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Fine della “tregua olimpica”: Emmanuel Macron continua a sbarrare la strada ad un governo di sinistra

Cinque settimane dopo la sconfitta subita NEl secondo turno delle elezioni legislative, il capo dello Stato non ha ancora nominato il successore di Gabriel Attal. Si prevede che inizierà le consultazioni la settimana prossima.

Con la fine di questi Giochi si conclude la  “tregua olimpica” decretata dal Presidente francese il 23 luglio.

Cinque settimane dopo il secondo turno delle elezioni legislative, che hanno visto l’ex maggioranza presidenziale duramente punita (ha perso settantatré seggi) Emmanuel Macron dovrà nominare un primo ministro e incaricarlo di mettere insieme un governo.

Nulla è trapelato dalle sue consultazioni alla dimora presidenziale estiva del Fort de Brégançon, dove è tornato domenica 28 luglio e dove trascorrerà la maggior parte della prossima settimana.

Come riporta il quotidiano francese “Le Monde”, per telefono ha provato una manciata di nomi ( Xavier Bertrand, Michel Barnier, Bernard Cazeneuve, Jean-Louis Borloo…) davanti ai suoi interlocutori abituali, ma senza rivelare nulla delle sue intenzioni.

Da ciò che trapela Macron non sembra intenzionato a nominare il nome scelto in maniera unitaria dalla coalizione che ha ottenuto il maggior numero di seggi parlamentari, cioè il Nuovo Fronte Popolare, che ha proposto Lucie Castets il 26 luglio.

L’offensiva politica della Castets e del NFP

Lucie Castets ha inviato ieri una lettera ai deputati e ai senatori dei “gruppi repubblicani” in cui espone le sue “cinque priorità principali”: il potere d’acquisto – tra cui l’aumento del salario minimo e l’abrogazione della riforma delle pensioni – “la biforcazione ecologica”, listruzione, la sanità e una “tassazione più equa”.

“Gli elettori hanno espresso un fortissimo desiderio di cambiamento” nelle elezioni legislative di luglio, che “hanno portato il Nuovo Fronte Popolare in testa”, ma hanno lasciato l’Assemblea Nazionale “frammentata e senza una maggioranza”, osserva Castets nella sua lettera, co-firmata dai sette leader dei gruppi parlamentari di sinistra.

Pur rivendicando il potere, la Castets e i leader della sinistra che hanno firmato la lettera ai deputati intendono “tenere conto di tutte le implicazioni di questa elezione”, a cominciare dalla necessità di “convincere le persone al di là dei ranghi del PNF per costruire maggioranze parlamentari”, scrivono.

Propongono quindi un “cambiamento di prassi”all’interno del Parlamento, per “preparare i testi in anticipo”, una migliore “distribuzione delle responsabilità durante i dibattiti e una maggiore “condivisione dell’agenda” con l’esecutivo.

In segno di questa “rinnovata enfasi sul lavoro parlamentare”, la sinistra ha promesso che un governo Castets terrà “discussioni approfondite con i gruppi parlamentari repubblicani” “non appena sarà nominato” – una formulazione che esclude a priori il Rassemblement National.

Questo lavoro, che coinvolgerà anche i sindacati, gli eletti locali e la “società civile organizzata”, riguarderà sia “il bilancio per il 2025” sia “un programma di lavoro del governo per i prossimi mesi”.

Il NFP prevede inoltre di riprendere alcune questioni “interrotte dallo scioglimento”, in particolare “il fine vita, la tutela dei minori, le famiglie monoparentali, l’introduzione di un numero minimo di assistenti per ogni paziente ricoverato e la violenza sessuale nell’ambiente culturale”.

Le pietre d’inciampo del futuro esecutivo

I tempi della nomina di un Primo ministro non sembrano ancora decisi, ma la scelta potrebbe essere fatta già nella settimana del 19 agosto, in modo che l’esecutivo possa immergersi senza indugio nella delicata equazione del bilancio, che deve essere messo insieme alla fine di settembre per essere presentato all’Assemblea nazionale al più tardi il primo martedì di ottobre.

Entro venerdì 20 settembre, inoltre, la Francia – che è stata sottoposta alla procedura per deficit eccessivo da parte della Commissione europea – dovrà presentare il suo piano a medio termine per spiegare come intende correggere il suo percorso.

Queste due scadenze cruciali depongono a favore di una rapida nomina della nuova squadra di governo che si troverà a decidere la politica economica dell’Esagono indossando, per così dire, il collare a strozzo della Commissione Europea.

Altri ritengono che nonostante queste scadenze incombenti, i tempi della politica saranno diversi, visto il rebus della composizione di un governo.

Ma un esecutivo che può svolgere solo gli “affari correnti” non può andare avanti all’infinito, specie se si pensa che questa impasse politica è stata provocata da Macron, che aveva annunciato la convocazione delle elezioni anticipate poco dopo la chiusura delle urne delle europee, senza però nominare il primo ministro il giorno dopo il secondo turno delle elezioni, come avrebbe voluto la prassi.

