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Il governo iracheno condanna gli attacchi turchi

Giovedì 11 luglio, dopo quasi un mese dall’inizio dell’operazione militare della Turchia nel Governatorato di Duhok, nel nord dell’Iraq, nella Regione del Kurdistan iracheno, il governo di Baghdad ha finalmente protestato. Fino ad ora l’operazione militare, promessa dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan lo scorso aprile, annunciata a seguito della sua visita in Iraq, ha portato distruzioni, incendi ed l’evacuazione di persone minacciate dai bombardamenti e dagli scontri che i soldati turchi hanno ingaggiato con il PKK.

L’obiettivo militare è quello di proseguire nella costruzione di una buffer-zone, zona cuscinetto che parte dal confine turco e si estende per circa 30-40 km in profondità nel territorio iracheno, parzialmente già avviata negli anni precedenti, che la Turchia vuole sotto il proprio controllo per spezzare il corridoio del PKK verso il Rojava, in Siria. Erdogan infatti ad aprile ha dichiarato che ci sarebbero stati interventi militari anche in quella zona, dove sono prese di mira le YPG (Unità di protezione popolare), vicine al PKK. 

Il KDP (Partito democratico del Kurdistan), partito al governo della Regione del Kurdistan iracheno, nonostante Duhok sia un distretto della Regione, fino ad oggi venerdì 12 luglio non ha protestato per gli attacchi turchi sul suo territorio, che stanno mettendo a rischio i civili. Non l’ha fatto neppure quando la Turchia ha iniziato a gennaio di quest’anno la realizzazione di nuove strade che congiungono le basi militari costruite in quella zona nel 2021 durante un’altra operazione militare, denominata Claw lightening.

Continua a non farlo nemmeno di fronte alla creazione, lo scorso 25 giugno, di checkpoint turchi che controllano il passaggio delle persone sul territorio del Kurdistan iracheno. Si tratta di un’evidente ulteriore limitazione della sovranità dello Stato iracheno e della stessa Regione del Kurdistan iracheno che certamente allarma Baghdad.

Ad aprile il governo federale iracheno, nonostante proprio in quei giorni ospitasse il presidente turco Erdogan, aveva costruito due basi militari nella zona di Batifa, nel Kurdistan iracheno, per scongiurare un nuovo avanzamento delle forze armate turche nella regione. Contemporaneamente però erano arrivati sia da Baghdad che da Ankara segnali di avvicinamento e di una possibile politica comune contro il PKK, sfociata nella messa fuorilegge dell’organizzazione da parte dell’Iraq. 

L’Iraq è un paese a sovranità limitatissima, con la presenza di diverse forze straniere sul suo territorio e basi militari straniere, una difficile situazione politica, determinata anche dalle pressioni esercitate dai tanti attori regionali e non, con la questione ancora irrisolta dei territori contesi con il Kurdistan iracheno e la minaccia, oggi non più pressante come in passato, della volontà separatista del KDP. Aggrava la sua situazione l’emergenza idrica e la necessità di investimenti importanti nel suo territorio, problemi che Ankara si è offerta di risolvere ma volendo qualcosa in cambio, giocando proprio con le fragilità dell’Iraq e cercando di trarne vantaggio.

Dopo le isolate proteste del PUK (Unione patriottica del Kurdistan), ieri una una delegazione del governo federale guidata dal Consigliere per la sicurezza nazionale, Qasim al-Araji, è giunta nella capitale della regione del Kurdistan iracheno, Erbil, per discutere la situazione in corso nel governatorato di Duhok. Il giorno precedente il Primo Ministro Al-Sudani aveva riunito il Consiglio di sicurezza nazionale, al termine del quale erano state condannate le incursioni militari turche, così come le violazioni territoriali.

Il Consiglio aveva poi richiamato la Turchia a rispettare i principi di buon vicinato e a utilizzare i canali diplomatici con Baghdad per affrontare ogni preoccupazione legata alla sua sicurezza. Aveva infine auspicato che si raggiungesse un fronte comune sulle posizioni del governo federale per impedire che forze straniere potessero condurre attacchi militari sul suo territorio o che questo potesse essere utilizzato per azioni militari in Paesi vicini. 

Secondo Shafaq News, Al-Sudani vorrebbe trovare una linea comune con Erbil per non restringere ulteriormente la sovranità del Paese. Non sarà facile, data la stretta alleanza tra il KDP e il governo di Ankara. La debolezza dell’Iraq e la necessità di alleanze e investimenti, inclusi quelli turchi, sono il tallone d’Achille per il Paese e l’arma di ricatto per la Turchia. 

Il Congresso nazionale del Kurdistan (KNK), ha pubblicato sul suo sito una lettera aperta indirizzata a Ahmed Aboul Gheit, Segretario generale della Lega dei Paesi arabi, a Mohammed Shia’ Al Sudani, Primo Ministri dell’Iraq, a Bashar al-Assad, Presidente della Siria, a António Guterres, Segretario Generale delle Nazioni Unite, a Biden, Presidente degli Stati Uniti, a Marija Pejčinović Burić, Segretario Generale del Consiglio d’Europa, a Ursula von der Leyen, Presidente dell’Unione Europea e a Jens Stoltenberg, Segretario Generale della NATO con la quale chiede “di prendere azioni urgenti e decisive per fermare questa occupazione”.

Il richiamo alla Comunità internazionale è più che mai necessario perché i riflettori su quanto sta avvenendo in Iraq sono spenti.

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1 Commento


  • Vannini Andrea

    …i kurdi hanno la “fortuna” di avere l’ “amico” amerikano (e israeliano)!?

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