Siamo agli sgoccioli del vecchio mondo formatosi all’inizio degli anni ‘90, con la caduta del Muro e dell’Unione Sovietica. Senza pretese di leggere nel futuro, basta rilevare i momenti importanti di un presente che mai come in questi anni diventa lontano passato in pochi giorni.
Partiamo dalle cose semplici e vediamo come si complicano in un attimo.
In Canada si è dimesso il premier Justin Trudeau, per motivi ignoti descritto come un “campione della sinistra”. Da quelle parti la cosa più di sinistra fatta nella storia è l’accoglienza benevola riservata ai coscritti statunitensi che disertavano la guerra in Vietnam. Quando insomma il buon Justin doveva ancora nascere…
Un evento “interno” ad un paese che fa parte del G7, sebbene in ultima posizione per rilievo economico e dunque anche politico, un membro autorevole della Nato, ecc.
Dimissioni per problemi interni ma anche internazionali, visto che non si trova esattamente al centro delle rotte commerciali e la sua economia non esisterebbe senza la strettissima relazione storica con gli Stati Uniti. E dal primo minuto dopo la rielezione Donald Trump ha preso a minacciare dazi commerciali anche contro il vicino del Nord, oltre che verso il Messico, la Cina, l’Unione Europea…
Insomma contro chiunque abbia un surplus commerciale con gli Usa. Praticamente il mondo intero.
Per il Canada, come si diceva, la minaccia è però esistenziale. Dunque il possibile nuovo quadro ha velocemente terremotato una classe politica marginale e subordinata, obbligando Trudeau ad uscire di scena.
Trump ha subito raddoppiato la dose, nel corso della fluviale conferenza stampa di ieri, suggerendo ad Ottawa di ridursi a 51° stato degli Usa, mettendo così fine alla sua indipendenza anche formale. Una “semplificazione” in nome dell'”efficienza”…
A questo punto, come si diceva un tempo, “il problema è un altro”: quale mondo vede oggi l’America trumpiana?
La successione di minacce sparate in mezz’ora è tale da descrivere un terremoto globale o il delirio di un pazzo. Che però, sfortunatamente, è arrivato alla presidenza della prima superpotenza mondiale e dunque rappresenta in qualche modo il sentiment di una superpotenza in clamorosa crisi di egemonia. Insomma, va preso dannatamente sul serio.
Per esempio aveva suscitato la solita ilarità da cretini la sua proposta di “comprare la Groenlandia”, gigantesca isola ghiacciata a nord delle coste canadesi, ricca di una grande varietà di risorse minerarie tra cui oro, zinco, piombo, rame, nichel e cobalto, ma soprattutto enormi quantità di terre rare e di uranio.
Senza le solite schermature “umanitarie”, la pretesa trumpiana è stata diretta: “quella roba è interesse nazionale Usa”. E quindi ce la prendiamo, che ci vuole?
Primo rifiuto sdegnoso del governatore locale (“non siamo in vendita”), anche perché l’isola è da sempre parte della Danimarca (che non l’ha ovviamente presa bene), paese europeo e membro sia della UE che della Nato (Anders Rasmussen ne è stato addirittura segretario generale, prima del norvegese Stoltenberg).
Rifiuto poi rapidamente trasformato in “richiesta di indipendenza” rispetto a Copenhagen, anche perché in men che non si dica un figlio di Trump ha cominciato a girare per la Groenlandia, forse per fare una perizia sul futuro “prezzo giusto”.
Ma in fondo si potrebbe anche prendersela gratis, visto che localmente è attivo un movimento indipendentista ben radicato, e la maggioranza dei cittadini è favorevole alla separazione da Copenaghen. La Groenlandia dovrà tenere le elezioni parlamentari prima del 6 aprile, e quindi si potrebbe persino dare una veste legale al “passaggio di proprietà” a titolo gratuito.
Fine dell’ilarità generale, inizio delle preoccupazioni… Tanto più che “The Donald” ha asserito di “non escludere l’uso dell’esercito” nel caso ci siamo problemi nell’assecondarne le intenzioni di “acquisto”.
