La decisione di Putin di firmare, e quindi rendere pienamente operativa, la revisione della “dottrina nucleare” russa, nelle stesse ore in cui l’Ucraina lanciava missili statunitensi Atacms nella regione di Bryansk, va analizzata sia dal punto di vista militare che da quello politico-diplomatico.
Una “dottrina”, infatti, non è un algoritmo che ne rende automatica l’applicazione nei casi lì indicati, ma delinea il quadro di condizioni in cui il responsabile ultimo (Putin, ovviamente) può decidere di utilizzare le atomiche ed anche di quale tipo (strategiche o tattiche), e contro chi.
Sul piano puramente militare cambia parecchio, perché la “minaccia esistenziale per l’integrità e sovranità del paese” – necessaria per prendere in considerazione l’uso delle atomiche – si allarga ora anche all’eventualità che questa minaccia venga da un paese senza atomiche ma che viene sostenuto operativamente da altre potenze nucleari.
E’ evidente che l’Ucraina è il primo “sospettato”, visto che c’è una guerra in corso da quasi tre anni e che Kiev viene supportata da ben tre potenze nucleari: Usa, Gran Bretagna e Francia.
Fuori del linguaggio teorico, se qualcuno in Occidente pensa (ed è evidente che sia stato pensato) di utilizzare una media potenza “convenzionale” per logorare la Russia e poi, eventualmente, portare colpi direttamente, quel qualcuno deve sapere che prima di arrivare a quel punto le armi nucleari passeranno dalla pura “deterrenza” al lancio concreto. Sui “mandanti di Kiev”, oltre che sull’Ucraina…
Tutto questo ragionamento è pubblico, spiegato da anni, elaborato in modo da non lasciare spazio ad equivoci.
Si deve notare, fra l’altro, che questa “dottrina nucleare” è più restrittiva e meno ambigua (interpretabile) di quella statunitense, in quanto prevede una “minaccia esistenziale alla integrità e sovranità” mentre quella yankee parla genericamente di “interessi vitali”.
E il mondo intero sperimenta da decenni quanto elastica sia la nozione statunitense di “interessi vitali”. Di fatto non c’è angolo del pianeta che non rientri in questo raggio di azione.
Ma la revisione della dottrina nucleare russa contiene per forza di cose anche un aspetto politico-diplomatico. Ossia un “messaggio” alla controparte Usa-Nato.
Come ha spiegato direttamente il ministro degli esteri di Mosca, Lavrov: “L’aggiornamento della dottrina nucleare non aggiunge nulla che l’Occidente non sappia, e non aggiunge nulla che sarebbe ‘diverso’, diciamo così, rispetto ai documenti dottrinali americani su cosa fare con le armi nucleari. Siamo convinti che l’arma nucleare sia, prima di tutto, un’arma per prevenire qualsiasi guerra nucleare.”
Va naturalmente capito che a questo livello un “messaggio” non è solo una comunicazione propagandistica, ma un avviso concreto. Cui seguiranno fatti spiacevoli, se non viene inteso o sottovalutato, e quindi non si modifica la condotta.
Qui conviene dunque cominciare ad essere seriamente preoccupati.
La situazione appare infatti decisamente pericolosa. Da un lato abbiamo un presidente ottuagenario considerato dal suo stesso “campo” inabile a ricoprire ancora quell’incarico, tant’è vero che è stata candidata la Harris al suo posto.
Un presidente che appare, ad uno sguardo esterno, decisamente fuori di senno perché ha dato il via libera all’utilizzo di missili americani a lungo raggio contro il territorio russo dopo aver per quasi due anni inibito tale possibilità. E lo ha fatto due mesi prima di lasciare la Casa Bianca, ossia quando dovrebbe logicamente prendere solo decisioni di “ordinaria amministrazione”.
La demenza strategica di Biden – o di chi lo manovra – è straconfermata dal fatto che ha contemporaneamente autorizzato la cessione all’Ucraina di mine antiuomo (vietate dalle convenzioni internazionali firmate anche dagli Usa, per il buon motivo che costituiscono un pericolo di lunga durata anche per i civili, a guerra finita).
Militarmente questo tipo di decisioni, insieme alla velocizzazione degli aiuti economici a Kiev, appaiono insomma modi per accentuare i danni per la Russia che nel frattempo sta guadagnando terreno a velocità crescente. Ma non c’è alcuna speranza che possano invertire il corso della guerra.
Per esempio i missili Atacms di cui tanto si parla – e che non sono affatto gli unici ad esser stati messi a disposizione dell’Ucraina – sono comunque molto pochi, anche negli arsenali Usa. Dunque possono andar bene per fare qualche danno in più, non molto altro.
Si capisce, in definitiva, che questa accelerazione finale del “partito della guerra” yankee è un ultimo colpo di coda, ma molto pericoloso perché accentua l’escalation e il coinvolgimento diretto degli Stati Uniti nella guerra. Una provocazione che si regge su una scommessa: la Russia non farà scattare quanto previsto nella “dottrina nucleare” rinnovata fino a quando Donald Trump non sarà insediato alla Casa Bianca.
Col chiaro rischio di far passare poi quel governo di scalmanati, zeppo di sionisti militanti e evangelici millenaristi, come un paradossale “partito della pace”.
L’ennesima riprova sta nel “trattamento” riservato dai media italiani alla notizia del giorno. Il Corriere della Sera, per esempio, titolava stamattina a sua edizione online in questo modo: “Nucleare: Putin alza il livello, così lo zar prova a far leva sull’ansia occidentale“. Un bluff o quasi per “metterci paura e indurci a trattare”, ma non c’è nulla di cui preoccuparsi…
Siamo nelle mani di pazzi pericolosi che si vedono sfuggire l’egemonia mondiale dalle mani e menano botte a casaccio…
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Andres Daniel Albiero
Proprio così ,bestie inumane ferite con la psicosi dello sterminio.Esseri pericolosi…
Sara
Io ci vedo la stessa logica della strategia della tensione. Stanno aumentando l’allarme per ottenere la “giustificazione” di attaccare per primi. Gli Storm Shadow erano già stati usati in Crimea l’ anno scorso. C’è la volontà di gonfiare la questione per avere il casus belli. È una tattica psicologica di vecchia data. Io penso che Putin non sia un cretino e non abbia alcun interesse a fare precipitare la situazione. L’ interesse ce l’ ha l’ occidente e Zelenskij…