Se si osservano i volti del primo ministro britannico Keir Starmer, della sua Segretaria di Stato Yvette Cooper e di altri leader del Partito Laburista, sembra quasi che la natura stessa abbia voluto dare una nuova espressione alla celebre massima di Hannah Arendt sulla ‘banalità del male’.
Queste figure indistinte non solo sono complici attivi del genocidio a Gaza, ma sono anche responsabili della criminalizzazione del movimento pro-palestinese in Gran Bretagna. Sotto la loro guida, il partito un tempo radicato nella classe operaia è diventato una forza pericolosa, parte di un clima sempre più autoritario che si diffonde in tutto l’Occidente.
Il 5 luglio 2025, il governo britannico ha proscritto il gruppo di azione diretta non violenta Palestine Action, dichiarandola una organicazione terroristica. L’appartenenza al gruppo o il suo sostegno costituiscono ora un reato penale punibile con fino a 14 anni di carcere.1
La decisione del governo è arrivata dopo una serie di azioni che miravano a opporsi al ruolo del Regno Unito nel favorire e sostenere la distruzione del popolo palestinese. Queste azioni hanno preso di mira basi della Royal Air Force e strutture britanniche della società israeliana di tecnologia militare Elbit Systems, dove gli attivisti hanno avuto accesso e imbrattato aerei e attrezzature con slogan come ‘Free Palestine’.
Attualmente, dieci dei 24 attivisti – i cosiddetti ‘Filton 24’ – accusati di un’irruzione in un sito di Elbit sono stati detenuti in carcere per un anno senza processo. Altri otto sono in custodia da nove mesi, e la maggior parte dei Filton 24 dovrebbe rimanere in prigione per più di due anni prima che i loro casi arrivino in tribunale.
Tra di loro c’è Aleks Herbich, musicista punk hardcore che ha suonato in passato nella band Arms Race e che ha partecipato a diversi progetti musicali, tra cui la gestione dell’etichetta londinese Quality Control HQ. Questo articolo, scritto durante la sua detenzione, è stato originariamente pubblicato in inglese sulla rivista Tribune.
Traduzione e introduzione: Maciej Zurowski
Sono una dei 24 coimputati, conosciuti collettivamente come le “Filton 24”, e attualmente mi trovo in custodia cautelare nel [carcere statale] HMP Peterborough (in attesa di processo) dal novembre 2024.
Siamo stati tutti trattenuti in unità speciali antiterrorismo in diverse parti del paese, interrogati più volte al giorno e sottoposti a privazione del sonno, con le luci accese 24 ore su 24 e senza finestre. All’inizio non avevamo alcun contatto con i nostri cari e siamo stati tenuti in isolamento fino a una settimana prima di essere trasferiti in carcere in custodia cautelare.
Abbiamo tutti dichiarato di non essere colpevoli e siamo stati divisi in tre processi collegati che si terranno a Londra nel novembre 2025, nell’aprile 2026 e nel giugno 2026. Parteciperò al terzo processo. Come molti di noi, mi è stata negata la cauzione, affrontando da uno a due anni e mezzo di carcere senza processo. Siamo tutti detenuti ai sensi del Terrorism Act [legge britannica contro il terrorismo, introdotta nel 2000],2 pur non essendo accusati di reati di terrorismo.
Le condizioni di tutti i detenuti in Gran Bretagna sono terribili, e le nostre famiglie all’esterno stanno facendo un lavoro straordinario per far luce su ciò che accade qui dentro. Un diario carcerario di William Plastow, uno dei miei coimputati, ha denunciato le condizioni del carcere di Wandsworth, un vecchio istituto vittoriano in cui è stato incarcerato.3
La discussione sulle prigioni — sia per quanto riguarda le dure condanne inflitte ai detenuti sia per le condizioni stesse di queste strutture trascurate — è giunta all’attenzione del pubblico. Ciò ha costretto il governo a una revisione delle pene detentive, con un certo focus sulla libertà vigilata e sulle pene alternative alla detenzione, che entrerà in vigore il prossimo anno, con la ministra della Giustizia Shabana Mahmood che ha recentemente ammesso che le prigioni attualmente formano «migliori criminali, non migliori cittadini», con un tasso di recidiva dell’80 percento tra gli ex detenuti.
La Gran Bretagna ha i più alti tassi di incarcerazione dell’Europa occidentale. Sono detenuta in uno dei due carceri femminili in cui le donne sono state immobilizzate e ammanettate agli agenti durante il travaglio in ospedale. Ho ascoltato le storie delle detenute, molte delle quali sopravvissute vulnerabili a abusi. Alcune sono senza fissa dimora e richiamate in carcere per aver saltato la libertà vigilata o per aver fallito un test antidroga, tornando talvolta dopo appena una settimana.
