Le elezioni politiche anticipate, annunciate da Emmanuel Macron appena chiuse le urne per le europee durante la serata del 9 luglio, hanno accelerato la crisi politica francese.
In tempi strettissimi è stata composta una coalizione progressista unitaria, il Nuovo Fronte Popolare – nato dalle ceneri della NUPES, mentre l’estrema destra si riconfigurava attorno al Rassemblement National (ex-FN) – uscito vincitore dalle europee.
Questo aveva cooptato la parte dei gollisti di LR facenti capo al presidente della formazione, Eric Ciotti, e l’ala di Reconquête che faceva riferimento alla nipote della Le Pen – Marion Maréchal – eletta nell’euro-parlamento ed entrata nello stesso gruppo di Fratelli d’Italia.
Il campo presidenziale, uscito con le ossa rotte dalle europee, ed i gollisti di LR che non avevano seguito il loro presidente, completavano di fatto l’offerta politica, dominata dalla polarizzazione tra NFP e RN.
Ensemble, che metteva insieme le tre anime del campo presidenziale (Renaissance, MoDem e Horizons), al secondo turno è stata avvantaggiata dalla scelta dalla rinuncia dei candidati del NFP approdati al ballottaggio in terza posizione là dove al primo turno RN aveva avuto più voti.
I LR, invece, non hanno dato indicazione di voto dove non vi erano propri candidati, rompendo ulteriormente il “fronte repubblicano” e seppellendo l’eredità politica di Chirac già mandata alle ortiche da Sarkozy.
Per non trovarsi con un governo di estrema-destra, i francesi, con una percentuale di votanti simile a quella del primo turno (oltre il 65%), si sono “tappati il naso” e hanno votato i rappresentanti del campo presidenziale lì dove sfidavano quelli di RN e alleati.
Se l’estrema-destra non è riuscita a raggiungere un numero di deputati eletti che gli avrebbe garantito la maggioranza assoluta – 289 – ed il “fronte repubblicano” ha tenuto, è stato soprattutto grazie alla scelta del NFP,, la coalizione con maggiore il numero di deputati.
Ora, l’Assemblea Nazionale scaturita dal voto è quadripartita, e sono stati formati ben 11 gruppi parlamentari, un record rispetto alle due precedenti legislative.
In totale l’estrema destra può contare su 148 deputati, ma su cui è scattata una conventio ad escudendum per ciò che concerne i ruoli di responsabilità all’interno dell’elezione delle cariche dell’Assemblea Nazionale, mentre il NFP può contare su 193 eletti ed ha recentemente trovato un accordo unitario su un nome condiviso da proporre come primo ministro, la piuttosto sconosciuta Lucie Castets.
Da prassi, il Presidente le dovrebbe affidare l’incarico di formare il governo, ma Macron si è detto per ora contrario a procedere con le nomine fino alla fine delle Olimpiadi e aveva già affermato, con sprezzo del ridicolo, che “nessuno aveva vinto”.
Il campo presidenziale conta 166 deputati sui 250 che esprimeva nella precedente legislatura, in cui ha dato vita a due governi di minoranza, con i gollisti che avevano dato di fatto sostegno esterno sulle questioni dirimenti quando non veniva by-passato il voto parlamentare grazie al famigerato articolo costituzionale 49.3.
LR che passa da 61 deputati a 47 – perdendo la possibilità di proporre una “mozione di sfiducia” nei confronti dell’esecutivo – ha cambiato il nome del gruppo parlamentare in Droite républicaine, e propende per un “patto legislativo” con il campo presidenziale.
Il quale, se non avesse i numeri per avere un governo di maggioranza (213 rispetto ai 289 necessari), permetterebbe tuttavia di governare fino al 2027 o almeno fino all’estate del prossimo anno, considerato che a livello costituzionale non si posso indire elezioni entro un anno.
Questo inciucio che comprende chi ha beneficiato dalla “desistenza” del NFP al secondo turno e di coloro che si sono posti fuori dal “fronte repubblicano”, ha già prodotto i suoi frutti e allo stesso tempo ha mostrato i suoi limiti.
Si è visto con la rielezione alla presidenza dell’Assemblea nazionale – alla terza votazione con 220 voti – della esponente di Renaissance Yaël Braun-Pivet, sbarrando la strada al candidato comunista del NFP, André Chassaigne.
Macron scimmiotta gattopardescamente le altre élite politiche continentali, che vogliono mantenere la propria rendita di posizione facendo finta di niente, impenetrabili a qualsiasi strategia di cambiamento in una spirale di logoramento della democrazia francese che vede disattese fino ad ora le istanze emerse dalle urne.
Ha solo molto tardivamente ammesso la sconfitta del campo presidenziale alle elezioni politiche nella sua ultima locuzione pubblica.
Certamente non è andato tutto liscio, considerato che la logica di scambio con la quale LR ha appoggiato la Braun-Pivet non ha avuto la contropartita desiderata rispetto all’elezione di ruoli importanti nell’Assemblea Nazionale.
Allo stesso tempo i macronisti mantengono la presidenza di 6 delle 8 commissioni permanenti, una in meno della precedente legislatura, con la strategica commissione del bilancio (promessa ai gollisti) che rimane in mano a La France insoumise (LFI) con Eric Coquerel.
