Per essere poeti di pace bisogna innanzitutto cercare di capire come, da cosa, o più semplicemente il perché il seme della guerra continua la sua riproduzione anche in un’epoca così avanzata come quella odierna. Certamente la nostra trattazione non ha come obiettivo il rendere esaustiva la suddetta questione, ma vuole porsi piuttosto come base di riflessione di partenza per l’affermazione di un pensiero critico, in un tempo in cui le menzogne e la comunicazione deviante hanno ormai saturato media ed opinioni.
Per questo parlare oggi di imperialismo ci permette di comprendere, l’attuale fase storico-economica e, non solo, le dinamiche che hanno interessato lo sviluppo diseguale delle diverse zone del pianeta, che, come Scuola Marxista, Decoloniale per le Transizioni individuiamo nelle categorie dei cosiddetti Nord e del Sud globale, ma vuole anche soffermarsi e dare rilievo sul carattere storico e nelle rappresentazioni materiali che questa fase assume.
Credere che il concetto di imperialismo sia ormai superato dalla fine della guerra fredda e dall’emergere del pensiero mainstream, ci porta a scartare un’analisi e uno studio con importanti punti di riflessione che oggigiorno andrebbero tuttavia riportati all’interno del dibattito socio-politico-economico per una maggiore confluenza della dialettica sulla questione. Infatti, l’imperialismo, non è altro che una riconosciuta categoria economica, e il primo pensatore, analista e studioso che ne ha colto l’essenza e la sua rappresentazione è senz’altro Ilici Lenin, con il suo testo Imperialismo, fase suprema del capitalismo.
Il padre della Rivoluzione Russa aveva già previsto come questa fase sarebbe stata totalmente caratterizzata dalla preminenza del carattere finanziario e della finanziarizzazione dell’economia che avrebbe portato ad una nuova configurazione del mondo e delle relazioni socio-economiche.
Se prendiamo invece i punti chiavi assunti dal terzomondista Samir Amin per definire i cosiddetti paesi imperialisti, vediamo una maggiore caratterizzazione della rappresentazione del potere e controllo assoluto su vari settori chiave quali: flussi finanziari, tecnologie avanzate, risorse naturali strategiche, mass media e i mezzi di distruzione di massa.
Per tale ragione oggi vogliamo soffermarci sull’analisi del tema del controllo e dominio sulle risorse naturali strategiche, soffermandoci successivamente sul caso studio del controllo idrico in Palestina. Siamo, infatti, convenzionalmente abituati a considerare la lotta per l’accaparramento delle risorse naturali in riferimento al petrolio, o agli idrocarburi ma oggigiorno il dominio imperialista sulle risorse naturali strategiche e sulle materie critiche (Critical Raw Materials, CRM) è un tema di grande rilevanza geopolitica ed economica.
Il controllo idrico in Palestina
Il controllo delle risorse naturali strategiche non è sempre definibile entro le semplici dinamiche di dominante e dominato ed un esempio significativo di questa complessità è il caso del controllo idrico in Palestina. In questo contesto di riscrittura storica, specialmente in riferimento all’attuale ed ennesimo conflitto israelo-palestinese, affrontare questioni come il controllo e il dominio delle risorse strategiche, come quelle idriche, ci permette di comprendere come non tutte le insicurezze relative alle risorse possano essere definite semplicemente attraverso una matrice dominante-dominato.
È quindi fondamentale approfondire le modalità di riproduzione del nazionalismo religioso, il sionismo, che vede la terra promessa come un elemento centrale della salvezza e della redenzione del popolo ebraico. Questa prospettiva guida le politiche israeliane verso una trasformazione radicale e una ricerca incessante di sicurezza e perfezione, tanto per la terra quanto per i suoi abitanti. La comprensione di queste dinamiche è essenziale per comprendere le tensioni e i conflitti nella regione.
Il controllo delle risorse strategiche, in particolare dell’acqua, gioca un ruolo cruciale nel conflitto israelo-palestinese. La gestione delle risorse idriche è una questione vitale in una regione caratterizzata da scarsità d’acqua. Israele ha sviluppato tecnologie avanzate per la desalinizzazione e l’irrigazione, rendendosi relativamente autosufficiente.
Tuttavia, il controllo delle fonti idriche, come le falde acquifere e il fiume Giordano, rimane una questione contesa, con implicazioni significative per la popolazione palestinese.