Durante i primi due mesi qui dentro, ho visto qualcuno tornare tre volte. Un’anziana che a malapena riusciva a camminare, senza fissa dimora e con problemi di alcol, ha sfondato la finestra per poter andare in carcere durante l’inverno e avere un posto caldo dove stare, con cibo e vestiti. Ho incontrato donne che hanno bisogno di un’assistenza sanitaria mentale adeguata, che il carcere non è in grado di fornire. Vengono spostate tra i reparti della popolazione generale, l’assistenza sanitaria e l’unità di segregazione, che chiamano “Separation and Care” [Separazione e Assistenza].
È un ciclo infinito di violenza. Ho visto guardie ritenere divertente iniziare la giornata gridando “Ultima chiamata!” alle detenute trattenute in un reparto di disintossicazione mentre sono ancora nelle loro celle, semplicemente per provocare panico e disagio in chi aspetta i farmaci essenziali per gestire i sintomi di astinenza. Ho incontrato tre donne che hanno perso dei bambini a causa dell’arresto o del carcere. Senza alcuna giustizia per loro, il loro trauma continua.
In carcere passo le giornate dipingendo e disegnando, leggendo e scrivendo lettere, anche se la posta è limitata perché siamo detenuti in condizioni che prevedono una maggiore sorveglianza e censura.
In realtà sto apprezzando il mio tempo lontano dallo smartphone. Sono stata un’organizzatrice nella scena punk DIY di Londra per vent’anni e ho visto l’effetto dell’individualismo man mano che questo tipo di tecnologia è diventato sempre più diffuso nel corso degli anni
Il neoliberismo ha logorato con grande successo i legami più profondi di amicizia e di solidarietà, rendendo sempre più difficile mantenere una comunità come spazio di organizzazione collettiva e di libertà, in cui si esprimono idee per un futuro migliore — nel mio caso, attraverso la musica.
I social media hanno contribuito molto a questo, perché è più facile essere distruttivi e interessati solo a sé stessi dietro una tastiera che costruire collettivamente faccia a faccia. Molto spesso, le cose si sfaldano e gli sforzi collettivi si interrompono per sciocchezze. Ho la sensazione che la gente stia dimenticando come parlarsi in modi costruttivi, responsabili e riparatori.
Ciò che mi dà speranza è guardare i volti di tutti i miei coimputati sullo schermo del computer ogni volta che partecipiamo a un’udienza, preparandoci per processi che possono essere anche a un anno di distanza. Poiché siamo tutti divisi tra carceri diverse, partecipiamo al processo in modalità digitale e trascorriamo la giornata quasi senza riuscire né a sentire né a dire nulla, se non i volti degli altri.
Quando vedo i miei coimputati, mi rendo conto che rappresentiamo un microcosmo di ciò che il movimento più esteso ha realizzato: riunire la più vasta coalizione possibile di persone per sostenere la causa della Palestina. Non c’è da meravigliarsi se abbiamo subito un simile abuso di potere — le macchine del potere hanno chiaramente più paura di noi di quanta ne abbiamo noi di loro.
I tentativi dello Stato di collegare persone politicamente impegnate al terrorismo non sono una novità — ciò che provoca davvero la loro sottomissione è la possibilità che raggiungano i loro obiettivi politici, e alcuni più di altri.
Eppure, per quanto stiamo lottando, vedere persone che non sono mai state politicamente attive partecipare alla loro prima protesta, incontrare altri e far parte di un movimento di massa mi fa sentire che non sono mai stata più libera di quanto lo sia ora in prigione. Sapere che, qualunque cosa mi facciano, non sarà nulla rispetto alla sofferenza del popolo palestinese; questo mi sostiene giorno dopo giorno. Sono sicura che valga lo stesso per tutti i miei coimputati.
Con amore e solidarietà,
Aleks
1 Dall’entrata in vigore del divieto, oltre 700 manifestanti sono stati arrestati ai sensi del Terrorism Act 2000 per nulla più che aver esposto cartelli con lo slogan ‘Mi oppongo al genocidio – Sostengo Palestine Action’. Tra loro molti operatori del servizio sanitario, pensionati, quaccheri, persino sacerdoti in pensione e un cieco su sedia a rotelle, ma anche l’ex detenuto di Guantánamo Moazzam Begg.
2 Il Terrorism Act 2000 del Regno Unito è stato oggetto di numerose critiche per l’uso eccessivo dei poteri di polizia, in particolare la Sezione 44, che consente perquisizioni senza sospetto ragionevole. Questa sezione è stata utilizzata per fermare e perquisire cittadini innocenti, inclusi fotografi e manifestanti pacifici, in contesti non legati al terrorismo.
3 Il diario di Plastow descrive, tra le altre cose, la mancanza di tempo all’aria aperta, le docce rare e la presenza di ratti. È disponibile in lingua inglese qui: https://insidetime.org/comment/remand-prisoners-diary-exposes-grim-conditions/
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