L’abisso che si è aperto davanti agli Stati Uniti (ossia al principale imperialismo, quello occidentale) è di dimensioni tali da annebbiare la mente. Deve essere per questo che nell’ultimo decennio i gruppi dominanti quel paese hanno selezionato personaggi davvero improbabili come “presidenti”.
Il declino di Biden è stato lento ma inarrestabile. Ha aperto almeno due guerre e se ne va senza uno straccio di soluzione. Anzi, dopo esser stato escluso dalla corsa e aver visto perdere la sua vice alle elezioni, non ha trovato di meglio che autorizzare l‘uso contro la Russia di quei missili Usa che possono funzionare solo se guidati da tecnici e personale Nato. Ossia dando fuoco alle polveri che portano al conflitto nucleare.
Non contento, si è preso anche lo sfizio di ”graziare” il figlio Hunter – che era riuscito a sommare tossicodipendenza, possesso illegale di armi e affari sporchi in Ucraina – usando toni e argomenti berlusconian-salviniani: “era sottoposto a una persecuzione giudiziaria per danneggiare me”.
E lo ha fatto negli stessi giorni in cui il suo successore, Trump, sta nominando per la sua squadra di governo una pletora di servi e di parenti stretti (ultimo Charles Kushner – fondatore di un impero immobiliare e padre di Jared Kushner, il marito della figlia Ivanka, a sua volta consigliere per il Medio Oriente nella scorsa presidenza – designato ambasciatore a Parigi).
Con il “perdono” al figlio scapestrato Biden ha insomma tolto un’arma ai critici del successore, gettando nella disperazione i tanti “Rambini” incaricati di decantare la grandezza “etica” della democrazia americana.
Bisogna però dire che The Donald promette di far fare piuttosto velocemente agli Usa quel fatale “balzo in avanti”… nel precipizio, insomma.
L’intenzione sarebbe quella della campagna ideologica creata intorno a sé (“make America great again”), ma gli strumenti di cui dispone e soprattutto la “visione” che dovrebbe orientarli son piuttosto datati: armi, minacce e dollaro.
Non bisogna sottovalutare la pazzia militarista degli States (mai un anno senza guerre da tempo immemore…), ma è pur vero che Trump è arrivato di nuovo alla Casa Bianca anche promettendo “pace” e meno soldi buttati in guerre e aiuti per alleati sfigati (Israele a parte).
Promette però di essere una follia anche la sua – per così dire – politica economica internazionale.
Il post pubblicato sul suo social personale, ieri, è tragicomico quanto tonitruante:
“L’idea che i Paesi BRICS stiano cercando di allontanarsi dal dollaro mentre noi restiamo a guardare è FINITA. Chiediamo a questi Paesi un impegno sul fatto che non creeranno una nuova valuta BRICS, né sosterranno alcuna altra valuta per sostituire il potente dollaro statunitense, altrimenti dovranno affrontare tariffe del 100% e dovranno aspettarsi di dire addio alle vendite nella meravigliosa economia statunitense“.
La convinzione che supporta questo pseudo ragionamento è che “l’America” possa “ordinare” cosa fare a Cina-Russia-Brasile-India-Sudafrica-Emirati Arabi-Iran-Egitto-Etiopia-Arabia Saudita (con Turchia, , Cuba e tanti altri ormai sulla porta).
Paesi che nell’insieme possono vantare un Pil molto superiore a quello Usa, interessi comuni per mercati aperti e senza dazi, una popolazione di diversi miliardi di persone e – almeno in tre – arsenali nucleari e missili per usarli. Non proprio dei nanerottoli senza strumenti…
La minaccia di imporre dazi “del 100%”, usando come leva il fatto di essere il più grande Paese importatore, nei confronti di chi non vuole più usare il dollaro e quindi sta studiando una “unità di conto” e sistemi di pagamento alternativi allo Swift, semplicemente non può funzionare.
