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Pacificazione alla turca: repressione dei Repubblicani e schermaglie con le FDS

È durato un tempo quasi nullo l’illusione di pacificazione interna della Turchia in seguito alla cerimonia simbolica di distruzione delle armi da parte del PKK, lo scorso luglio, e alla susseguente creazione di una commissione parlamentare apposita, incaricata di discutere i passi successivi del processo di pace.

Immediatamente dopo, infatti, il focus repressivo degli apparati statali, attualmente completamente allineati al governo dopo anni e anni di epurazioni, si è spostato sul principale partito di opposizione, il Partito Popolare Repubblicano (CHP), storico architrave laico e moderato della repubblica, fondato da Ataturk.

Già a marzo era stato arrestato il sindaco di Istanbul e candidato in pectore alle presidenziali del 2028 Ekren Imamoglu, dato come stravincente nei sondaggi. Successivamente, in estate, sono stati arrestati altri sindaci di grandi città, quali Adana, Adıyaman, Antalya, o di distretto metropolitano, quali Beyoglu, al centro di Istanbul, tutti del CHP.

Le accuse in questione, che comprendono tangenti, manipolazioni di gare d’appalto e simili, venivano mosse anche quando i sindaci erano del partito governativo AKP; ma in quei casi le indagini finivano nel nulla, nonostante che il blocco imprenditoriale attivo intorno alle istituzioni locali sia più o meno lo stesso. Nel caso di Imamoglu, poi, si aggiunge anche l’accusa più grave: sostegno al PKK.

Attualmente è in corso una nuova escalation repressiva nei confronti dei Repubblicani: un giudice civile, infatti, ha annullato per “irregolarità” il congresso locale di Istanbul del 2013, azzerandone i vertici e imponendo un nuovo comitato dei curatori, capeggiato da un esponente legato alla precedente leadership che aveva perso clamorosamente le presidenziali del 2023, tale Gürsel Tekin.

Quest’ultimo è entrato nella sede istanbuliota del partito sotto la protezione di un imponente cordone di polizia, che lo proteggeva dall’assedio dei militanti del CHP stesso e non solo.

Anche il Partito dell’Uguaglianza e della Democrazia dei Popoli (DEM) della sinistra filocurda ed altri partiti di sinistra si stanno associando alle proteste, sostenendo che è a rischio l’agibilità politica di tutti, non solo dei Repubblicani. Si segnala già qualche fermo.

In contemporanea, è in corso un altro processo civile che potrebbe invalidare l’intero congresso nazionale del 2023, estromettendo l’attuale leader Ozgur Ozel a favore di esponenti che sono in rotta con lui o che addirittura hanno nel frattempo lasciato il partito.

Ozel, intanto, ha convocato per il 21 settembre un congresso straordinario per sventare questo tentativo.

Lo scopo finale dell’intera manovra sembra essere quello di costringere l’attuale gruppo dirigente del CHP, dato come nettamente vincente alle prossime scadenze elettorali, a crearsi un nuovo partito, lasciando il prestigioso e storico brand dei Repubblicani – con il relativo imponente patrimonio di sedi e proprietà – al precedente gruppo dirigente perdente.

Ad Ozel e soci, insomma, viene riservato lo stesso calvario, fatto di cambi di denominazioni, spoliazioni e repressione, riservato gli anni scorsi alla sinistra filocurda; la quale attualmente viene vezzeggiata per ottenerne i voti in vista di possibili modifiche costituzionali e l’entrata nell’alleanza governativa, in modo da scongiurare future sconfitte. Ciò indipendentemente dall’intenzione di Erdogan, fino ad oggi sempre negata, di allungare il limite costituzionale di mandati presidenziali per potersi ricandidare anche nel 2028.

Il Partito DEM finora ha respinto queste offerte, anche perché stanno ricominciando le minacce da parte di Ankara di un’azione militare diretta nei confronti delle Forze Democratiche Siriane (FDS), a guida curda, se queste non s’integreranno nell’esercito centrale di Hayat Tahrir al-Aham, non rinunceranno alle loro ambizioni federaliste e non espelleranno i loro miliziani non siriani.

