Il 13 agosto 2025, Fidel Castro avrebbe compiuto 99 anni. Non è una data qualunque. È il portale solenne che annuncia il centenario di un uomo che ha ridefinito la storia di Cuba e scosso le fondamenta politiche dell’America Latina.
Iniziano da questo momento i preparativi per commemorare i 100 anni dalla sua nascita, un esercizio non solo di memoria, ma di riflessione sull’attualità di un’epica rivoluzionaria che si proclamò erede diretta di José Martí e si forgiò nel fuoco del Moncada e nella tenacia guerrigliera della Sierra Maestra.
Il filo rosso e nero: da Martí a Fidel
La Rivoluzione Cubana, come Fidel non si stancò mai di ricordare, non emerse spontaneamente nel 1959. Fu il culmine di un lungo cammino di lotte anticoloniali e antiimperialiste che ebbe in José Martí il suo faro intellettuale e morale. Martí, l’Apóstol, l’organizzatore della “Guerra Necesaria” contro la Spagna, avvertì del pericolo dell’espansionismo statunitense: “Ho vissuto nel mostro e ne conosco le viscere”.
Fidel fece di quell’avvertimento un programma politico. Non fu un caso che nel 1995, commemorando il centenario dello sbarco di Martí a Playitas de Cajobabo, Fidel ripercorresse quei stessi mangrovie di Guantánamo. Lì, rievocò la “grande felicità” dell’Eroe Nazionale nel tornare a calpestare la sua terra per lottare, un sentimento che lui stesso provò al comando del Granma. Questa connessione trascendeva il simbolico: si materializzò in una rivoluzione che fece propria la predicazione martiana di giustizia sociale e sovranità.
Il Moncada: la sconfitta che fu seme
Il 26 luglio 1953 sembrò una sanguinosa disfatta. Un gruppo di 135 giovani, per lo più del Partito Ortodosso, guidati da un avvocato 26enne di nome Fidel Castro, assaltò la Caserma Moncada a Santiago de Cuba.
Il piano era audace: prendere la seconda fortezza militare del paese, armare il popolo e chiamare all’insurrezione contro Batista. Ma tutto andò storto.
La carovana di auto si disorganizzò, l’elemento sorpresa svanì, e i soldati, allertati, respinsero l’attacco. Il bilancio fu tragico: 61 ribelli uccisi, molti giustiziati extragiudizialmente dopo la cattura.
Eppure, in quel fallimento apparente risiedeva il germe di tutto ciò che sarebbe venuto. Fidel, incarcerato, trasformò la sua difesa in un manifesto: “La Storia mi Assolverà”. Non era solo un arringa legale; era il programma della futura Rivoluzione: riforma agraria, istruzione universale, sovranità nazionale.
L’assalto al Moncada, nonostante l’esito tattico disastroso, divenne l’atto fondativo del Movimento 26 Luglio (M-26-7) e il simbolo di una generazione disposta a morire per cambiare Cuba. La data stessa, il “26 Luglio”, rimase impressa nell’identità rivoluzionaria continentale.
Dalla Sierra al Trionfo: la forgiatura di un mito
L’amnistia del 1955 portò Fidel in esilio in Messico. Lì riorganizzò il Movimento, addestrò i suoi uomini (incluso un giovane medico argentino, Ernesto Guevara), e il 2 dicembre 1956 sbarcò dal Granma a Las Coloradas. La realtà fu, ancora una volta, più crudele del piano: imboscati dall’esercito di Batista, gli 82 espedizionari furono decimati. Solo 12 uomini, con Fidel e Raúl in testa, riuscirono a riorganizzarsi nelle impenetrabili montagne della Sierra Maestra.
Fu in quella selva impervia che la Rivoluzione divenne invincibile. La Sierra non fu solo un rifugio militare; fu una scuola politica e un modello di giustizia parallela. Fidel istituì radio ribelli, promulgò leggi agrarie, aprì scuole e ospedali per i contadini.
Il suo carisma e la strategia di guerriglia, uniti a un’abile politica di alleanze e al crescente sostegno popolare, minarono la dittatura. Mentre il Che e Camilo Cienfuegos estendevano la lotta ad altri fronti, uno sciopero generale nel gennaio 1959 decretò la fuga di Batista. Il 1° gennaio 1959, le truppe del M-26-7 entrarono trionfanti a Santiago e L’Avana. La Rivoluzione aveva vinto.
Zelaya: la voce dell’America Latina su Fidel
La rilevanza latinoamericana di Fidel Castro si riflette vividamente nelle parole dell’ex presidente honduregno Manuel Zelaya. In una lettera commovente, il leader cubano descrisse la sua impressione sull’honduregno dopo un incontro personale:
“È senza dubbio un uomo buono, con una forte dose di tradizione e un’intelligenza straordinaria. La sua voce alla tribuna è un tuono… Zelaya è un uomo che soffre profondamente gli abusi dell’impero… Attraverso il suo pensiero si poteva apprezzare la sua profonda avversione al sistema economico degli Stati Uniti”.
Zelaya, a sua volta, rivelò l’impatto trasformatore del suo primo incontro con la Cuba rivoluzionaria:
“Quando viaggiai a Cuba la prima volta, appena iniziato il mio mandato, mi trattarono come il peggior nemico. Non mi perdonavano di aver chiesto scusa a Cuba per il fatto che l’Honduras fosse stato un paese di addestramento per gli invasori. Il governo degli Stati Uniti riteneva che io dovessi essere distrutto per quel comportamento”.
Questa testimonianza sottolinea il carattere continentale dell’eredità di Fidel: un simbolo di resistenza antiimperialista che ispirò e protesse leader progressisti in un continente storicamente dominato da Washington.
Verso il Centenario: Memoria, Eredità e Futuro
Con l’avvio delle commemorazioni per il centenario, Cuba e i suoi alleati non ricordano solo il guerrigliero vittorioso, ma lo stratega che nazionalizzò la terra e lo zucchero, sradicò l’analfabetismo e sfidò il blocco più lungo della storia moderna. Come sottolineato dall’UNICEF, Cuba è l’unico paese in America Latina senza malnutrizione infantile, un traguardo che porta il segno della sua ossessione per lo sviluppo sociale.
A Guantánamo, la provincia più orientale —quella che Fidel chiamò “la prima trincea antiimperialista d’America”—, la sua eredità vive in ogni scuola e ospedale costruiti dopo il 1959. Come testimonia un abitante: “Fidel si identificò con gli umili, gli studenti, i lavoratori indifesi… di una regione dimenticata da governi servi delle élite statunitensi”.
Oggi, 99° anniversario della sua nascita, non è solo un giorno per il tributo. È il primo passo verso una riflessione collettiva: come sarà giudicata nel XXI secolo l’opera dell’uomo che incarnò, come pochi, il sogno di Martí di una Cuba “con tutti e per il bene di tutti”?
Il centenario che si avvicina sarà senza dubbio lo scenario di quel dibattito. Ma una cosa è certa: il Moncada, la Sierra e il trionfo del 1° gennaio rimangono coordinate indispensabili per capire la storia dell’America Latina. E in esse, il nome di Fidel Castro resta scolpito a fuoco.
* da Resumen LatinoAmericano
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