La capacità Usa di essere il miglior compratore al mondo si regge infatti su basi ormai fragili: a) un debito siderale, sia pubblico che privato; b) un dollaro il cui reale valore è vago, ma regge sulla forza militare e sul fatto di essere l’unica moneta di scambio internazionale (stampabile a volontà per obiettivi unilaterali); c) il sistema Swift, che consente agli Usa di guadagnare su ogni transazione finanziaria, controllando al contempo compratori e venditori, determinando così anche l’effettività delle “sanzioni” decise dalla Casa Bianca.
Per il resto, esporta quasi soltanto prodotti agricoli e idrocarburi tirati fuori con il fracking (le riserve liquide sono esaurite o in via di), nonché armamenti per alleati estremamente fedeli.
In queste condizioni imporre tassi alle importazioni praticamente da tutto il mondo (la minaccia riguarda anche Canada, Messico, Unione Europea) significa, in teoria ma anche in pratica (in qualche misura) delle merci indispensabili per il funzionamento dell’economia Usa e per la sopravvivenza della propria popolazione (stipendi bassi e povertà assoluta sono in crescita anche da quelle parti…).
Non pago, ieri ha annunciato anche che impedirà l’acquisizione di Us Steel da parte di Nippon Steel, così strepitando «Attraverso incentivi fiscali e tariffe, riporteremo l’acciaio americano alla grandezza e alla forza. Come presidente, bloccherò questo accordo». Pure i giapponesi non sono più “amici” di cui fidarsi…
Se l’idea è sostituire questa massa di merci con la “produzione autarchica”, beh, il problema diventa serio. Trenta e più anni di delocalizzazioni produttive hanno privato gli Usa – e in gran parte anche l’Europa – delle capacità necessarie a realizzare seriamente questa inversione.
Nota Emanuel Todd, nel suo La sconfitta dell’Occidente, che per esempio “le persone con un’istruzione superiore che [in Russia, ndr] scelgono di studiare Ingegneria intorno al 2020 erano il 23,4% rispetto al 7,2% negli Stati Uniti”. Ma anche in numeri assoluti (gli Usa hanno una popolazione più che doppia) ci sono meno ingegneri americani che russi.
E se mancano le persone con il giusto know how significa che sono scomparse anche istituzioni, stabilimenti, e quant’altro fa una civiltà avanzata nel comparto industriale. E non si ricostruiscono in quattro anni o quattro mesi (quanto ci vuole e formare un ingegnere con esperienza?).
Senza calcolare che una politica dei dazi è possibile anche da parte dei paesi-target dell’offensiva trumpiana, con grossi rischi di rilanciare un’inflazione incontrollabile (specie se, come si vede dalle nomine che sta facendo, il suo obiettivo è demolire l’amministrazione dello Stato federale, ad ogni livello).
L’ipotesi più probabile, attacchi militare a parte (o persino compresi) è che i paesi Brics+ più i candidati sulla porta accelerino le procedure per arrivare a creare una “unità di conto” (non una “moneta unica”, vista l’esperienza catastrofica dell’euro per la crescita europea) e soprattutto un sistema di pagamenti alternativo.
Senza dollaro e quindi senza “percentuali” da grattare su ogni transazione denominata in quella moneta.
Questo, quando avverrà, sarà un passaggio epocale davvero di grandi dimensioni, quasi inconcepibile per chi è nato dopo la Seconda guerra mondiale.
L’America ridisegnata da Trump rischia di arrivare ancora prima a questo appuntamento con la Storia. Senza difese reali, sul piano economico, ma con un arsenale nucleare che potrebbe diventare l’ultima arma dell’imbecille.
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Andrea vannini
perché esiste un imperialismo che non sia u-ccidentale?
Enea Bontempi
“Un arsenale nucleare che potrebbe diventare l’ultima arma dell’imbecille”: in effetti, l’intelligenza non abita in America, ci ha fatto solo un giro, molti, ma molti anni fa.