In occasione di una ricorrenza ottomana, il Presidente Erdogan ha affermato: ”Se la spada esce dal fodero, non ci sarà spazio per la penna e la parola…. Come tutti i popoli fratelli in Siria, la sicurezza, la pace e il benessere dei curdi sono garantiti in Turchia. Chi si volgerà verso Ankara e Damasco vincerà. Chi rispetterà la legge della fratellanza e del buon vicinato vincerà. Chi perderà la strada e cercherà nuovi protettori stranieri alla fine perderà”.

Questo riferimento ai protettori stranieri riguarda i tanto discussi progetti sionisti di istituire il cosiddetto “corridoio di Davide” – dalle aree druse del sud della Siria fino al confine con l’Iraq, attraverso le aree controllate dalle FDS – nonché alcune mosse statunitensi delle ultime settimane che sembrano indicare un rafforzato sostegno alle forze curde, contraddicendo i propositi successivi all’incontro fra Trump e Al-Golani.

Il Pentagono, infatti, ha fatto uscire un documento in cui sottolinea la permanente forte influenza di organizzazioni terroristiche sulle nuove autorità di Damasco, che avrebbe determinato un rafforzamento delle stesse FDS; successivamente, l’inviato dell’Amministrazione USA Tom Barrack, nonostante sia ambasciatore ad Ankara ed abbia interessi immobiliari personali in Turchia, si è espresso a favore di un ordinamento decentralizzato della Siria, che consenta una relativa autonomia alle regioni curda e drusa, in contrapposizione alla centralizzazione che la Turchia vorrebbe imporre.

Inoltre, si sta incrementando la cooperazione militare fra FDS e contingente americano, specie nell’ambito di azioni militari contro le cellule dell’Isis presenti nei campi profughi o di prigionia in cui sono stipati i miliziani islamisti e le loro famiglie.

Tali campi sarebbero dovuti passare, nelle intenzioni di Ankara, sotto il controllo di Damasco, eliminando il pretesto principale utilizzato da Washington per rinnovare all’infinito la presenza militare USA a sostegno delle milizie curde.

Questi atti sono visti da Ankara come un modo più o meno deliberato per far deragliare il processo di pace interno con il PKK, basato, secondo le parole dello stesso Ocalan, su disarmo e integrazione.

Il permanere dell’appoggio USA nei confronti delle milizie siriane legate al PKK, infatti, offrirebbe ai miliziani curdi la possibilità di un “rebranding” sotto le FDS o altre sigle, in alternativa al disarmo effettivo, e alimenterebbe le ambizioni di costruire un’area autonoma “come il Rojava” anche in Turchia. Cosa già accaduta quando fallì il processo di pace del 2015, per altro.

Il contesto di guerra totale regionale, che il regime regime del sionista continua ad espandere, ha ora colpito anche il Qatar, l’alleato geopolitico più vicino al progetto neo-ottomano di Erdogan, dalle cosiddette “primavere arabe” in poi.

Ciò apre ad un duplice e contraddittorio scenario: per un verso potrebbe verificarsi una spinta ad un compattamento interno, dando impulso al processo di pace con il PKK, per un altro potrebbero crearsi ulteriori divaricazioni con le componenti politiche interne più allineate agli USA (di cui il CHP è capofila), nonché con le Ypg in Siria, fino a dar luogo ad una nuova invasione nelle aree controllate dai curdi siriani.

In tal senso è da capire, ora, se verrà consentito ad Ocalan di incontrare i dirigenti delle FDS e la commissione parlamentare turca sul disarmo del PKK.

Le parole del leader curdo potrebbero aiutare a contemperare l’esigenza dei curdi siriani di non disarmarsi al cospetto dei tagliagole istallati a Damasco con le preoccupazioni turche circa l’utilizzo della carta curda a scopo di frammentazione interna e dell’intera regione.

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