Il 5 settembre una nota della Commissione Europea ha reso nota la decisione di Bruxelles di comminare una multa da 2,95 miliardi di euro a Google. Secondo le normi antitrust europee, il colosso statunitense è accusato di aver distorto la concorrenza nel settore ‘adtech’, cioè delle tecnologie pubblicitarie.
A Google è stato ordinato di “porre fine a pratiche di auto-preferenza” per quanto riguarda i servizi tecnologici per il posizionamento di pubblicità online. È stato anche intimato all’azienda di eliminare i conflitti di interesse intrinseci della catena di forniture, dove Google ha un evidente egemonia per la sua posizione quasi monopolitistica quando si tratta di motori di ricerca.
Le pratiche messe sotto osservazione sono considerate come lesive per concorrenti, inserzionisti ed editori online, e perciò il Consiglio europeo degli editori aveva proceduto a presentare una denuncia contro Google. Il gigante di Mountain View, controllato da Alphabet, avrebbe abusato della sua posizione sin dal 2014.
Non è infatti la prima volta che viene multato per questioni simili, ma addirittura la quarta. Nel 2022 la Commissione di giustizia della UE aveva imposto una sanzione ancor più sostanziosa: ben 4,1 miliardi. Ad ogni modo, non è mai stato chiesto a Google di procedere allo scorporamento dei suoi servizi, che sarebbe un duro colpo per la sua posizione dominante sul mercato.
Tra i motivi, c’è sempre stato anche il timore per misure di ritorsione commerciale, risposta a cui ha già accennato Donald Trump. Non a caso, stando a indiscrezioni di stampa non ancora smentite, nei giorni scorsi il commissario UE al Commercio, Maroš Šefčovič, si sarebbe opposto a comminare la multa, proponendo di sospenderla e, probabilmente, trattare con il diretto interessato.
Google, che ora ha 60 giorni di tempo per informare la Commissione su come intende procedere, ha nel frattempo annunciato che farà ricorso, e che valuta la sanzione come un altro esempio di un’applicazione sproporzionata delle leggi, da parte delle autorità europee, verso le compagnie stelle-e-strisce.
Non potrebbe essere più d’accordo l’inquilino della Casa Bianca, che ha colto l’occasione al volo per riportare pressione su Bruxelles. Il tycoon ha infatti scritto sul social Truth che la multa andrà a sottrarre “denaro che altrimenti sarebbe andato a investimenti e posti di lavoro negli Stati Uniti“, e che questo non può accettarlo.
Trump inserisce questo provvedimento in una serie di azioni che considera discriminatorie verso le imprese statunitensi, in particolare quelle delle Big Tech. Ha poi aggiunto: “non possiamo permettere che questo accada alla brillante ingegnosità americana e, se ciò dovesse accadere, sarò costretto ad avviare un procedimento ai sensi della Sezione 301 per annullare le sanzioni ingiuste imposte a queste aziende americane contribuenti“.
Il riferimento è alla Sezione 301 del Trade Act del 1974, che consente al presidente o al Rappresentante per il Commercio degli Stati Uniti di indagare su pratiche commerciali estere ritenute ingiuste o discriminatorie. Permette, inoltre, nel caso in cui i dubbi siano confermati, di adottare misure come dazi, restrizioni commerciali o altre azioni simili.
È chiaro che Bruxelles non può nascondersi ancora a lungo dietro la propaganda di rispetto del ‘libero mercato’, facendo passare questa multa come qualcosa un provvedimento che non avrebbe nulla a che vedere con la guerra commerciale in atto.
L’amministrazione statunitense non è disposta a far passare sotto traccia la vicenda Google perché – al di là della cifra eventualmente da sborsare – rientra perfettamente nella “narrazione” trumpiana dei rapporti tra “l’America” e il resto del mondo. Dove non ci sono più “alleati” o “nemici”, ma solo avversari da ridurre a vassalli.
L’Unione Europea – con gli “accordi” sui dazi siglati da von der Leyen ha accettato la subordinazione, ma l’inerzia del ciclo precedente semina ancora qualche “incidente” come questo.
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