Facciamo un piccolo esercizio di demografia populista. Questa settimana, il bilancio delle vittime nella Striscia di Gaza è salito a più di 43.000 persone – circa il 2% della popolazione del territorio. Se si uccidesse la stessa percentuale di israeliani, sarebbero 180.000 morti. La stessa percentuale di americani equivarrebbe a più di 6,5 milioni di persone uccise. Ma come è stato notato, questo è solo un esercizio di populismo, perché i “fatti” che lo confutano possono essere immediatamente portati avanti.
Circa un terzo delle persone uccise a Gaza sono definite “terroristi“, anche se lavoravano per il servizio medico di Hamas, insegnavano in scuole subordinate al Ministero dell’Istruzione di Hamas o erano coinvolti in associazioni di beneficenza finanziate da Hamas. Sono tutti di Hamas.
Gli altri due terzi sono “danni collaterali“, che sono “normali” in ogni guerra. E alla fine i numeri sono bassi rispetto al numero di civili innocenti uccisi nelle guerre americane in Iraq e Afghanistan. Quindi ne usciamo con un’aura di giustizia.
Ma anche dopo tutti questi sconti aritmetici, e anche senza calcoli complessi, il numero di morti in sé e per sé dovrebbe farci inorridire, o perlomeno suscitare una qualche disapprovazione, almeno facendo il gesto di schiarirsi un po’ la gola.
I secchi rapporti giornalieri dell’Unità Portavoce delle Forze di Difesa Israeliane sul numero di terroristi uccisi ci dicono i nostri progressi, cioè la distanza che dobbiamo ancora percorrere per raggiungere la vittoria totale. E questa distanza si riduce costantemente. Ancora qualche centinaio, o forse qualche migliaio, e avremo raggiunto la fine della storia.
Cosa ci importa dell’ex leader di Hezbollah Hassan Nasrallah o dell’ex leader di Hamas Yahya Sinwar? Ucciderli, distruggere le “infrastrutture terroristiche”, liquidare le scorte di armi e munizioni in superficie e sottoterra, distruggere persino ospedali e cliniche, scuole e condomini: tutto questo non ha soddisfatto la nostra sete di vendetta. Avremmo dovuto essere sazi già da tempo, dopo che il numero di palestinesi uccisi nell’ultimo anno ha superato di gran lunga quello dei precedenti 57 anni di occupazione.
Ma ormai siamo lanciati, quindi non ci fermeremo. Non è solo per il fatto che le uccisioni ci rallegrano il cuore. È anche perché ogni camion che entra a Gaza carico di alimenti di base ci stringe il cuore. Il satanico “Piano dei Generali“, il cui obiettivo è far morire di fame decine di migliaia di esseri umani e costringerli a fuggire in aree un po’ meno pericolose per fornire all’IDF una zona di uccisione, si è già trasformato in una strategia e ha acquisito legittimità pubblica, avvolto nella menzogna di uno sforzo per “liberare gli ostaggi“.
Ma anche le persone convinte che solo una maggiore pressione militare, più omicidi e più operazioni di pulizia riporteranno gli ostaggi a casa, stanno già alzando le spalle; sono disposti a rinunciare agli ostaggi purché si ottenga una compensazione sotto forma di altri palestinesi morti. E le scorte di questi ultimi non si esauriscono mai.
Altri 2,25 milioni di persone vivono ancora a Gaza in attesa della bomba che li colpirà. Come topi in un labirinto, corrono tra Jabalya e Beit Lahia, tra Rafah e Khan Yunis, da nord a sud e poi da sud a ovest e di nuovo indietro, cercando riparo per qualche mese nelle case in rovina o in tende a brandelli. Lungo il percorso, sperano di poter postare le loro ultime parole sui social media.
L’ex vice-procuratrice generale Yehudit Karp, una donna la cui coscienza è una bussola umana, morale ed etica, ha cercato di scuotere i pilastri della terra nell’Haaretz in ebraico di martedì.
“Salva noi israeliani dal peso di coscienza per il massacro che stiamo commettendo contro l’altro, per l’uccisione di massa che viene fatta in nostro nome a Gaza e nei territori sotto il nostro controllo, per la vergogna del nostro furto di diritti e di terre, e per la nostra apatia verso il destino di chiunque non sia noi”, ha gridato con il sangue del suo cuore. “Salvaci dal governo malvagio a causa del quale siamo tutti responsabili dei crimini di guerra che vengono commessi in nostro nome e del fatto che l’etica ebraica e i valori di Israele vengono cancellati lì”.
Ma è già troppo tardi.
Ciò che stiamo vedendo a Gaza sarà d’ora in poi considerato come la sintesi dei valori fondamentali sia di Israele che dell’etica ebraica distorta che gli è stata inculcata. A Gaza non viene fatto nulla “in nostro nome”; lo facciamo noi e i nostri figli, con orgoglio. E come ha detto il nostro Primo Ministro, “la nostra vittoria è per il bene dell’umanità intera”. Con messaggi come questo, la nostra coscienza è pulita.
* https://www.haaretz.com/opinion/2024-10-29/ty-article-opinion/.premium/netanyahus-killing-for-the-sake-of-humanity-lie-keeps-israelis-conscience-clear/00000192-d96d-de3b-adf2-fdfd65660000?utm_source=mailchimp&utm_medium=Content&utm_campaign=israel-at-war&utm_content=5250b8ccd0 – Traduzione a cura di AssoPacePalestina
P.S. (redazionale) Naturalmente “l’umanità intera” vede e sa che sta avvenendo un genocidio in diretta. E che questa “consolazione” distribuita ai propri concittadini da Netanyahu & co. è una lapide definitiva contro ogni ipotesi di futuro “perdono” o altra bestemmia che gli somigli….
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