i secondi alzano l’asticella dello scontro sul piano militare.
È di certo a quelle latitudini che, piano piano, bisogna spostare lo sguardo, se si vuole parlare di come raggiungere una pace stabile.
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