Da Barcellona. Il devastante fenomeno meteorologico che si è abbattuto su València e sui piccoli paesi circostanti (con precipitazioni inaudite anche per una zona in cui le piogge torrenziali sono ben note) affonda le proprie radici nei mutamenti generati da uno sviluppo capitalistico totalmente sordo alle necessità della tutela ambientale, come ben spiegano gli studiosi della materia.
Ma una volta sgombrato il campo dalle ricostruzioni complottiste, che non a caso ripropongono acriticamente il modello capitalista, è evidente la responsabilità del governo della Generalitat Valenciana (monocolore del Partido Popular de la Comunitat Valenciana) nella gestione dell’emergenza e nel suo tragico e ancora provvisorio bilancio. In altre parole, se il fenomeno atmosferico era inevitabile, al contrario la strage si poteva scongiurare. Ma l’operato del governo Mazón ha aggravato la situazione.
L’agenzia spagnola per gli eventi atmosferici (AEMET) ha previsto il fenomeno atmosferico già venerdì 25 ottobre. Lunedì 28 ha avvisato del rischio di possibili inondazioni. Durante la mattina di martedì 29, l’AEMET ha emesso reiteratamente diversi comunicati (alle 7, alle 8, alle 9 e alle 9,20) esortando la popolazione a non uscire e a prendere le dovute precauzioni abbandonando le zone inondabili. Di conseguenza alcune istituzioni pubbliche hanno sospeso le loro attività, come nel caso dell’Autorità Portuale. L’Università di València aveva sospeso la didattica già il giorno prima.
Tuttavia il presidente Mazón non solo ha ignorato gli avvisi dell’AEMET, via via piú preoccupanti nel corso della mattinata, ma alle 13 ha fatto una dichiarazione nella quale affermava non esistere nessun rischio idrogeologico e che perciò non era necessario prendere alcuna misura particolare.
Pochi minuti dopo, l’acqua inondava le strade di alcuni paesi della provincia, portandosi via auto e persone. Nelle ore successive la situazione si è fatta sempre più grave ma l’allarme inviato per SMS dal governo della Generalitat alla cittadinanza è arrivato soltanto alle 20, quando c’erano già i morti nelle strade.
Dopo la dichiarazione delle 13, in seguito cancellata dai propri social, Mazón e il suo governo sono scomparsi lasciando la popolazione in balia delle inondazioni. In molti hanno denunciato la incompetente sottovalutazione del rischio, ma alla base del comportamento di Mazón c’è un calcolo ragionato ben più grave: per il governo regionale del PPCV l’attività economica viene prima della vita della popolazione e non può essere fermata neppure davanti alla catastrofe imminente.
La supremazia del capitale è il segno distintivo dell’Unione Europea e il governo Mazón così come le grandi imprese presenti sul territorio del País Valencià non fanno eccezione.
Secondo numerose testimonianze nei magazzini e nei negozi di Inditex, Mercadona, Carrefour, Transfesa… i lavoratori sono stati costretti a cominciare il turno o a rimanere sul posto di lavoro anche dopo il tardivo allarme inviato per SMS alle 20. In molti casi non hanno potuto tornare a casa per soccorrere i propri familiari e vicini.
E la dimostrazione che la supremazia dell’impresa è un principio ormai condiviso anche dalla “sinistra” statale, sono le parole pronunciate dalla vice presidente del governo spagnolo. Yolanda Diaz ha raccomandato alle imprese soltanto “il rispetto delle norme”, scaricando interamente sui lavoratori la responsabilità di recarsi oppure no al lavoro in questi tragici giorni. Una posizione quantomeno deludente per il governo che si definisce come “il più progressista della storia spagnola“.
I più di 200 morti (una cifra ancora provvisoria), i 1900 dispersi e le distruzioni materiali invocano ben altre misure. Secondo la Candidatura d’Unitat Popular è necessario un decreto che dichiari lo stato d’emergenza e sospenda tutte le attività produttive non essenziali. Altre forze politiche e sindacali, quali Compromís, hanno chiesto le dimissioni di Mazón, mentre l’indignazione e la rabbia popolare si sono palesate questa domenica a Paiporta, uno dei municipi più colpiti dalla tragedia.
Il monarca spagnolo, accompagnato da Pedro Sánchez e dal presidente della Generalitat Valenciana, pensava di fare una passeggiata in un feudo fedele: il País Valencià è governato dalla destra e ha storicamente ospitato un neofascismo ampiamente foraggiato dallo stato in funzione anticatalanista. Qui, soprattutto tra gli anni ’80 e ‘90, si è dato campo libero a bande neofasciste che si sono macchiate di violenze e omicidi di militanti antifascisti (come nel caso di Guillem Agulló).
Qui si sono spese molte energie per consolidare la dipendenza dalla capitale e scongiurare la minaccia rappresentata dai legami culturali, economici e storici con la Catalunya, in altre parole la minaccia dell’unità dei Països Catalans. E proprio qui il monarca ha subito una dura e bruciante contestazione.
Tanto che la reazione non si è fatta attendere: un giudice di Torrent, un municipio in província di València, ha già aperto un’indagine per accertare le responsabilità della popolazione di Paiporta nella contestazione a Felipe VI. I reati ipotizzati sono attentato e disordini pubblici. Il ministro dell’interno Fernando Grande Marlaska si è detto fiducioso di poter identificare i colpevoli. L’apparato giudiziario statale non agisce sempre con la stessa solerzia: la Fiscalia, un organo che risponde al governo centrale, non ha aperto finora alcuna indagine sulle responsabilità di Mazón e delle grandi imprese.
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Tra 1 mese forse 2 non si parlerà più di Valencia, nè dell’imperialismo capitalista che appesta le nostre vite e ci condiziona, né si parlerà degli errori, delle chem trail se volete, ecc. Quindi accadrà ancora e ancora qualcosa di grave, ma altrove, perché, è mio parere, non c’è abbastanza memoria collettiva, non c’è cooperazione. Tutto si compie sull’onda emotiva, la quale, passata l’emergenza mediatica, scompare ovunque noi siamo. il mondo è uno, i fatti sono mille, ma tutti scollegati tra loro.