C’è qualcosa di irresistibilmente comico nel leggere i titoli con cui giornali e tv europee provano a “coprire” il vertice dello Sco (Oragnizzazione per la Cooperazione di Shangai) che si è aperto a Tianjin, la città portuale più vicina a Pechino.
In tanti, all’unisono, giocano su una frase-immagine: “tutti alla corte di Xi Jinping”, con variazioni minime per non creare l’”effetto Minculpop”.
Comprensibile che un giornalismo cortigiano immagini leader di nazioni miliardarie (per popolazione, come l’India), o per le dimensioni delle risorse, come dei questuanti il cui sogno nella vita è l’essere accolti nelle grazie di qualche potente. Quasi una confessione antropologica, più che un’analisi dei fatti…
E’ del resto una tecnica narrativa piuttosto comune: se non si può ignorare un evento ritenuto negativo per il proprio campo, bisogna ridurne l’importanza, “normalizzarlo”. Si può fare con un genocidio, figuriamoci se non si può tentare anche con un più banale banale vertice.
E’ una tecnica che che espone a figuracce, certo. Accade per esempio al Sole 24 Ore che la chiama “la ‘Nato alternativa’ che riunisce 26 leader euroasiatici sotto l’ombrello cinese”, ignorando in un colpo solo sia che le questioni di sicurezza militare non fanno parte di questo formato, sia la presenza di capi di stato o di governo di quasi tutti i continenti.
Tanto da far scrivere ad altri, altrettanto preoccupati, che “qui c’è tutto il resto del mondo, meno gli occidentali”. Cogliendo, se non altro, la dimensione strategica dell’incontro, che si presenta come il più grande nella storia dello Sco (i membri storici sono ancora soltanto dieci: Cina, Russia, India, Pakistan, Iran, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan, ma che insieme rappresentano il 40% della popolazione mondiale), con oltre 20 leader stranieri e 10 responsabili di organizzazioni internazionali. Con in testa il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, mai come negli ultimi anni snobbato proprio dagli occidentali.
Tanto più che quasi tutti i partecipanti si sposteranno poi a Pechino per le celebrazioni dell’80° anniversario della vittoria cinese contro l’invasore giapponese, nella Secondo Guerra Mondiale, che non è un appuntamento puramente retorico o propagandistico.
Contrariamente a quanto riporta la normale narrazione euro-atlantica, in effetti, il grosso dello sforzo militare nipponico era concentrato qui. All’apice nella guerra, nel 1941, l’Esercito Imperiale Giapponese aveva schierato in Cina e Manciuria circa 2-2,5 milioni di soldati (su un totale di circa 3,1 milioni). Mentre “solo” mezzo milione era sparso sul fronte del Pacifico, contro statunitensi, inglesi, australiani e altri alleati minori.
Al di là degli innumerevoli incontri bilaterali (gli unici su cui si focalizza l’attenzione dei media nostrani sono ovviamente quelli tra Xi, Putin, l’indiano Modi, peraltro già insieme nei BRICS), giova forse ricordare che il “focus” della discussione è la costruzione di un modello di relazioni internazionali alternativo a quello statunitense, non più fondato su “egemonia e il contenimento” – inevitabilmente gerarchico, competitivo e in ultima analisi produttore di guerre – ma sull’”interdipendenza e la cooperazione multilaterale”. Tra pari, anche se con regimi economici e politici differenti, com’è logico che sia in virtù di società e storie differenti.
E del resto «Dobbiamo sostenere una transizione egualitaria e ordinata verso un mondo multipolare e una globalizzazione economica inclusiva, oltre a promuovere la nascita di un sistema di governance globale più giusto ed equo», ha detto Xi aprendo i lavori del vertice, criticando implicitamente – senza far nomi – «l’egemonismo e la politica della forza» che segnano «un mondo attraversato da turbolenze e cambiamenti».
Non si tratta di un approccio del tutto nuovo, e riecheggia infatti qualcosa del “movimento dei non allineati”. Ma è chiaro che le guerre in atto – volute dal fronte occidentale, sia in Ucraina che con il genocidio dei palestinesi – richiedono un livello di cooperazione superiore e “non competitivo”. Un altro “ordine internazionale”, insomma, senza “bulli” pronti a menar le mani con i più deboli.
Compito complicato, certamente, ma non fuori portata o insensato, viste le ben scarse alternative. Se si seguissero gli zombie decerebrati dell’Unione Europea, per esempio, non resterebbe molto all’”ora zero” dell’umanità.
Naturalmente stiamo parlando di un ordine internazionale nel modo di produzione esistente, non del “socialismo”. Ma un ordine tendenzialmente pacifico (nell’assenza di guerre futuro è difficile credere…) merita qualche attenzione in più, quale che sia il possibile – o sperato – assetto futuro del paese in cui si vive, lotta, manifesta.
Vedremo i risultati, nei prossimi giorni.
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