La disponibilità idrica nella regione è una questione complessa e spesso contesa, caratterizzata da una marcata disuguaglianza tra Israele e i territori palestinesi. Infatti, le principali risorse idriche della regione sono rappresentate dalle falde dell’acquifero montano (in corrispondenza della Cisgiordania), dalla falda costiera, e dal fiume Giordano. In corrispondenza dell’acquifero montano, le tecnologie avanzate israeliane permettono una maggiore capacità di estrazione della risorsa che viene distribuita in maniera diseguale.
Da questo prospetto risulta che il 90% delle risorse idriche disponibili è utilizzato da Israele, lasciando solo il 10% per i palestinesi, dati che assumono una natura ancor più inquietante se si mettono in relazione il peso demografico dei due paesi: Cisgiordania e Gaza contano quasi 5 milioni di abitanti, mentre Israele ha circa 8,6 milioni di abitanti.
Le politiche israeliane relative alla gestione dell’acqua sono influenzate da ideologie nazionaliste che promuovono la colonizzazione e l’espansione degli insediamenti nei territori occupati, creando, tensioni e contraddizioni con il diritto internazionale e le aspirazioni palestinesi per l’autodeterminazione.
Nel nazionalismo sionista il controllo della risorsa idrica è essenziale anche per via della visione messianica della costruzione e attuazione della Terra Promessa.
Importanti infrastrutture sono nate proprio in ottemperanza del mandato di creazione della Terra Promessa del popolo israeliano, tra queste anche il National Water Carrier che trasporta l’acqua dal lago Tiberiade fino al deserto del Negev, al fine di rendere fertile questa terra. La gestione delle risorse idriche è influenzata da un intreccio di fattori storici, politici e legali.
Gli Accordi di Oslo, firmati negli anni ’90, hanno creato un quadro per la cooperazione, ma hanno anche cementato un controllo asimmetrico delle risorse. Israele, con una maggiore capacità tecnica e infrastrutturale, è riuscito a sfruttare queste risorse in modo più efficiente. Infatti, seppur si è riconosciuto il diritto all’acqua ai palestinesi attraverso concessioni e trasferimenti, questi ultimi vengono gestiti dal Mekorot, dietro vendita a prezzo pieno.
Altra struttura della governance della risorsa idrica è la Joint Water Comitee nata a Taba con accordi di Oslo II, volto a gestire su rappresentanza paritaria palestinese e israeliana la cooperazione in materia idrica, in riferimento alle tre fonti condivise in Cisgiordania. Questo approccio, però, non tiene conto dei rapporti di forza dei due attori coinvolti, in quanto Israele usa il suo potere di veto per impedire la costruzione di infrastrutture idriche palestinesi, implementando a loro volta i progetti idrici israeliani nei territori occupati, certi di una accettazione palestinese che non ha potere di contrattazione, in quanto, per non vedere eventuali loro progetti inapplicati in futuro per possibile veto israeliano, accettano progetti di quest’ultimi, legittimando legalmente la loro presenza in Cisgiordania. (Marconi M. (2022), Immagine del potere: organizzazione e controllo dell’acqua nel conflitto israelo-palestinese, in Potere blu. Geopolitica dell’acqua nel Vicino e Medio Oriente, Bordeaux, Roma, pp. 15-94).
Pertanto, il controllo assoluto delle risorse idriche è strumentale alla realizzazione di una sovranità totale sulla regione. In definitiva, la gestione delle risorse naturali strategiche e la questione della sicurezza in Palestina vanno oltre le semplici dinamiche di potere e controllo. Sono radicate in una visione messianica del nazionalismo sionista, che vede la terra promessa come un elemento centrale della salvezza e della redenzione del popolo ebraico.
Questa prospettiva guida le politiche israeliane verso una trasformazione radicale e una ricerca incessante di sicurezza e controllo, tanto per la terra quanto per i suoi abitanti. (Marconi M. (2022), Immagine del potere: organizzazione e controllo dell’acqua nel conflitto israelo-palestinese, in Potere blu. Geopolitica dell’acqua nel Vicino e Medio Oriente, Bordeaux, Roma, pp. 15-94).
*Scuola marxista decoloniale per la Tricontenantal Pluripolare
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