Domenica 20 ottobre sono arrivate finalmente le elezioni che la Regione del Kurdistan Iracheno (KRI) aspettava dal 2022. L’attesa di due anni era dovuta alle forti frizioni che da tempo si erano inasprite tra i due partiti curdi più forti, il Partito Democratico Curdo (KDP), con roccaforte nella zona gialla dove si trova la capitale Erbil, che si ispira a una politica conservatrice e l’Unione Patriottica del Kurdistan (PUK) che invece è progressista e governa nella zona verde, con capitale Sulaiymaniya.
Negli anni ‘90 del secolo scorso, quando nasceva di fatto la regione autonoma curda in Iraq, i due partiti si erano scontrati anche militarmente ma nel 2003, dopo l’occupazione dell’Iraq da parte della coalizione guidata dagli Stati Uniti, avevano siglato un accordo che prevedeva di riunire le due amministrazioni sotto un unico governo dove il potere fosse condiviso. Nel 2005, con l’entrata in vigore della nuova Costituzione irachena, il KRI è stato formalmente istituito.
Dal 2003 ad oggi sono accadute molte cose nel KRI, come ad esempio il referendum del 2017 per l’indipendenza del Kurdistan iracheno voluto fortemente dal KDP ma osteggiato dal PUK. Il risultato fu un successo ma portò a delle conseguenze molto gravi per il KDP che, senza il supporto del PUK e avendo contro il governo centrale ma anche gli alleati statunitensi e turchi, fu costretto a non dare seguito al voto uscito dalle urne. Baghdad reagì con la forza e inviò l’esercito non solo nel KRI ma anche nei territori c.d. contesi che in quel momento il Governo della Regione del Kurdistan Iracheno (KRG) stava governando. Il KDP uscì dalla vicenda fortemente indebolito.
Le motivazioni che sono alla base dello scontro duro in corso tra KDP e PUK sono di diversa natura e spaziano dalla gestione e redistribuzione delle risorse che provengono dalla vendita del petrolio e del gas naturale, di cui la regione è ricca, al pagamento dei salari degli impiegati pubblici. Il PUK ha tentato di boicottare l’attività di governo, considerando smisurato l’esercizio del potere da parte del KDP, partito di maggioranza, e ha fatto ricorso alla Corte suprema irachena per impugnare il sistema elettorale del KRI.
Il momento che il KRI sta attraversando non è affatto semplice perché deve affrontare la crisi economica che ha fatto salire il tasso di disoccupazione, spingendo molti giovani a emigrare all’estero. I cittadini sono preoccupati delle loro condizioni materiali che si stanno comprimendo e sono spossati dalla politica regionale, che non è esente da corruzione e gestione personale del potere.
Inoltre il KRI si trova a fare i conti con un certo numero di sentenze che la Corte suprema ha emesso in quest’ultimo anno, con le quali è stato ridotto l’esercizio di alcune prerogative che la regione curda aveva esercitato a lungo in nome della sua autonomia. Colpisce pesantemente la decisione della Corte che obbliga il KRG a trasferire al governo centrale di Baghdad le entrate che derivano dal petrolio e non solo.
La regione è evidentemente sotto pressione in un Iraq che fa parte di quel Medio Oriente che attualmente si mostra particolarmente instabile e dove la lotta tra gli attori regionali, con obiettivi strategici differenti, rende lo scenario tremendamente esplosivo.
Alle 18.00 di domenica 20 ottobre le urne nel KRI si sono chiuse. Si parla di un successo di partecipazione, con il 78% degli aventi diritto che ha espresso la propria preferenza. Qualche difficoltà nella gestione dell’accesso al voto attraverso l’identità digitale è stato riscontrato, come conferma anche l’Alta commissione elettorale irachena, la quale ha però assicurato al giornale iracheno Shafaq che le procedure di voto si sono complessivamente svolte senza problemi.
Il numero maggiore di elettori aventi diritto al voto era concentrato nei governatorati sotto il controllo del KDP, ossia Duhok (545.806) e Erbil (665.988), rappresentanti quasi il doppio di quelli dei governatorati a guida PUK, cioè Sulaiymaniya (597.569) e Halabja (37.843). Era quindi prevedibile una vittoria regionale del KDP (809,197 voti) ma il PUK (408,141 voti), attraverso il suo portavoce Karwan Gazneyi, si dichiara soddisfatto perché “aumentando i voti del PUK al 90,2%, siamo riusciti a garantire la vittoria in queste elezioni. Nessuna entità politica può gestire in modo autocratico i principali nodi del governo”.
Il presidente del Kurdistan iracheno, Nechirvan Barzani (KDP), si è congratulato con i cittadini e le cittadine per il pacifico svolgimento della procedura elettorale e ha aggiunto che “più diritti sono una necessità urgente e una priorità in questa fase per affrontare le sfide attuali e costruire il nostro futuro comune. Per raggiungere questo obiettivo è necessario uno spirito di coesione, solidarietà e cooperazione tra tutti i partiti e le componenti politiche”. Probabilmente non sarà così facile raggiungere quell’equilibrio auspicato a parole perché la rivalità tra il KDP e il PUK non verrà certamente sotterrata da questa tornata elettorale.
I problemi strutturali del sistema politico curdo, basato su una politica ereditaria e familistica oltre alla presenza di una dilagante corruzione, influenzeranno prevedibilmente il nuovo governo del KRI che ha delle sfide importanti da affrontare, poiché in questa fase storica si assiste all’avvicinamento tra il governo centrale iracheno e la Turchia, la quale fino a poco tempo fa privilegiava i rapporti con Erbil e oggi invece costruisce con Baghdad la development road che taglia fuori la regione curda.
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Andrea vannini
KDP e PUK altro non sono che due bande criminali. E in Siria la musica non cambia. anche i curdi non sono più quelli di una volta…