Messi da parte per manifesta impraticabilità gli slogan sempliciotti ricalcati su princìpi ideali, validi però soltanto per “quelli che stanno con noi” (esclusi quindi i palestinesi, i curdi, ecc) – “non si cambiano i confini con la forza”, “sarà solo l’Ucraina a decidere se aderire alla Nato”, ecc – è il momento del tormentone di riserva, probabilmente l’ultimo.
Recita: “garanzie di sicurezza per Kiev”. Il che sarebbe in astratto – dimenticando la storia degli ultimi 30 anni e le responsabilità congiunte dell'”Occidente collettivo” – persino comprensibile e giusto.
Ma se si va nel concreto, nei progetti o nei “piani” di chi è contrario a qualsiasi processo di pace che non preveda una anacronistica “sconfitta russa”, significa tutt’altro: “stivali occidentali sul terreno”, direttamente in Ucraina, al primo momento utile. Ossia non appena ci sarà un “cessate il fuoco”, che infatti è stata l’ultima richiesta europea a venir cassata dallo stesso Donald Trump, anche questa per manifesta mancanza di realismo.
Dopo il vertice di Washington, però, anche questo tormentone sta andando in crisi. In primo luogo per il brutale fatto – esplicitato dall’intero vertice statunitense – che gli Usa non parteciperebbero a nessuna spedizione. Ma soprattutto per la molto più brutale constatazione che Mosca prende questa ipotesi per una escalation diretta del conflitto, non certo per un elemento della “trattativa di pace”.
Anche in questo caso il realismo suggerisce che, in effetti, non sarebbe proprio una mossa distensiva…
Ad affossare definitivamente l’idea potrebbe arrivare la proposta di affidare una “forza di interdizione” tra il nuovo confine russo-ucraino (corrispondente grosso modo alla linea di cessate il fuoco, quando verrà concordato) e ciò che resterebbe del territorio controllato dalla junta di Kiev ad un mix di soldati messi a disposizione di paesi davvero neutrali (si fanno nomi importanti, come Cina, India e Turchia, non solo staterelli periferici i cui soldati vengono tranquillamente bombardati – ad esempio – da Israele sul confine con il Libano).
Ma per ora il tormentone continua a risuonare, anche se la sua credibilità sta precipitando persino nel campo fedelmente euro-atlantico. Un articolo particolarmente chiaro pubblicato dalla testata POLITICO (fondata da ex giornalisti del Washington Post anche con il contributo finanziario dell’agenzia UsAid, poi acquistato dall’editore tedesco Axel Springer, che di certo non passa per “putiniano”) mette in luce l’inconsistenza pratica dell’idea “stivali sul terreno”.
Tra i tanti paesi europei, chi ce li mette? Quanti? Chi se lo può permettere, sia economicamente che politicamente che operativamente?
Risposta sconsolata: nessuno, rivela POLITICO.
“La soluzione più ovvia — e quella che Kiev vuole veramente — è consentire all’Ucraina di entrare nella NATO, dove sarebbe protetta dal patto di difesa comune dell’Articolo 5 dell’Alleanza. Ma gli Stati Uniti (appoggiati silenziosamente da alcuni paesi europei) lo hanno escluso.”
Intanto perché questo famoso articolo non prevede affatto nessun “automatismo” che obblighi i membri della Nato ad intervenire militarmente contro la Russia, nel caso volesse in futuro riprodurre un attacco all’Ucraina. Quel testo recita infatti:
“Le parti convengono che un attacco armato contro una o più di esse in Europa o nell’America settentrionale sarà considerato come un attacco diretto contro tutte le parti, e di conseguenza convengono che se un tale attacco si producesse, ciascuna di esse, nell’esercizio del diritto di legittima difesa, individuale o collettiva, riconosciuto dall’art. 51 dello Statuto delle Nazioni Unite, assisterà la parte o le parti così attaccate intraprendendo immediatamente, individualmente e di concerto con le altre parti, l’azione che giudicherà necessaria, ivi compreso l’uso della forza armata, per ristabilire e mantenere la sicurezza nella regione dell’Atlantico settentrionale.“
Nessun obbligo ad entrare in guerra, ogni decisione su come attivarsi lasciata ai singoli paesi, “piani congiunti” possibili ma non vincolanti per tutti… Sembra il testo della “coalizione dei volenterosi”, più o meno.
Ma la questione “legale” non è ovviamente la più importante (ormai nessuno si cura più delle forme legali, giusto?). Gli ostacoli sono tutti pratici.
“Nonostante si parli di ‘truppe di terra’ – scrive POLITICO – la forma precisa delle garanzie di sicurezza per l’Ucraina rimane indefinita, e questa mancanza di chiarezza sta seminando confusione tra gli alleati di Kiev. Un funzionario della sicurezza europeo ha avvertito che qualsiasi forza avrebbe bisogno come minimo di ‘un mandato di combattimento’ per difendersi se attaccata dalla Russia — ma ha sottolineato che una tale missione non sarebbe responsabile dell’applicazione della pace.”
