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L’Onu dichiara ufficialmente: a Gaza carestia programmata

L’Integrated Food Security Phase Classification (IPC), un organismo che si occupa di sicurezza alimentare ed è sostenuto dall’ONU, ha dichiarato ufficialmente che a Gaza è in corso una carestia dipendente dall’uomo, o per meglio dare le responsabilità politiche, dipendente dalla pulizia etnica perpetrata da Tel Aviv sui palestinesi.

È lo stesso responsabile umanitario delle Nazioni Unite, Tom Fletcher, a dire che la fame nella Striscia è “apertamente promossa da alcuni leader israeliani come arma di guerra“. Anche Volker Turk, Alto Commissario ONU per i diritti umani, ha affermato che “utilizzare la fame come mezzo di pressione è un crimine di guerra“.

Si tratta di accuse che avevano già mostrato tutta la loro fondatezza già nelle immagine e nelle informazioni che arrivavano da settimane, almeno da quando è diventata operativa la Gaza Humanitarian Foundation.

Questa organizzazione era già stata indicata da più parti come strumento per l’uso della fame come arma nel massacro continuo dei gazawi. Anche l’IPC aveva avvertito l’imminente e inevitabile carestia, se la situazione fosse continuata senza modifiche. Ora arriva il riconoscimento definitivo di quest’ulteriore crimine sionista.

L’istituzione legata al circuito ONU ha inserito la Striscia nella sua Fase 5, il livello più alto della classificazione usata dall’organizzazione per indicare la situazione dei rifornimenti alimentari: è il livello che indica l’insicurezza alimentare acuta. Per ora, la carestia colpisce solo il governatorato di Gaza City, ma di questo passo sarà dichiarata, entro fine settembre, anche in quelli di Deir al-Balah e Khan Younis.

L’IPC sottolinea che a causare la penuria di cibo non è solo il blocco degli aiuti, e l’uso strumentale che di essi si fa da parte del sistema israeliano. Gli sfollamenti continui e anche il collasso della produzione che avveniva in quelle zone a causa di bombardamenti e invasioni sono parimenti all’origine della carestia.

Per l’IPC, si può ancora tornare indietro dalla strada della fame, purché si intervenga immediatamente e con decisione. “Nessuno dovrebbe avere dubbi sul fatto che sia necessaria una risposta immediata e su larga scala“, viene scritto nelle 59 pagine del rapporto dell’istituzione, “Qualsiasi ulteriore ritardo, anche di pochi giorni, si tradurrebbe in un’escalation totalmente inaccettabile della mortalità legata alla carestia“.

Vale la pena riportare alcuni numeri del documento, che rendono chiara la portata della catastrofe prodotta dal terrorismo sionista. Ad oggi è calcolato che la malnutrizione minacci la vita di 132 mila bambini sotto i cinque anni e viene stimato che, fino a giugno del prossimo anno, soffriranno di malnutrizione acuta.

L’IPC ha dovuto inoltre rivedere al rialzo le valutazioni fatte a maggio: 41 mila di questi casi soffriranno di malnutrizione grave, ovvero il doppio del numero indicato appena qualche mese fa (più o meno quando la Gaza Humanitarian Foundation ha iniziato a operare). Date che non possono essere considerate una coincidenza.

Il segretario generale, Antonio Guterres, ha scritto su X: “In quanto potenza occupante – prosegue – Israele ha obblighi inequivocabili ai sensi del diritto internazionale, compreso il dovere di garantire il cibo e le forniture mediche alla popolazione. Non possiamo permettere che questa situazione continui impunemente“.

Ovviamente, Israele nega tutto. Netanyahu ha definito il rapporto dell’IPC una “bugia assoluta“. Quanto ancora si permetterà a Tel Aviv di stravolgere le evidenze sotto gli occhi di tutti, e quanto a fondo i governi occidentali continueranno a sostenere il più grande crimine contro l’umanità commesso in diretta televisiva?

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