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Francia. Quali scenari si aprono con le elezioni di domenica?

Domenica sette luglio si terrà il secondo turno delle elezioni politiche anticipate, dopo che il primo turno ha visto trionfare l’alleanza di estrema-destra imperniata sul Rassemblement National.

I candidati che si erano qualificati al secondo turno, hanno avuto fino a martedì sera alle 18 per scegliere se presentarsi o meno al ballottaggio, mentre 76 deputati sono già stati eletti al primo turno.

Le indicazioni del Nuovo Fronte Popolare sui ballottaggi sono state chiare sin dal primo momento – applicate con una certa disciplina dai propri candidati – e sono quelle di ritirarsi nel caso in cui si trovassero in terza posizione e fosse in testa un candidato dell’estrema-destra. Nel campo presidenziale invece le indicazioni sono state differenti a seconda delle tre formazioni che compongono la coalizione Ensemble (Rennaissance, Horizons e MoDem), e applicate generalmente con meno coerenza.

Gli eredi dei gollisti di LR hanno scelto di non dare indicazione di voto ai propri elettori che non sia per i propri candidati al ballottaggio, con una strategia del “ni ni” che rinnega l’impostazione data da Chirac ai conservatori sin dagli Anni Duemila.

Dal canto suo RN ha deciso di non desistere, tranne in una circostanza.

Insomma da un lato vi è un “fronte repubblicano” azzoppato e dall’altro un “blocco nazionale” piuttosto compatto.

Alla fine saranno 406 i duelli, mentre si avrà una competizione a tre in 89 dei casi e solo due sfide a 4, nei restanti seggi da attribuire rispetto ai 76 già assegnati su 577 tra Francia, Corsica, territori d’oltre mare (Dom-Tom) e francesi residenti all’estero.

Come abbiamo più volte ricordato, l’alto tasso di partecipazione al voto di domenica 30 giugno (67,5% degli aventi diritto), e la concentrazione delle preferenze in misura significativa verso i tre maggiori poli (oltre l’80%) avevano determinato un numero insolitamente elevato di sfide a tre, o a quattro.

I triangolari si sono abbassati da 306 a 86, con 220 desistenze, mentre i 5 quadrangolari si sono ridotti a due.

Le defezioni rispetto alla strategia del fronte repubblicano sono state 16 per ciò che riguarda i candidati di Ensemble che non hanno rinunciato a concorrere nonostante ci fosse un candidato un candidato del RN in testa seguito da uno del del NFP.

E questo è avvenuto anche in tre casi in cui il candidato in questione non fosse de La France insoumise (LFI), non potendo nemmeno utilizzare la già labile motivazione degli “opposti estremismi”.

Rispetto al numero di candidati di Ensemble giunti al ballottaggio in terza posizione, 16 è una cifra elevata, anche considerando il fatto che potrebbero cambiare le sorti delle elezioni.

In questo caso dire che il campo presidenziale abbia scelto il fronte repubblicano ci sembra una forzatura.

La France Insoumise ha deciso di non desistere solo in un caso, nell’Hérault dove si affrontano un candidato di RN ed un gollista storicamente vicino ai lepenisti, Emmanuelle Ménard. Solo un candidato gollista, Regís Sarazin, ha rinunciato nella 6° circoscrizione di Seine-et-Marne in uno scontro che vedrà contrapporsi RN a LFI, ma è appunto l’eccezione.

Senza indagare ulteriormente casi particolari, queste sono le tendenze che si sono registrate.

É alquanto improbabile, ma non statisticamente impossibile, che l’alleanza di estrema-destra conquisti la maggioranza assoluta, ottenendo i 289 eletti, cioè uscendo vincitrice in almeno 250 sfide a due, a tre o a quattro.

É possibile invece che la possa sfiorare e si avvalga di una manciata di candidati per governare come già dichiarato – dando numeri diversi per le possibili “cooptazioni” – da Bardella e Le Pen.

Per ora RN sembrerebbe scartare una ipotesi di governo con LR (e viceversa) in un contesto simile a quello già avvenuto in altri paesi della UE a più livelli in cui il “cordone sanitario” è saltato da tempo (Spagna, Austria, Olanda, Paesi scandinavi, mentre non c’è mai stato in Italia).

Quello dell’unione delle destre è l’ipotesi propugnata dall’ex transfuga di RN Marion Maréchal che in Europa siede al fianco nello stesso gruppo di Fratelli d’Italia e che l’ha espressamente invocato in una intervista al Corriere della Sera, dichiarando “Punto a una coalizione sul modello italiano”.

