Non è troppo complicato capire quali “aggiustamenti” si stiano imponendo alla nuova strategia commerciale statunitense, meno semplice è prevedere dove andrà a cadere la mannaia che separa il business ad usual (la continuità quotidiana del funzionamento del “sistema”) dalla piena consapevolezza che qualcosa di importante si è rotto nel meccanismo.
Partiamo dalle notizie che appaiono più attendibili (la certezza è ormai un valore del lontano passato). Dopo aver dichiarato guerra al mondo imponendo dazi pari alla metà del disavanzo commerciale esistente con ogni singolo paese o isola lontana (comprese quelle abitate solo da pinguini…), Donald Trump ha innestato una marcia indietro di dimensioni colossali.
Prima ha proclamato la “momentanea esenzione dalle tariffe reciproche per smartphone, computer e altri dispositivi elettronici”, richiesta a sirene spiegate dalle principali multinazionali Usa (Apple in testa, Tesla in seconda posizione) che da quasi 30 anni hanno delocalizzato la produzione fisica in Cina o altrove.
Subito dopo ha prospettato un’analoga sospensione temporanea anche per le automobili, su cui pure era stato imposto preliminarmente un dazio del 25% teso – nelle intenzioni un po’ dementi – a riportare negli States stabilimenti produttivi trasferiti altrove. Il tutto compensato da minacce di ulteriori dazi su semiconduttori e tutta la supply chain tecnologica, oltre che su altri settori quali il farmaceutico.
Come si vede, siamo passati da una impostazione tariffaria “uguale per tutti” ad una “comparto per comparto”, ascoltando le lamentazioni delle multinazionali Usa che vedono compromesso il loro business.
Qui si coglie facilmente l’ottusità retrograda di una “politica imperiale” che ignora la realtà del mondo attuale, costruita proprio dal grande capitale statunitense in primo luogo, per cui la produzione è ormai parcellizzata lungo le “catene del valore” sparse in decine di paesi diversi ma centralizzate da gruppi industriali privati prevalentemente Usa, anche se sempre meno.
Non puoi insomma ragionare “per Stati” – imponendo sanzioni sui prodotti fabbricati in loco – in un ambito materialmente “globalizzato”. Se introduci una variabile politica come i dazi sui componenti che devono entrare nel prodotto finale mandi all’aria la possibilità per le aziende di completare il ciclo produttivo e vendere il prodotto. E quelle aziende sono spesso “le tue” (come “nazione”).
Possiamo parlare di smartphone, pc o automobili, o di quasi qualsiasi altra cosa: non c’è praticamente nulla – se non i prodotti alimentari “tipici” – che sia fabbricato mettendo insieme parti provenienti da un solo paese. Ogni dazio che metti (con l’intenzione di colpire “un paese”) in realtà è un mattone che ti dai sulla testa.
Una volta messe insieme tutte le telefonate preoccupate, o le facce storte dei suoi stessi ministri-miliardari, Trump non poteva far altro che aprire la lista delle “eccezioni” o delle “temporanee esenzioni”. Che in breve tempo, crediamo, diventeranno definitive perché – banalmente – non ci sono produttori alternativi made in Usa per certe merci.
Non volete credere a noi? E allora ascoltate IlSole24Ore, organo di Confindustria, che spiega perché “La manifattura Usa non tornerà grande”: “Il piano del tycoon, più che una strategia industriale, sembra la trama di una sitcom distopica: applicare dazi per far tornare a casa un’industria svanita da decenni.
Quando normalmente le tariffe si usano per proteggere ciò che ancora esiste, lui le impone per resuscitare qualcosa che ormai sta solo nei libri di storia”.
L’introduzione di dazi crescenti col passare delle ore, nei confronti della Cina che rispondeva simmetricamente, ha portato di fatto al semi-blocco dei porti cinesi, intasati di merci che non possono partire se non si sa se potranno arrivare sul mercato Usa e quanto potranno costare.