Le tre ipotesi in campo

Giovedì 11 luglio, su LCI, l’ex primo ministro Dominique de Villepin ha invitato Emmanuel Macron a nominare un primo ministro tra le fila del Nouveau Front Populaire (NFP), arrivato primo nelle elezioni del 7 luglio, in nome della “tradizione repubblicana”, anche se la coalizione di sinistra, che come le altre coalizioni non ha la maggioranza all’Assemblea nazionale, potrebbe essere sfiduciata.

Anche all’interno dell’ex maggioranza macronista, alcuni esponenti condividono questa analisi e chiedono che il Presidente della Repubblica “elimini innanzitutto l’ipoteca della sinistra”, prima di passare – in caso di mancata formazione di un governo o di sfiducia – a una seconda opzione, come avviene nella maggior parte delle democrazie parlamentari.

Ma proprio 23 luglio, su France 2, ha respinto in toto questo scenario, scartando il nome dell’alta funzionaria Lucie Castets: ”È falso dire che il Nuovo Fronte Popolare avrebbe una maggioranza, qualunque essa sia”, ha dichiarato Emmanuel Macron, per il quale la nomina di un capo di governo del NFP sarebbe un rischio troppo grande.

Nel campo presidenziale si teme infatti che Marine Le Pen possa decidere di non censurare immediatamente un tale governo, dandogli di fatto il tempo di cercare di attuare almeno in parte il programma per cui il NFP è stato votato.

Facendo per esempio “carta straccia” dell’impopolare riforma che ha portato l’allungamento dell’età pensionabile a 64 anni o rendendo più progressiva la tassazione, rintroducendo la patrimoniale (ISF) abolita durante la prima presidenza Macron.

Insomma, anche una parziale “inversione” di rotta della politica neo-liberista è vista come il fumo negli occhi nelle élite politico-economiche francesi, ed è per questo che Macron – e chi lo sostiene – non si è fatto alcun problema a rompere non solo con la prassi della Quinta Repubblica, ma a ignorare platealmente l’indicazione forte uscita dalle urne.

All’indomani del lungo weekend del 15 agosto, Emmanuel Macron dovrebbe iniziare ricevendo all’Eliseo i leader dei gruppi parlamentari e forse anche i leader dei partiti. Il 10 luglio, nella sua lettera ai francesi, che in realtà era un indirizzo ai partiti, li ha esortati a trovare un accordo, definendo i contorni della coalizione che vuole vedere nascere, nell’“arco repubblicano”.

Insomma una coalizione che nell’idea dell’Eliseo escluderebbe da una parte La France insoumise (LFI) – spaccando il NFP – e dall’altra il Rassemblement Nationale (RN), con a capo una “figura tecnica”.

Secondo quanto riferisce Le Monde, Macron abvrebbe elaborato un progetto per il futuro primo ministro: una figura “riconosciuta” con “una vasta esperienza negli affari di Stato”, “rispettata su tutti i banchi delle forze repubblicane”, “di un campo, ma capace di dialogare con gli altri”

Una figura probabilmente gradita dall’attuale leadership della UE che permetta una coabitazione più agevole con Macron nelle sue scelte politiche di fondo, magari proveniente dall’ala più moderata dei socialisti.

L’alternativa, per modo di dire, potrebbe avere come “asse principale” il supporto dei gollisti – che, è bene ricordarlo, non hanno dato indicazione di voto per il “fronte repubblicano” al ballottaggio laddove non erano presenti – ma deve necessariamente ampliarsi.

Il 23 luglio, Emmanuel Macron ha infatti elogiato il “patto legislativo” proposto da Laurent Wauquiez, presidente del nuovo gruppo parlamentare gollista “destra repubblicana”, composto da coloro che non hanno seguito la scelta del presidente di LR, Eric Ciotti, di allearsi con Le Pen.

La nomina di una figura proveniente da destra, quando il partito Les Républicains (LR) è arrivato quarto al secondo turno delle elezioni legislative e dispone di appena 47 deputati – contro i 182 del NFP -, sarà contestata a sinistra e probabilmente anche tra i membri della formazione presidenziale (Renaissance, ex-LREM) che provengono dai socialisti.

All’interno dell’LR, dove Laurent Wauquiez si è detto ostile a qualsiasi coalizione con la Macronie, alcuni ammettono che i 47 deputati non saranno comunque sufficienti per costruire una coalizione con i 166 deputati del blocco centrale (213 su 289 necessari), quando una maggioranza socialdemocratica potrebbe invece prendere forma con i socialisti, gli ecologisti, il campo presidenziale e i deputati del gruppo Libertés, indépendants, outre-mer et territoires.

Certamente, nell’uno come nell’atro caso, la crisi francese non verrebbe risolta da alcuna alchimia politica ed escluderebbe dall’agenda politica alcune delle maggiori preoccupazioni dei francesi che il Nuovo Fronte Popolare (in particolare la LFI) ha cercato di esprimere attraverso il suo programma di rottura parziale con il neo-liberismo, con il supporto di un ampio consenso trasversale di parte sindacale e l’appoggio di differenti movimenti che hanno agitato le piazze dell’Esagono in questi anni.

E siamo sicuri che dopo avere “parlato” le urne, la parola tornerebbe alle piazze.

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