Per chi ha studiato il dibattito all’interno dell’estrema-destra francese è facile scorgere come questa ipotesi facesse parte della strategia politica dell’ex “numero 2” del Front Nationale Bruno Mégret, al quale nei tempi passati si oppose strenuamente Le Pen padre, e che portò alla scissione del 1999 con la creazione del Mouvement National Républicain (MNR). Una strategia poi fatta propria da Le Pen figlia.

Per uscire dai margini della vita politica a cui era relegato il FN – fondato a metà Anni Settanta da nostalgici del colonialismo francese e dal regime collaborazionista di Vichy – Mégret proponeva un dialogo serrato con i conservatori gollisti, il radicamento territoriale e la professionalizzazione politica, senza puntare tutto sul fatto di essere una formazione per un “voto d’opinione” anti-establishment alle presidenziali.

Se ai tempi, all’interno dell’estrema-destra questa impostazione venne sconfitta, le intuizioni di “normalizzazione” propugnate a quel tempo sono ora di stringente attualità e rese possibili per due ordini di fattori: l’estrema destra ha imposto le sue tematiche tradizionali a tutto il quadro della rappresentanza politica ed una parte dei conservatori le ha fatte proprie, in un contesto di rapporti di forza invertiti tra RN e gollisti.

Si tratta di una tattica più fine ma che per realizzarsi ha bisogno anche dei militanti neo-fascisti che ha in grembo e che non ha tagliato i ponti con le tematiche della “Nuova Destra” che la ispirano, al di là dell’opera di stentato maquillage ideologico che cerca di compiere.

Tenendo conto che alcune leggi varate dai governi che si sono succeduti durante il secondo mandato presidenziale di Macron sono state sostenute da R – – con LR a fare da specie di “ruota di scorta” al presidente dei ricchi – non è peregrino pensare che a parti inverse possa succedere lo stesso in caso di un esecutivo formato da RN e LR..

Specie se mancasse una manciata di voti per raggiungere i 289 necessari per un governo RN e soci, insieme ai gollisti.

Certo sarebbe una scelta drammatica, ma c’è già stata la frattura di Ciotti e soprattutto, al presidente dei gollisti è stato possibile “tradire” perché all’interno di LR c’era già l’humus per farlo, essendo la formazione già piena di “bastardi” come ha ben ribadito l’occhio attento della rivista Regards.

Scartati questi scenari, ci potrebbe essere una impossibilità/incapacità di formare un governo conservatore a trazione lepenista sostenuto da un numero accettabile di deputati, il che rimetterebbe la palla allo “schieramento repubblicano” con evidente rischio di paralisi perché Macron ha detto che non governerebbe mai con LFI.

L’unica alternativa sarebbe un governo sostenuto da Ensemble e dai componenti che ora integrano il NFP tranne la LFI, insieme ai gollisti: una specie di governo “centrista” di unità nazionale.

Questo scenario, stando alle proiezioni fatte da www.legrandcontinent.eu (che include anche altre formazioni residuali di destra) e riportate tra l’altro dal Il Corriere della Sera, non avrebbe i numeri per governare.

In generale si può dire che il fronte repubblicano può sbarrare la strada all’estrema-destra per governare, ma è molto difficile che con innesti (LR) – ed allo stesso tempo – mutilazioni (LFI, PCF e altre formazioni di sinistra radicale) possa a sua volta governare.

É chiaro che per certi versi la strategia dell’estrema-destra è meno a corto raggio della “sinistra unita” perché guarda alle elezioni presidenziali del 2027, e comunque ne uscirebbe rafforzata da qualsiasi scenario, come il ripetersi delle elezioni.

Come abbiamo più volte scritto, i risultati della crisi politica francese dovranno fare i conti con la piazza in cui si muovono forze-politiche sociali differenti e che possono trasformare la situazione in qualcosa di più magmatico: dal protagonismo di un genuino sentimento anti-fascista che è rivenuto a galla già la sera del 9 giugno da parte di fette consistenti del “popolo della sinistra”, al revanscismo di un fascismo d’azione che ha sempre contraddistinto la storia francese del dopo-guerra – ma in realtà dagli Anni Trenta – fino ai giorni nostri.

Gli ingredienti per acuire la crisi politica francese ci sono tutti, qualunque sia l’esito elettorale e qualsiasi scenario l’accompagni.

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