Il nazionalista scemo a questo punto direbbe “Bene! Finalmente gliela facciamo pagare…”. Peccato che le cose vadano in tutt’altro modo, e da decenni. “perché la maggior parte delle importazioni dalla Cina non sono microchip o componenti industriali, bensì prodotti finiti a basso costo: mobili, giochi, plasticherie varie. In parole povere: roba da scaffale. L’intera strategia di Walmart, il santuario del consumismo americano, si fonda su una raffinata gestione della supply chain con Pechino. Bloccare questi flussi significa, molto semplicemente, svuotare gli scaffali. E se ci mettiamo pure l’effetto inflattivo che ne consegue, ecco servita la tempesta perfetta per l’americano medio.
Dunque, nei prossimi venti giorni potremmo assistere a uno di questi due adorabili scenari: o i supermercati si svuoteranno come nel peggior incubo sovietico, o i prezzi schizzeranno verso l’alto. E il danno sarà sì per Trump, ma soprattutto per gli americani – quelli veri, quelli che non possono permettersi una bistecca da 40 dollari o un frigorifero connesso a internet.”
Due scenari che si possono forse evitare solo togliendo di fatto i nuovi dazi.
Ma non è neanche detto che basti, anche se le borse hanno immediatamente apprezzato la retromarcia. La Cina infatti ha sfodera una risposta alternativa che vien solo ora – a cose fatte – “scoperta” dai geniacci euro-atlantici imbolsiti dal capitalismo finanziario: il blocco alle esportazioni di sette “terre rare” fondamentali per le tecnologie di punta.
“A 10 giorni dal loro inserimento nella lista dei prodotti soggetti a restrizioni all’export, le spedizioni di samario, gadolinio, terbio, disprosio, lutezio, scandio, ittrio e dei magneti permanenti che incorporano alcuni di loro sono di fatto bloccate e nessuno osa fare previsioni sui tempi per ottenere una licenza per l’esportazione. Anche se bastassero poche settimane, gli stock disponibili al di fuori della Cina si ridurrebbero sensibilmente.”
A molti, quei nomi non dicono nulla ma, per esempio, il gadolinio è fondamentale per le macchine della risonanza magnetica. Altri elementi lo sono per i magneti dei motori elettrici, peraltro prodotti al 90% dalla stessa Cina.
Rompere un “sistema” sembra facile, se sei un deficiente. Ma se provi a farlo davvero – senza essere un rivoluzionario ma solo un fottuto miliardario reazionario – ti cade sulla testa.
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Luca
Al punto: “…l’intera strategia di Walmart…” bisogna capire i bassi prezzi delle “cineserie” sono forse il più efficace mezzo per il controllo dell’antagonismo sociale, ovvero della lotta di classe. Qualcosa bisogna pur dare alla cameriera che vive di mance, altrimenti questa si potrebbe anche incazzare. Le diamo molte cose usa-e-getta a basso prezzo, ma non possono essere all-american-made., almeno da 50 anni.,costavano troppo 50 anni fa, figurati adesso..Quindi il problema si riduce come sempre alla lotta di classe nella fase del capitale che chiamiamo imperialismo. saluti comunisti
Nuccio Viglietti
A prescindere da dichiarazioni e mezzi… chiunque sano di mente dovrebbe tifare Trump pure se sta antipatico…. dazi significano innanzitutto…. morte di globalismo!…!!…https://ilgattomattoquotidiano.wordpress.com/
Giuseppe
Qualche produzione dovrà pur tornare , sicuramente quelle a maggiore valore.
Poi penso sarebbe corretto che quando acquistiamo ‘a banco ‘ qualsiasi prodotto debba essere accompagnato da una certificazione di no sfruttamento, e livello di inquinamento,si potrebbe lavorare su questo fronte per una concorrenza leale fra paesi.
Redazione Contropiano
Queste cose si contrattano, mettendo in piedi anche strutture di controllo. Con i dazi, invece…
Vivilo
E solo un narcisista votato dal suo popolo che probabilmente si merita quello che accadrà. Noi saremo spettatori che anche non volendo dovremo subire le conseguenze….ma reagiremo
Mara
Trump mi sembra il cantore di una canzone di Iannacci : mette i dazi per vedere l’effetto che fa. e vedere i capi di stato andare da lui per baciargli il fondo schiena. L’ha anche detto: : in fondo lui è il più forte e se le può permettere certe mattane.
La prima della serie a prestarsi a questo rito è Meloni.