Ancora più esplicitamente: “’Se si considera quanto siano politicamente deboli Macron e Starmer, non è facile vedere come questo piano andrà avanti’, ha detto un diplomatico dell’UE. ‘Non è un momento facile economicamente’.”
In dettaglio. La Germania ha problemi costituzionali e politici, perché l’utilizzo di truppe all’estero è una decisione che deve prendere il Parlamento, non basta l’intenzione del governo.
In ogni caso, “Semplicemente non abbiamo il personale per un grande contingente“, ha detto Schwarz, responsabile della supervisione parlamentare del bilancio della difesa. “Anche un piccolo dispiegamento sarebbe una sfida“. Specie se l’avversario si chiama Russia e dispone di un arsenale nucleare straripante.
Macron abbonda di dichiarazioni bellicose, ma i suoi generali tirano il freno (nonostante sia un ex banchiere, c’è chi certi calcoli li sa fare decisamente meglio).
“La Polonia ha il suo dilemma strategico perché confina con Russia e Bielorussia, quindi non può indebolire le forze necessarie per prevenire un attacco“, ha detto un alto funzionario polacco, a condizione di rimanere anonimo.
La Turchia – paese Nato “eccentrico” – non ci tiene affatto, ma comunque Grecia e Cipro si opporrebbero ad uso dei fondi dell’Alleanza per irrobustire un loro nemico storico. “Quanto al quid pro quo, sarebbe ancora difficile superare gli ostacoli dell’UE sui fondi per la difesa. Sono sicuro che l’UE troverà un modo per impedire alla Turchia di avere qualsiasi accesso“.
Dell’Italia sappiamo bene che il governo di colloca all’estremo opposto dei francesi, e quindi zero soldati da mandare. Dei paesi più piccoli ancora, ancorché latranti come i baltici, inutile parlare: non hanno i numeri…
Da parte russa è arrivata la reazione che si ci si poteva attendere anche prima: “Ribadiamo la nostra posizione di lunga data di rifiutare inequivocabilmente qualsiasi scenario che preveda il dispiegamento di contingenti militari della NATO in Ucraina, poiché ciò rischia di innescare un’escalation incontrollabile con conseguenze imprevedibili“, ha avvertito la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova.
Detto con stessa flemma con cui aveva ricordato ai vicini estoni, che proponevano di bloccare il passaggio delle navi russe nel Baltico: “Sbaglio o voi avete ben due navi [soltanto, ndr]?”
A gelare i bollenti spiriti retorici arriva infine il chiarimento finale sull’atteggiamento degli Stati Uniti, affidato al segretario di Stato (ministro degli esteri) Marco Rubio:
«Ci sono diversi Paesi disposti a farsi avanti e a fornire garanzie di sicurezza all’Ucraina. Ma come ci hanno detto gli ucraini, e credo l’abbiano detto pubblicamente, la garanzia di sicurezza più forte che possono offrire per il loro futuro è avere un esercito forte, e questa è l’altra dinamica che è cambiata.
Noi non stiamo più dando armi all’Ucraina. Non stiamo più dando soldi all’Ucraina. Ora le vendiamo armi, e i Paesi europei le pagano tramite la Nato. Stanno usando la Nato per acquistare le armi e trasferirle all’Ucraina. Questo è un altro grande cambiamento rispetto al modo in cui questa guerra è stata affrontata sotto l’Amministrazione Biden».
E all’intervistatore, che gli chiedeva se l’accordo siglato con gli Usa sui minerali e le terre rare è una «buona garanzia di sicurezza», Rubio ha risposto: «Esatto».
Se non avete ancora capito bene, c’è pur sempre la sintesi fatta dal premier slovacco, il socialdemocratico Fico: “Prima la Slovacchia dovrebbe comprare armi dagli Usa con i propri soldi e poi inviarle gratuitamente in Ucraina? Mi sembra una brutta barzelletta…”
In conclusione. Le “garanzie di sicurezza” per Kiev le darà (o dovrebbe darle) l’Unione Europea, o almeno quei membri europei della Nato disposti a esaudire la “brutta barzelletta” statunitense. Gli Usa si limiteranno a spedire armi se qualcuno le paga. Gli “stivali sul terreno” ce li metterà chi vuole, ma chi vorrebbe non può (per carenza di stivali, oltretutto).
L’unico consiglio valido resta perciò il “fatela finita”. Ma per seguire i consigli utili serve qualcuno che non sia al servizio di un sistema fallimentare arrivato alla stazione dove si paga il pedaggio, senza più soldi veri in tasca…
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Maurizio
BRICS
È la parola che la coalizione degli scemi non ha ancora compreso.