Anche il ruolo di relatore generale del bilancio, con la sconfitta del macronista uscente Jean-René Cazeneuve, è stato assunto da Charles de Courson, che si era contraddistinto per l’opposizione frontale all’allungamento dell’età pensionabile.
Un bel doppio smacco per gli inciuci orditi da Macron e Wasquiez.
Per quanto Macron possa fare finta di niente e proteggersi con il dettato costituzionale, che non lo obbliga a scegliere un governo né a dovere accettare la proposta della coalizione che ha ricevuto più voti, è chiaro che un mancato mandato alla candidata a primo ministro espressa dal NFP acuirebbe ulteriormente la crisi politica.
È facilmente immaginabile quanti problemi possa creare una tale “coabitazione” forzata, e anche come ciò riaccenderebbe la piazza, tenendo conto dell’inedito protagonismo politico dell’Intersidacale, in particolare della CGT della neo-segretaria Sophie Binet.
Ci sono ancora molti punti interrogativi sul profilo dell’alto funzionario di 37 anni proposta dal NFP come Primo Ministro, sconosciuta al grande pubblico, che non ha mai ricoperto una carica elettiva e il cui coinvolgimento con le associazioni avviene al di fuori dei riflettori della politica, ma con una posizione netta e riconosciuta in difesa dei servizi pubblici.
Così, la sera stessa dell’annuncio del NFP, un piccolo “commando” politico è stato schierato intorno al direttore degli Affari finanziari del Comune di Parigi. Comunicatori e consiglieri politici sono stati inviati dai quattro partiti del NFP per far fronte alle già numerose richieste dei media – circa un centinaio da martedì.
Non c’è voluto molto perché la mattina dopo fosse invitata come ospite principale del programma mattutino di France Inter, il più ascoltato in Francia, per la sua prima convincente apparizione pubblica.
Ha cercato di essere all’altezza del suo nuovo status chiedendo al Capo dello Stato di “assumersi le sue responsabilità” nominandola senza indugio, anche se Emmanuel Macron ha annunciato di non avere intenzione di nominare un nuovo governo prima della fine dei Giochi Olimpici: “È un momento serio e non possiamo rimandare questo tipo di decisione”, ha esortato Lucie Castets.
Martedì sera, su France 2, il Presidente della Repubblica, un’ora dopo essere stato informato del nome della Castets, che si è guardato bene dal nominare, ha dichiarato: “La questione non è un nome. La questione è quale maggioranza può emergere nell’Assemblea”.
Pur riconoscendo di aver perso le elezioni legislative, ha implicitamente indicato di non voler nominare un governo del NFP.
In risposta, Lucie Castets ha dato due indicazioni essenziali su France Inter. In primo luogo, affermando che “una coalizione con il campo presidenziale è impossibile a causa di (…) profondi disaccordi”.
Anche Coquerel si è espresso in merito: “Noi vogliamo governare”.
Ha aggiunto anche: “Qualunque sia il tempo che ci verrà concesso a Matignon, saremo in grado di cambiare cose importanti nel Paese. Ecco cosa abbiamo in programma per i primi quindici giorni: aumento del salario minimo e delle pensioni, congelamento dei prezzi… Il blocco che può riuscire a governare, anche se vedo quanto sarebbe difficile, è il nostro. Il blocco macronista non è in grado di farlo al momento”.
In secondo luogo, Lucie Castets ha dichiarato: “Il nostro punto di partenza è il programma del Nuovo Fronte Popolare”.
Naturalmente la LFI teme un compromesso al ribasso su questo da parte dei socialisti, rispetto al programma del NFP che – aggiungiamo noi – è pieno di pietre d’inciampo sui temi che riguardano la politica estera.
“Il nome di Lucie Castets dovrebbe anche abbattere le linee di divisione ricorrenti all’interno del NFP, che ha approvato all’unanimità il suo nome, proposto dai socialisti, e che presentava il rischio di essere invalidato dagli insoumis”, commenta Le Monde.
“Ci siamo rapidamente convinti che fosse l’unica persona in grado di ottenere il consenso”, afferma Eric Coquerel.
“E più scoprivamo su di lei, più ci convincevamo. Abbiamo chiesto due criteri di selezione per il nostro candidato. In primo luogo, la capacità di governare e, da questo punto di vista, il suo status di alto funzionario è rassicurante, ha competenze quasi immediate. In secondo luogo, ha detto subito di voler rispettare la logica del programma del NFP di rottura con il passato. Non credo che lo annacquerà.”
Dopo vari tentativi andati a vuoto per trovare una candidata unitaria a causa dei veti incrociati, il confronto ha avuto un esito positivo che mette oggettivamente in difficoltà Macron.
Se il Presidente della Repubblica non nominerà Lucie Castets alla carica di Primo Ministro, il NFP intende creare un equilibrio sociale di potere con l’Eliseo che non rimarrà confinato al Palais-Bourbon. Un terzo turno nelle strade? “Sì, sarà necessario, se nulla si muoverà da qui all’inizio del nuovo anno politico”, avverte Coquerel.
Per l’ennesima volta, Macron gioca col fuoco segno di una miopia politica che è propria dell’élite politica continentale.
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