Michel Barrier, gollista di 73 anni, 4 volte ministro con i governi conservatori con diversi ruoli e per due volte Commissario Europeo, è stato nominato primo ministro (poco dopo l’una di giovedì pomeriggio) dal presidente francese Emanuel Macron.
Barrier è un membro dei LR, o meglio della parte dei gollisti che hanno scelto – a differenza del loro presidente Eric Ciotti – di non allearsi formalmente con l’estrema-destra di Le Pen e Bardella alle ultime elezioni politiche.
Per chiarire il profilo di quello che viene definito un “centrista” basti ricordare le sue dichiarazioni a favore dell’allungamento dell’età pensionabile a 65 anni e di una legislazione più restrittiva per ciò che concerne l’immigrazione.
Un uomo di così “ampie vedute” che ad inizio Anni Ottanta, sotto la presidenza Mitterand, insieme ai suoi colleghi di partito votò contro la depenalizzazione dell’omosessualità!
Bernier è parte integrante di quel ristretto cerchio di burocrati conservatori che si concepisce come classe dirigente europea d’origine francese, più conosciuta a Bruxelles che nell’Esagono.
Non a caso, mentre l’estrema destra annunciava che non avrebbe votato – almeno in prima battuta – la sfiducia a Barrrier, a differenza di tutti i componenti del Nuovo Fronte Popolare, ha ricevuto l’endorsement della Von der Leyen.
Per la presidente della Commissione Europea, infatti, Barrier ha “a cuore gli interessi dell’Europa e della Francia, come dimostra la sua lunga esperienza”, ha scritto su X, augurandogli il migliore successo nella “nuova missione”.
Gli fa eco il padronato francese.
Contattato da Le Monde, Patrick Martin, presidente del Medef (la “Confindustria d’oltralpe”) ritiene che “la nomina di Michel Barnier a Primo Ministro sia di buon auspicio”.
“La sua esperienza, la sua comprensione delle questioni internazionali e la sua capacità di raggiungere compromessi su dossier difficili sono risorse inestimabili nella delicata situazione che il nostro Paese sta attraversando”, ha proseguito, sottolineando che si aspetta che “proponga un percorso economico all’altezza delle sfide che le imprese francesi devono affrontare”.
Così, alla vigilia della mobilitazione di sabato 7 settembre per la sua “destituzione”, promossa da varie forze del NFP, “Mac-Macron” ha di fatto dato seguito all’ipotesi di un governo “tecnico” di minoranza – o per meglio dire “tecnocrate” -, gradito alla UE, con il sostegno esterno dei gollisti ed il beneplacito di Marine Le Pen.
Dopo il rifiuto di prendere in considerazione la candidatura di Lucie Castets, proposta unitariamente dal NFP – la formazione che ha ottenuto più deputati – e dopo aver escluso dalle consultazioni La France Insoumise (LFI) di Jean-Luc Mélenchon; dopo aver verificato l’impossibilità – per gli equilibri interni ai socialisti (componente del Nfp) – di proporre un nome della destra del PS, Macron ha vagliato una serie di nomi scegliendo, in evidente accordo con Le Pen, il navigato politico conservatore che per la UE ha diretto le trattative sulla Brexit.
Certamente è uno stravolgimento totale delle indicazioni uscite dalle urne, in cui una parte importante dei francesi aveva votato contro l’ipotesi di avere l’estrema-destra a governare dopo l’exploit del RN (ex-FN), e per voltare pagina rispetto alla macronie che ha caratterizzato gli ultimi sette anni di vita politica francese. Una negazione esplicita dei criteri base della “democrazia liberale”…
Risultato: se il governo di Barrier, che prende il testimone dell’esecutivo Attal a Matignon – rimasto in carica per gli “affari correnti” per ben due mesi, la più lunga crisi politico-istituzionale dal 1958 ad oggi – non verrà sfiduciato, i francesi si ritroveranno un primo ministro della formazione giunta quarta e che al ballottaggio del secondo turno si è rifiutata di dare indicazione di voto per candidati diversi dei propri. Rompendo così il “fronte repubblicano” e quindi quel cordone sanitario che i conservatori avevano eretto intorno all’estrema-destra dall’era Chirac fino a Sarkozy.
