“La guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi”, aveva a dire con molte ragioni von Clausewitz, e quello andato in scena dal 19 al 21 novembre non è che, parafrasando il generale prussiano, quel che ci aspetta quando dalle parole si passa ai fatti, o ai missili, come nella fattispecie.
19 novembre: il lancio degli Atacms made in Usa
In breve e per ordine cronologico, martedì 19 novembre 6 missili Atacms partivano dal territorio ucraino per finire la loro corsa nei cieli della Federazione russa, intercettati dalla contraerea del Cremlino mentre si dirigevano sulla regione di Bryansk – sulla direttrice per Mosca, la stessa dove fu intercettato via terra un commando composto da mercenari occidentali che tentavano di infiltrare l’area.
Di fabbricazione statunitense, gli Atacms sono dei missili balistici tattici di fabbricazione statunitense con un raggio d’azione di massimo 300 km, che per capirci è poco più della metà della distanza che separa il punto più avanzato a oriente ancora in mano agli ucraini e dalla capitale russa.
Come tutta la tecnologia militare avanzata fornita dalla Nato, questa può essere manovrata solo da personale specializzato, nella fattispecie da appartenenti alle forze armate statunitensi. Il lancio degli Atacms sul territorio russo (su quello formalmente ucraino l’impiego è già stato ampiamente documentato) era stato “concesso” dal presidente uscente Biden poche ore prima.
20 novembre: il lancio degli Storm Shadow made in Europa
Il giorno dopo, mercoledì 20, alcuni missili da crociera Storm Shadow/Scalp forniti da Londra venivano lanciati da Kiev in direzione di un centro di comando e controllo nella regione russa di Kursk.
In dotazione tra gli altri all’esercito britannico, francese e italiano (forniti a Kiev anche da noi, ma con il divieto di utilizzo diretto sul suolo russo), gli Storm Shadow hanno una gittata massima di circa 550km, ossia la distanza che separa il confine della regione di Sumy con la Piazza Rossa.
Se da Downing street non arrivava nessuna dichiarazione in merito, fonti militari riportano che l’attacco era stato portato da velivoli Sukhoi Su-24M dell’aeronautica militare ucraina. Come scrive Analisi Difesa, anche gli Storm Shadow vengono gestiti in Ucraina da personale occidentale (stavolta britannico) e vengono lanciati col supporto dei satelliti militari statunitensi.
A seguito di questi attacchi, il portavoce del Cremlino Dimitry Peskov aveva dichiarato che “gli Stati Uniti sono pienamente impegnati a continuare la guerra in Ucraina e stanno facendo tutto il possibile per ottenere questo risultato nel tempo rimanente”.
21 novembre: la risposta russa con l’ipersonico a medio raggio Oreshnik
Senza farsi attendere troppo, la risposta russa alle provocazioni occidentali è arrivata nella notte di giovedì 21, quando Mosca ha lanciato nell’area industriale di Dnipro, tra gli altri, 7 missili da crociera KH-101, un missile ipersonico Kinzhal e un missile balistico ipersonico a medio raggio (Irbm) Oreshnik.
È stato lo stesso Putin a dichiarare l’utilizzo dell’Oreshnik, attestato di una gittata di circa 5.500km, il cui schieramento è vietato in Europa dall’Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty (Inf), siglato nel 1987 e da cui Trump ritirò gli Stati Uniti nel 2018.
Video che circolano sui canali Telegram mostrano sei ordigni impattare verticalmente uno dopo l’altro al suolo a grande velocità, forse dopo essersi separati dal missile, che secondo alcuni osservatori potrebbe quindi portare testate multiple.
La Nato ci porta alla guerra
Putin ha affermato che il permesso fornito a Kiev di bombardare direttamente il territorio russo con missili occidentali porta il conflitto su una scala globale.
“Ci consideriamo autorizzati a usare le nostre armi contro le strutture militari di quei Paesi che permettono l’impiego delle loro armi contro le nostre strutture” ha detto in diretta tv il presidente russo.
“In caso di un’escalation di azioni aggressive, risponderemo in modo deciso e simmetrico. La Russia è pronta a risolvere pacificamente tutti i problemi, ma è pronta anche a qualsiasi sviluppo degli eventi”.
La Nato ha immediatamente convocato una riunione d’emergenza dei suoi membri il prossimo 26 novembre dedicata all’utilizzo russo dell’Oreshnik, mentre il rappresentante del ministero degli Esteri cinese Lin Jian ha sottolineato l’importanza di mantenere la calma da parte di tutte le parti coinvolte.
L’impunità occidentale nelle continue provocazioni ai danni della Russia sta impennando gli “indici di escalation” conosciuti fino a oggi nella guerra in Ucraina.
Le “stecche” scambiate tra Nato e Federazione russa surriscaldano un teatro globale già bollente per il genocidio in corso a Gaza e la guerra sull’intero fronte mediorientale scatenata da Israele.
L’imperialismo occidentale e la miopia delle classi politiche europee espongono i popoli, quelli che tante volte hanno riempito le piazze contro la guerra, al pericolo del conflitto bellico.
Cinture ben allacciate e una buona polizza allora non basteranno a limitare i danni.
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