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La Bussola per la competitività europea “per vincere la corsa al vertice”

È arrivata la Bussola per la competitività della UE, una prima grande iniziativa di Bruxelles per cercare di seguire le indicazioni che aveva dato Mario Draghi nel rapporto redatto per la Commissione e presentato lo scorso settembre.

Più che un vero e proprio piano, si tratta di una “dottrina economica per i prossimi cinque anni“, come ha detto il vicepresidente esecutivo della Commissione per la Prosperità e la Strategia industriale, Stéphane Séjourné. Durante il secondo mandato von der Leyen verrà concretizzata con misure specifiche.

La politica tedesca ha dichiarato: “l’Europa ha tutto quel che serve per vincere la corsa al vertice. Ma allo stesso tempo deve superare le sue debolezze per riconquistare competitività“. Che tradotto, significa che nella frammentazione del mercato mondiale, la UE è indietro rispetto agli altri attori globali, ovvero USA e Cina.

Von der Leyen ha continuato: “la bussola per la competitività concreta le eccellenti raccomandazioni della relazione Draghi in una tabella di marcia. Ora abbiamo un piano. Abbiamo la volontà politica. Ci servono rapidità e unità. Il mondo non ci aspetterà“.

Che di nuovo, tradotto, significa che o la UE coglie questa finestra per fare un salto di qualità, o il progetto imperialistico europeo è fallito. Anche se molti potrebbero obiettare che è già così, viste le difficoltà del Vecchio Continente e l’incapacità della sua classe dirigente di immaginare una via alternativa al modello mercantilista in crisi.

In ogni caso, sono tre le aree su cui si indica di agire in maniera prioritaria: innovazione, decarbonizzazione e sicurezza. Come si legge nel comunicato della rappresentanza in Italia della UE, “la bussola definisce l’impostazione da seguire per ciascuna e presenta una selezione di misure faro per rispondervi“.

Per quanto riguarda l’innovazione, la Commissione lavorerà sulle gigafactories e l’applicazione dell’intelligenza artificiale, e proporrà “piani d’azione sui materiali avanzati, le tecnologie quantistiche, le biotecnologie, la robotica e le tecnologie spaziali“. Grande attenzione sarà riposta anche sulle start-up e sull’emergere di nuove imprese d’avanguardia.

Riguardo a questo, c’è forse l’elemento più interessante di quel che per ora è stato reso pubblico, ovvero la definizione di un 28° regime d’impresa, accanto ai 27 dei membri della UE. Questo sarà un regime pienamente comunitario, applicabile a tutte le società, così che le “imprese innovative potranno fruire di un unico complesso di norme ovunque investano e operino nel mercato unico“.

Un passo non indifferente nel saldarsi di una borghesia transnazionale europea, che guiderà le politiche e le prospettive di tutte le filiere facenti capo a Bruxelles. Che ovviamente deve comunque fare i conti con le debolezze ormai conclamate dell’industria continentale.

Il “patto per l’industria pulita” e il “piano d’azione per l’energia a prezzi accessibili” serviranno a rendere attraente per gli investimenti il mercato europeo, e a ridurre i costi dell’energia. Verranno anche implementati dei programmi specifici per “settori ad alta intensità energetica, come la siderurgia, la metallurgia e l’industria chimica, che costituiscono la colonna portante del sistema manifatturiero“.

Sempre per ridurre le dipendenze e diversificare le fonti di approvigionamento, la UE proporrà nuovi partenariati per accedere più facilmente a “materie prime, energia pulita, combustibili sostenibili per i trasporti e tecnologie pulite da tutto il mondo“. Bruxelles rivedrà anche le norme sugli appalti pubblici per “introdurvi una preferenza europea nei settori e tecnologie critici“: una sorta di “buy European“.

Accanto ai tre pilastri descritti, vi sono anche cinque “attivatori trasversali per la competitività“. Si tratta della semplificazione per le imprese, “per ridurre l’onere di rendicontazione – ha detto von der Leyen –: almeno il 25% per tutte le aziende e almeno il 35% per le PMI“, con un risparmio calcolato in 37,5 miliardi di euro.

Parliamo, tra gli altri, degli obblighi di rendicontazione sulla sostenibilità, inclusi quelli relativi a due diligence e tassonomia: insomma, ciò che rende “green” le attività imprenditoriali, almeno sulla carta. Per questo in molti hanno intravisto i segnali dell’ormai chiaro passo indietro sulla retorica della transizione sentita negli ultimi anni.

Tra gli “attivatori” si annoverano poi interventi per una maggiore integrazione del mercato unico e del mercato dei capitali, nonché del “capitale umano” (formazione, mobilità e attrazione di talenti più facile dentro la comunità europea). E infine uno “strumento di coordinamento per la competitività“.

Quest’ultimo, nel prossimo quadro finanziario pluriennale, verrà affiancato da un fondo per la competitività che sostituirà diversi strumenti finanziari oggi esistenti. Anche se nel concreto bisognerà capire cosa significa, probabilmente si parla di un’altra tappa del processo di centralizzazione del potere nelle mani di Bruxelles.

Da dove debbano arrivare i soldi per operazioni del genere rimane però in dubbio. La volontà è quella di mobilitare gli investimenti privati attraverso il volano di quelli pubblici, ma se seguiamo le indicazioni di Draghi si dovrebbero trovare almeno 700 miliardi di euro l’anno entro il 2030.

La Bussola ricorda che ci sono circa 300 miliardi di euro che finiscono fuori dai confini europei ogni anno, di cui molti attratti da maggiori opportunità di profitto al di là dell’Atlantico. E i rapporti tra Washington e Bruxelles sembrano destinati a infiammarsi, di certo non a trovare un punto d’incontro d’incontro per le esigenze dell’industria europea.

Molti di questi miliardi dovrebbero comunque finire nella Difesa Europea, per la quale si aspetta il Libro bianco promesso nei primi 100 giorni del suo mandato da von der Leyen. E dunque nel rilancio di un modello di guerra, non di sostegno ai lavoratori, che dovranno lottare per ribaltare questi indirizzi.

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