Un rapido sguardo alle mappe azimutali del polo nord spiega qualcosina di più. Le acque del Mar Glaciale Artico risultano divise, in base ai trattati internazionali, tra tutti i paesi che vi si affacciano. agli Stati Unit, attualmente, spetta solo quell’angolino blu in corrispondenza dell’Alaska, stretto tra la Russia e il Canada (ma se venisse “annesso”…).
Con l’aumento della temperatura globale i ghiacci si vanno ritirando e sul fondo vengono scoperti giacimenti di gas, petrolio.
Anche a prescindere dalle risorse minerarie, per la stessa ragione climatica l’Artide si appresta a divenire il “cuore” del trasporto e della navigazione globali, e qualsiasi cambiamento significativo negli equilibri regionali potrebbe avere importantissime ricadute geopolitiche.
Il focus trumpiano si poi spostato su Panama, staterello centroamericano che ha la fortuna-sfortuna di ospitare il canale omonimo, cuore del traffico commerciale tra Atlantico e Pacifico. Nessuno se ne ricordava quasi più, perché è dai tempi di Noriega (militare golpista agli ordini di Washington, poi entrato in disgrazia, attaccato militarmente e finito in carcere negli Usa) che se ne parlava più, se non nei circuiti del turismo esotico.
L’obiettivo è in questo caso quello di monopolizzare il canale, in modo da combattere più agevolmente le guerre commerciali che i “nuovi Stati Uniti” intendono aprire col resto del mondo. Se ci dovessero essere ostacoli, anche qui, Trump ha asserito di “non escludere l’uso dell’esercito”. Il povero governo locale, comunque, si è sentito obbligato a ricordare che “la sovranità sul canale “non è negoziabile“.
“Le uniche mani che controllano il canale sono quelle panamensi e continueranno ad esserlo“, smentendo con ciò la menzogna Usa che “vede”soldati cinesi tra le varie chiuse del passaggio.
Si deve a questo punto notare che le intenzioni malevole dell’America che vuol tornare “great again” sono rivolte a paesi Nato e comunque nella cerchia stretta delle subordinazioni agli Usa. E implicano una cambiamento radicale delle relazioni interne all’Occidente, con “il padrone” che dismette la discutibile pretesa di incarnare un “eccezionalismo morale”, che concedeva indipendenza formale e contratti capestro, e squaderna brutalmente il proprio suprematismo fondato sulla forza e la disponibilità ad usarla.
Altro che il Trump “pacifista” della campagna elettorale…
L’unica continuità sbandierata con l’”America dell’establishment” è – senza sorprese – l’appoggio totale al genocidio israeliano contro i palestinesi (e chiunque altro capiti a tiro dell’Idf).
Ma lasciamo volentieri ai lettori la possibilità di definire in modo appropriato una minaccia come quella profferita da “The Donald” in proposito: “se non verranno rilasciati, entro il 20 gennaio, gli ostaggi israeliani in mano dal 7 ottobre del 2023, in Medio Oriente si scatenerà l’inferno“.
Vi alleghiamo la foto del campo profughi di Jabalya, a Gaza, per dare la misura dell’oggettiva difficoltà di fare “più inferno” di quel che c’è…
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa
Pasquale
L’inferno è nell’anima di tutta sta gente criminale. Stanno portando la barbarie ovunque. Condannano chi resiste alla guerra, ai genocidi e all’imperialismo per giustificare il proprio ‘terrorismo di stato’.
Giovanni
I “cazzoni” americani avrebbero dovuto toglierselo dalle scatole quattro anni fa e di modi ce ne sarebbero stati a iosa, come fecero con Al Capone…non hanno voluto? Non ne sono stati capaci? Una risposta dalla vostra redazione, grazie…
Redazione Contropiano
Forse gli amerikani sono quella roba lì…
Non si governa contro il popolo, dice la massima.