Si chiama «Wefaq» ed è l’iniziativa che esponenti della società civile, sindacalisti, attivisti di tutta la Cisgiordania hanno lanciato per tentare di porre fine a quella che chiamano «la crisi di Jenin» ristabilire l’unità nazionale palestinese.
Pochi però credono che riusciranno a convincere i comandi delle forze di sicurezza dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) di Abu Mazen a cessare l’operazione «Proteggere la patria» lanciata all’inizio del mese «per riportare legge e ordine ed eliminare il caos a Jenin e nel suo campo profughi». Operazione con centinaia di agenti che ha nel mirino in particolare la Brigata Jenin, braccio armato locale del Jihad islami. «I poliziotti (dell’Anp) non esitano ad aprire il fuoco e lanciano gas lacrimogeni.
Un comandante della Brigata Jenin è stato ucciso e tra i feriti c’è un bambino, colpito da un proiettile alla testa, per fortuna solo di striscio» dice Malek Jabriyeh, un reporter. Altri parlano anche di due civili uccisi. Negli ultimi giorni, i combattenti delle varie fazioni di Jenin hanno cominciato a rispondere al fuoco uccidendo tre poliziotti, l’ultimo qualche ora fa.
«Questa operazione dell’Anp di fatto è il proseguimento dell’offensiva lanciata da Israele la scorsa estate contro Jenin («Campi estivi, ndr), l’unica differenza è che la polizia non possiede, quindi non può usare i bulldozer come avevano fatto gli israeliani, per il resto è lo stesso», aggiunge Malek Jabriyeh.
La popolazione del campo profughi di Jenin – uno dei simboli della resistenza palestinese all’occupazione e teatro di incursioni distruttive dell’esercito dello Stato ebraico che hanno ucciso decine di combattenti e numerosi civili negli ultimi anni – continua le proteste contro l’Anp con manifestazioni non solo di giovani.
Da giorni viene attuato uno sciopero generale, revocato occasionalmente per permettere alla popolazione di rifornirsi di cibo. I poliziotti agli ordini di Abu Mazen però non si ritirano, restano in assetto antisommossa e a bordo di veicoli blindati.
«Hanno allestito posti di blocco attorno alla città e all’esterno del campo profughi e lanciano raid alla ricerca dei nostri combattenti. Si comportano come jawasis (collaborazionisti, ndr)», protesta Tareq del quartiere di Jabriyat, uno dei più presi di mira dall’esercito israeliano e ora dalle forze dell’Anp.
Con la ‘Brigata Jenin’ è schierata la maggior parte di Jenin – solo pochi abitanti difendono l’azione dell’Anp perché, affermano, «la militanza armata attira le rappresaglie israeliane» -, e danno il loro appoggio anche altre formazioni palestinesi come Hamas e Fronte popolare.
Anwar Rajab, portavoce delle forze di sicurezza, dice che quella in corso è una operazione contro «fuorilegge» volta a riportare «ordine e sicurezza» a Jenin. Accusa, inoltre, la Brigata Jenin di attuare «una agenda iraniana e di non fare l’interesse nazionale palestinese».
Per vedere i risultati sul terreno, a Jenin è andato lo stesso primo ministro dell’Anp, Mohammad Mustafa. «Dobbiamo ripristinare la sicurezza se vogliamo percorrere la strada verso la creazione di uno Stato indipendente», ha proclamato Mustafa.
Per l’analista Hani al Masri, la tempistica dell’operazione segnala che l’Anp «vuole dimostrare di avere il controllo della situazione mentre cerca di mantenere il suo ruolo in Cisgiordania, preparandosi nel contempo a un possibile ruolo futuro a Gaza».
Altri analisti sottolineano come l’attacco sia seguito al cessate il fuoco in Libano, alla caduta di Bashar Assad in Siria e all’elezione di Donald Trump negli Stati uniti.
«L’Anp, che soffre da anni di una profonda crisi di consenso interno, guarda al ritorno di Trump alla Casa Bianca e intende smentire l’accusa israeliana di non avere il controllo delle aree della Cisgiordania sotto il suo controllo», spiega Ghassan al Khatib, docente di scienze politiche all’Università di Bir Zeit.
Ad alimentare l’accusa di tanti palestinesi ad Abu Mazen di aver ristabilito pienamente la cooperazione con i servizi segreti di Tel Aviv nonostante la distruzione di Gaza da parte di Israele e l’uccisione oltre 45mila palestinesi, è stata anche la notizia che l’esercito occupante – su pressione dell’Amministrazione Biden – aumenterà la collaborazione con le forze di sicurezza palestinesi alle quali potrebbe trasferire equipaggiamento militare.
Un passo che ha provocato lo «sdegno» della parte più estrema del governo di destra di Benyamin Netanyahu che considera l’Anp una «organizzazione terroristica».
Da parte loro le formazioni militanti palestinesi avvertono che non si lasceranno disarmare. «Gli attacchi (dell’Anp) al campo di Jenin non hanno giustificazione, poiché lo stiamo difendendo dal nemico israeliano», dice il vicecomandante del Jihad islami, Mohammed al Hindi. Un leader di Hamas, Mahmoud Mardawi, ripete che «le operazioni di resistenza in Cisgiordania non si fermeranno».
* da Pagine Esteri
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