Altro dettaglio non secondario: i deputati eletti ai ballottaggi nelle file del campo della coalizione presidenziale Ensemble contro sfidanti dell’estrema destra, grazie alle scelta effettuata dall’arco del cosiddetto “Fronte Repubblicano”, voteranno ora per un Primo Ministro nominato con il benestare di Le Pen e Bardella. Ovvero contro l’indicazione dei propri elettori.
Se così fosse, probabilmente sarebbe l’ennesimo salto di qualità nel processo di normalizzazione/cooptazione dell’estrema-destra, promossa a forza politica “responsabile” più degli stessi socialisti francesi che seguono Faure.
Uno dei tanti paradossi che segnalano come la politica nella UE non svolga più un ruolo di “cerniera” ma di vero e proprio “rasoio” nei confronti delle istanze popolari, trovando una classe politica asservita ai desiderata di Bruxelles, ovvero del grande capitale internazionale.
Barrier renderebbe la “coabitazione” con Macron piuttosto agevole, dando un segno di continuità con le scelte politiche fatte dagli esecutivi che l’hanno preceduto, ma sacrificando le istanze di una democrazia borghese che – svuotandosi dei residui della sovranità popolare – si regge su continue forzature istituzionali.
Si potrebbe dire che i sogni di De Gaulle di realizzare – attraverso l’architettura della V Repubblica – una sorta di “consolato personale” sono stati realizzati da Macron grazie alla UE, facendo diventare la Francia una sorta di democradura senza più bilanciamento di poteri effettivi, dove la consuetudine politica è divenuta lettera morta e l’estrema-destra è stata invitata indirettamente nella “stanza dei bottoni”.
Le reazione del Nuovo Fronte Popolare
Sono durissimi i toni usati dell’opposizione, cui è rimasta ora solo la piazza come canale d’espressione.
“Le elezioni sono state rubate ai francesi”, ha denunciato Jean-Luc Mélenchon. Riferendosi a “un primo ministro che viene nominato con il permesso e forse su suggerimento del Rassemblement national”, il leader de La France insoumise (LFI), in un video postato sui social network, ha invitato alla “mobilitazione più potente possibile” sabato 7 settembre.
Sarà quella la prima manifestazione contro quello che LFI, i sindacati delle scuole superiori e degli studenti, definiscono il “colpo di forza” di Emmanuel Macron, ovvero il suo rifiuto di nominare la candidata della coalizione di sinistra, Lucie Castets, a Matignon.
“Dopo cinquantadue giorni di governo sconfitto alle urne, Macron continua a comportarsi come un autocrate”, ha aggiunto Mathilde Panot, leader dei deputati “insoumis” su X, secondo cui “il presidente rifiuta di rispettare la sovranità popolare e la scelta fatta alle urne”.
Olivier Faure, segretario nazionale del Partito socialista (PS), sempre su X, ha descritto una “negazione democratica giunta al suo apogeo: un primo ministro del partito che è arrivato quarto e non ha nemmeno partecipato al fronte repubblicano” contro l’estrema destra. A suo avviso, la Francia sta entrando in “una crisi di regime”.
In un comunicato stampa ufficiale il PS ha affermato che Emmanuel Macron sta “calpestando il voto del popolo francese” e ha annunciato che “sfiducerà” il governo di Michel Barnier.
Anche Marine Tondelier è rimasta delusa. “Chi vogliamo prendere in giro? È un vero e proprio scandalo“, ha dichiarato la leader degli Ecologisti Secondo lei, “quello che è appena accaduto in Francia per sessanta giorni (…), se fosse accaduto in qualsiasi altra parte d’Europa, lo avremmo trovato deplorevole da un punto di vista democratico”. “Questa storia senza precedenti sta prendendo una piega estremamente preoccupante”,ha proseguito.
Per il leader del PC Fabien Roussel, la nomina di Michel Barnier alla carica di primo ministro francese è “un insulto al popolo francese che vuole il cambiamento”. “Liberale, europeista, antisociale, Barnier è l’esatto contrario del messaggio inviato dai francesi alle elezioni legislative”.
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